La società del controllo è un’espressione densa di conseguenze. Ne aveva scritto Giles Deleuze, per segnalare un mutamento intervenuto nel rapporto tra lo Stato e la società . Se in passato l’esercizio della sovranità statale prevedeva specifiche forme di sorveglianza sulla popolazione mutuate dal modello del panopticon messo a punto da Jeremy Bentham, nel presente il controllo non è esercitato solo dalla Stato, ma è diventato pervasivo.
L’aspetto più rilevante della riflessione di Deleuze sta però nel fatto che il controllo è delegato ai singoli, che hanno il compito di sorvegliare i propri simili per prevenire l’emergere di comportamenti «devianti» dalla norma dominante. È da questo mutamento che David Lyon e Zygmunt Bauman prendono le mosse nel volume Sesto potere (Laterza, pp. 161, euro 16).
I due studiosi non hanno bisogno di molte presentazioni. Bauman è lo studioso che ha messo a punto l’espressione «modernità liquida» per indicare come nel capitalismo contemporaneo tutte le istituzioni del vivere associato si sono liquefatte nel flusso continuo di merci, informazioni e esseri umani, modificando i processi di soggettivazione al punto che la figura che meglio esprime la dimensione liquida delle relazioni sociali è un «navigante» che si lascia trasportare da quel flusso che ne ridisegna vorticosamente, e con la sua attiva complicità , l’identità . David Lyon è invece uno dei più noti analisti della società del controllo.
In questo volume, i due autori sono consapevoli che la sorveglianza presenta una ambivalenza che rafforza il potere di chi la esercita. Da una parte è infatti considerata una inevitabile necessità , perché serve a prevenire inattesi pericoli, garantendo così la sicurezza dei singoli. Per questo, è un potente dispositivo che definisce i confini della cittadinanza. Da questo punto di vista le pagine che i due autori dedicano al banopticon aiutano a capire la deriva postdemocratica dei paesi del capitalismo contemporneo.
Banopticon è il termine che indica quel modello di controllo sociale teso a stabilire specifichi gruppi della popolazione che devono essere esclusi dai diritti civili, politici e sociali. Specificità che vengono dedotte proprio dall’elaborazione dei dati individuali raccolti sia dallo Stato che dalla imprese.
Negli Stati Uniti e in Inghilterra il caso più eclatante sono stati, nel recente passato, gli uomini e le donne di origine araba che volevano entrare o già vivevano nel paese. In altre realtà , invece, è un modello che può essere usato per individuare «classi» di popolazione ritenute pericolose. I migranti, ovviamente, ma anche i senza casa, i senza lavoro. Anche in questo caso l’ambivalenza del controllo dispiega il suo potere performativo dei rapporti sociali: l’esclusione è infatti praticata in nome della sicurezza della maggioranza inclusa. Soltanto che l’esclusione è mobile, cambia nel tempo e la transumanza dall’inclusione all’esclusione può coinvolgere tutti.
Le tecnologie della sorveglianza aiutano tuttavia gli uomini e le donne a migliorare la propria vita, perché riducono al minimo il tempo dedicato alle mille incombenze quotidiane. Ma ecco profilarsi un altro caso di ambivalenza: l’immanente conseguenza dei molteplici dispositivi della sorveglianza è infatti il controllo capillare e diffuso dei comportamenti individuali e collettivi. Viene così progressivamente cancellata ogni tipo di intimità . La vita dei singoli è ridotto a un profilo dove consumi, relazioni sentimenali, lavorative vanno a comporre un aggregato di dati gestito dallo Stato e da parte di imprese che utilizzano quei dati per le proprie strategie di marketing; o per venderle ad altre imprese.
L’«economia dei big data» è possibile proprio grazie a questa incessante espropriazione delle relazioni sociali ridotte a consumi, gusti, attitudini. Gli autori del volume non lo dicono mai apertamente – ne fa accenno nell’introduzione David Lyon – ma il «sesto potere» costituito dalla sorveglianza è rappresentato da un inedito complesso militare digitale sancito da un’alleanza tra pari tra lo stato e imprese che raccolgono, gestiscono ed elaborano una massa imponente di dati individuali.
L’economia della sorveglianza non è però il centro delle riflessioni di Bauman e Lyon. Entrambi cercano di sciogliere il nodo dell’ambivalenza che la sorveglianza ha nella modernità liquida. Ne mettono a fuoco le caratteristiche, sottolineando che i singoli cedono volentieri il controllo dei propri dati in cambio di un miglioramento della propria vita quotidiana, ma nutrono forti dubbi sulla possibilità che si sviluppi un’etica pubblica che punti a regolamentare, attenuandola, l’espropriazione della «nuda vita» da parte degli Stati e delle imprese.
La società del controllo è un fatto irreversibile, afferma Lyon; così come la modernità è divenuta liquida e non c’è più possibilità che ritorni al suo stato solido, aggiunge Bauman. Al di là di questo disincantato pessimismo della volontà , il volume pone con forza il fatto che il Sesto potere costituito dalla sorveglianza meriti di essere interrogato. Perché la sorveglianza non riguarda un aspetto secondario della realtà contemporanea, ma è il contesto nel quale prende forma il futuro delle società . Una questione troppo importante da lasciare divenire la preda ambita di chi ha fatto dell’espropriazione dei dati una fiorente e ricca attività economica.
(28 febbraio 2014)Photo © [url”Francesco Romoli”]http://www.russelaid.com/[/url]
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