Acrescita

La teoria economica dominante non ha certo provocato la crisi. Ma non ha nemmeno fatto nulla per tirarcene fuori. Avrebbe potuto? E come?

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Redazione Modifica articolo

21 Aprile 2016 - 06.44


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di Mauro Gallegati

Il testo seguente costituisce l’introduzione al volume di Mauro Gallegati, “[url”Acrescita. Per una nuova economia”]http://www.einaudi.it/libri/libro/mauro-gallegati/acrescita/978880622709[/url]”, (Einaudi, 2016).

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La teoria economica dominante non ha certo provocato la crisi. Ma non ha nemmeno fatto nulla per tirarcene fuori. Avrebbe potuto? E come? Indicandoci la stessa via che ci ha condotto fino a qui?

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Ora, e prima, nel 1929.

L’economia che si è imposta sinora è in profonda crisi. Dalle contestazioni degli studenti, alla disaffezione di una parte sempre più consistente dei professionisti, al perdurare di una crisi che la teoria non contempla, si manifestano sempre più numerosi i segnali di un collasso imminente. Dalla fisica alla biologia, dalla neurologia alla chimica, un numero sempre maggiore di scienze accorrono al capezzale del malato, di quella che era sì considerata la «scienza triste», ma anche la regina delle scienze sociali. Vederla ora ridotta così fa male; come fa male, e rabbia, vedere quella disoccupazione di massa che l’economia assiomatica non sa come curare, ostinandosi a prescrivere salassi a un paziente anemico. Continuando di questo passo, bisogna però riconoscerlo, si raggiungerà quell’equilibrio tanto agognato: l’equilibrio che, ci ricordano i biologi, è lo stato tipico di qualunque organismo morto.

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Vale la pena ricordare che un assioma, in epistemologia, è una proposizione assunta come vera. L’insieme degli assiomi rappresenta il presupposto di ogni teoria deduttiva che si presenti come sistema assiomatico (come la religione e l’economia), ma non come una scienza, forte o debole che sia. I modelli dell’economia assiomatica sembrano tutti quadri rinascimentali sulla città ideale. Quello che può apparire buffo è che tali modelli vorrebbero essere utili per capire e muoversi nel mondo reale, più o meno come girare per le strade di una città sconosciuta usando la mappa di un’utopia urbana. Non bisognerebbe sorprendersi di finire chissà dove, di scoprire che quel che si cerca non c’è perché non essendo ottimale non è previsto.

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Ovviamente, un modello è solo una rappresentazione della realtà: nessuno vuol girare per la città con una mappa 1:1, ma neanche visitare Lisbona con la pianta di La Plata, né qualsiasi altra città del mondo con la stessa unica mappa.

Così funziona invece l’economia dominante oggi. Fornisce una guida inutile per le nostre vite, al meglio incoerente e spesso dannosa.

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Non è difficile leggere dichiarazioni di economisti assiomatici che, nonostante la Grande Recessione che stiamo vivendo, continuano indefessi a sostenere che il modello mainstream è dominante sia per la logica interna sia perché spiega assai da vicino l’economia vera [1].

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Sono affermazioni che hanno precedenti anche nella storia recente. Come quello del soldato «fantasma» giapponese Hiroo Onoda, ritrovato nel 1974 nell’isola di Lubang (Filippine), mentre era ancora impegnato a difendere l’impero del Sol Levante, a quasi trent’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Dovremmo uscire dal paradigma, da un’economia che prescinde dalla Natura e dalle leggi della fisica. In questa direzione, cercherò di ribadire che avere come unico obiettivo la crescita del Pil è miope e fuorviante. Una ripresa senza lavoro, jobless, chiarisce senza troppi fronzoli i limiti della crescita: in questo caso c’è un aumento del Pil con occupazione invariata. Dovremmo invece entrare nell’ottica della acrescita, dovremmo vivere in un mondo che contempli indicatori di benessere (la natura, i tempi e i modi di lavoro e di vita, le relazioni sociali, ad esempio) e dovremmo includere l’economia nella natura e nella società.

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Come ha detto Alfred Marshall (1890), «le condizioni economiche sono in continua evoluzione, e ogni generazione guarda i suoi problemi a modo suo». Purtroppo, l’economia contemporanea sta ancora affrontando i problemi di oggi con strumenti economici vecchi e logori.

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Se continuiamo a usare un vecchio paradigma, non possiamo lamentarci del fatto che l’economia non funzioni.

Note

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[1] Così si legge, ad esempio, in un post di un docente italiano che insegna presso una delle più prestigiose Università degli Usa. Un tipico caso di fuga dei cervelli. E vien da chiedersi: che cosa penseranno all’estero di quelli rimasti in Italia?

Fonte: [url”Sbilanciamoci.info”]sbilanciamoci.info[/url]

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