In fuga dai Big Data

Zygmunt Bauman e David Lyon: nelle società democratiche l’accesso ai diritti civili e politici è ormai strettamente regolato da sofisticate forme di controllo sociale.

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28 Febbraio 2014 - 09.10


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di Benedetto Vecchi

La società del controllo è un’espressione densa di conseguenze. Ne aveva scritto Giles Deleuze, per segnalare un mutamento intervenuto nel rapporto tra lo Stato e la società. Se in passato l’esercizio della sovranità statale prevedeva specifiche forme di sorveglianza sulla popolazione mutuate dal modello del panopticon messo a punto da Jeremy Bentham, nel presente il controllo non è esercitato solo dalla Stato, ma è diventato pervasivo.

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L’aspetto più rilevante della riflessione di Deleuze sta però nel fatto che il controllo è delegato ai singoli, che hanno il compito di sorvegliare i propri simili per prevenire l’emergere di comportamenti «devianti» dalla norma dominante. È da questo mutamento che David Lyon e Zygmunt Bauman prendono le mosse nel volume Sesto potere (Laterza, pp. 161, euro 16).

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I due studiosi non hanno bisogno di molte presentazioni. Bauman è lo studioso che ha messo a punto l’espressione «modernità liquida» per indicare come nel capitalismo contemporaneo tutte le istituzioni del vivere associato si sono liquefatte nel flusso continuo di merci, informazioni e esseri umani, modificando i processi di soggettivazione al punto che la figura che meglio esprime la dimensione liquida delle relazioni sociali è un «navigante» che si lascia trasportare da quel flusso che ne ridisegna vorticosamente, e con la sua attiva complicità, l’identità. David Lyon è invece uno dei più noti analisti della società del controllo.

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In questo volume, i due autori sono consapevoli che la sorveglianza presenta una ambivalenza che rafforza il potere di chi la esercita. Da una parte è infatti considerata una inevitabile necessità, perché serve a prevenire inattesi pericoli, garantendo così la sicurezza dei singoli. Per questo, è un potente dispositivo che definisce i confini della cittadinanza. Da questo punto di vista le pagine che i due autori dedicano al banopticon aiutano a capire la deriva postdemocratica dei paesi del capitalismo contemporneo.

Banopticon è il termine che indica quel modello di controllo sociale teso a stabilire specifichi gruppi della popolazione che devono essere esclusi dai diritti civili, politici e sociali. Specificità che vengono dedotte proprio dall’elaborazione dei dati individuali raccolti sia dallo Stato che dalla imprese.

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Negli Stati Uniti e in Inghilterra il caso più eclatante sono stati, nel recente passato, gli uomini e le donne di origine araba che volevano entrare o già vivevano nel paese. In altre realtà, invece, è un modello che può essere usato per individuare «classi» di popolazione ritenute pericolose. I migranti, ovviamente, ma anche i senza casa, i senza lavoro. Anche in questo caso l’ambivalenza del controllo dispiega il suo potere performativo dei rapporti sociali: l’esclusione è infatti praticata in nome della sicurezza della maggioranza inclusa. Soltanto che l’esclusione è mobile, cambia nel tempo e la transumanza dall’inclusione all’esclusione può coinvolgere tutti.

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Le tecnologie della sorveglianza aiutano tuttavia gli uomini e le donne a migliorare la propria vita, perché riducono al minimo il tempo dedicato alle mille incombenze quotidiane. Ma ecco profilarsi un altro caso di ambivalenza: l’immanente conseguenza dei molteplici dispositivi della sorveglianza è infatti il controllo capillare e diffuso dei comportamenti individuali e collettivi. Viene così progressivamente cancellata ogni tipo di intimità. La vita dei singoli è ridotto a un profilo dove consumi, relazioni sentimenali, lavorative vanno a comporre un aggregato di dati gestito dallo Stato e da parte di imprese che utilizzano quei dati per le proprie strategie di marketing; o per venderle ad altre imprese.

L’«economia dei big data» è possibile proprio grazie a questa incessante espropriazione delle relazioni sociali ridotte a consumi, gusti, attitudini. Gli autori del volume non lo dicono mai apertamente – ne fa accenno nell’introduzione David Lyon – ma il «sesto potere» costituito dalla sorveglianza è rappresentato da un inedito complesso militare digitale sancito da un’alleanza tra pari tra lo stato e imprese che raccolgono, gestiscono ed elaborano una massa imponente di dati individuali.

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L’economia della sorveglianza non è però il centro delle riflessioni di Bauman e Lyon. Entrambi cercano di sciogliere il nodo dell’ambivalenza che la sorveglianza ha nella modernità liquida. Ne mettono a fuoco le caratteristiche, sottolineando che i singoli cedono volentieri il controllo dei propri dati in cambio di un miglioramento della propria vita quotidiana, ma nutrono forti dubbi sulla possibilità che si sviluppi un’etica pubblica che punti a regolamentare, attenuandola, l’espropriazione della «nuda vita» da parte degli Stati e delle imprese.

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La società del controllo è un fatto irreversibile, afferma Lyon; così come la modernità è divenuta liquida e non c’è più possibilità che ritorni al suo stato solido, aggiunge Bauman. Al di là di questo disincantato pessimismo della volontà, il volume pone con forza il fatto che il Sesto potere costituito dalla sorveglianza meriti di essere interrogato. Perché la sorveglianza non riguarda un aspetto secondario della realtà contemporanea, ma è il contesto nel quale prende forma il futuro delle società. Una questione troppo importante da lasciare divenire la preda ambita di chi ha fatto dell’espropriazione dei dati una fiorente e ricca attività economica.

(28 febbraio 2014)

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