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Scandali sessuali, gogna mediatica a senso unico

Intervista a Barbara Benedettelli, autrice di ''50 sfumature di violenza. Femminicidio e maschicidio in Italia''. Un'analisi oltre lo stereotipo donna/vittima uomo/carnefice.

Scandali sessuali, gogna mediatica a senso unico
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14 Gennaio 2018 - 22.11


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Intervista di Tatiana Santi a Barbara Benedettelli.

 

Gli scandali sessuali, fra i temi più scottanti degli ultimi mesi, hanno stravolto il mondo del cinema e l’opinione pubblica. Si è finito però per banalizzare un fenomeno assai più complesso, che non può essere limitato allo schema donna vittima/uomo carnefice. Scandali sessuali, gogna mediatica a senso unico.

La lettera aperta di numerose scrittrici, ricercatrici, intellettuali e attrici francesi, fra cui la grande Catherine Deneuve, ha scosso un dibattito che aveva ormai quasi portato a considerare il corteggiamento un delitto e ad odiare gli uomini in quanto tali. Un errore pericoloso che si commette però è fare confusione fra violenza, seduzione, molestie e avances. Sedurre non è di certo un reato. Lo stupro è tutt’altra storia, ogni violenza sessuale va sempre condannata e denunciata.

Il “sistema” del sesso in cambio di successo o di una parte in un film importante non viene quasi mai analizzato da più punti di vista. È violenza anche questa? Le donne non sfruttano mai il proprio potere di seduzione per ottenere vantaggi? Inoltre quando un uomo supera il limite della seduzione è violenza, ma quando a superarlo è la donna che cos’è? Sputnik Italia ha raggiunto per una riflessione a 360 gradi Barbara Benedettelli, saggista, opinionista, attivista per i diritti delle vittime di ogni forma di violenza, autore del libro “50 sfumature di violenza. Femminicidio e maschicidio in Italia” (Cairo Editore).

Barbara Benedettelli

© FOTO: FORNITA DA BARBARA BENEDETTELLI

Barbara Benedettelli
 

— Barbara Benedettelli, qual è il suo punto di vista sugli scandali sessuali esplosi negli ultimi mesi attorno alla figura di Weinstein negli Stati Uniti? Che cosa ne pensa in merito al movimento “metoo”, in cui in rete le donne esprimono solidarietà a chi ha denunciato violenze e abusi subiti?

— E’ un bene che le donne abbiano deciso in massa di mettere fine al gioco sporco e ingiusto del “se me la dai”, denunciando apertamente il sistema dello scambio sesso/successo. Uno scambio che non si può definire violenza, però, nel momento in cui rientra all’interno di un sistema, appunto, dove anche le regole non scritte sono risapute da tutte le parti in gioco. Non si può definire vittima chi partecipa al gioco e sottostà a quelle regole pagando un prezzo (seppur alto) in cambio di un vantaggio.

La violenza è un’altra cosa. Chi subisce la vera violenza in cambio riceve dolore e sofferenza, non ruoli o vantaggi. Ed è qui il grave errore, a parer mio, del “metoo”: mettere insieme il mero scambio di tipo economico — che è giusto interrompere, ma che dovrebbe essere una battaglia a sé —, con la violenza vera e propria. In questo senso Weinstein, che era parte del sistema e individualmente uno stupratore (presunto sino a sentenza), è stato il catalizzatore perfetto di donne che sono davvero vittime (e che hanno denunciato anche alle procure un reato) e di altre che hanno accettato lo scambio sesso/successo per poi pentirsene. E sono proprio queste ultime ad aver spinto il piede sull’acceleratore: se sono vittime allora possono sentirsi non responsabili di fronte a sé stesse e al mondo intero.

 

— Che idea si è fatta dello scandalo attorno al regista italiano Brizzi?

— Per quanto riguarda Brizzi, ci troviamo di fronte a un caso diverso a partire dal fatto che a quanto ne sappiamo denunce all’autorità non ce ne sono state. Ci sono state invece giovani donne che avrebbero accettato provini in luoghi non consoni allo scopo, che “non potevano non sapere” a che cosa sarebbero potute andare incontro entrando in quel sistema “dalla porta di servizio”. Sistema che può essere sradicato solo a patto che si denunci anche un altro abuso di potere: quello femminile del “te la do se”. Possiamo negare che ci siano anche donne maestre nell’arte della seduzione erotica finalizzata a un’avida logica di mercato? Donne che nelle stanze degli uomini di potere ci entrano con il cosciente intento di ottenere vantaggi e che diventano usurpatrici di ruoli che dovrebbero essere di chi preferisce raggiungere gli obiettivi senza compromessi, con provini veri. Perché non denunciare anche questo con altrettanta forza?

 

— L’attrice francese Catherine Deneuve ha riacceso il dibattito con una presa di posizione decisamente controcorrente. L’attrice infatti si è espressa per la libertà di fare avances da parte degli uomini, sottolineando che la seduzione non è un reato. Condivide il punto di vista della Deneuve?

— Si. Sedurre (ed essere sedotti) fa parte della natura umana, ma c’è un confine che riguarda il rispetto delle vite degli altri, donne o uomini che siano. Superato il confine quella seduzione diventa prevaricazione. Se lo superano gli uomini la chiamiamo violenza, se la superano le donne che cos’è? L’assurdità è che oggi le donne pretendono di essere rispettate e insieme di essere seducenti, e sarebbe normale se non si chiedesse contestualmente agli uomini di essere come pezzi di legno di fronte a quella seduzione. Di contenersi anche di fronte ad approcci sessuali femminili spinti. E se questi approcci non fossero graditi agli uomini? Può accadere, al di là dello stereotipo dell’uomo virile, come dimostro in “50 Sfumature di Violenza”. In tal caso sarebbe una molestia a tutti gli effetti, con la stessa gravità di quelle maschili.

 

— Fermo restando che ogni stupro è un reato e va denunciato, possiamo dire però che attorno agli scandali scoppiati a Hollywood, e poi anche in Italia, si è creata nell’opinione pubblica una sorta di “gogna mediatica e social” spropositata, in grado di rovinare la carriera di diverse persone?

— Un conto è la denuncia sociale, la protesta, la battaglia mediatica: “Questo è il sistema, noi non ci stiamo più. I tempi sono cambiati. Da ora in poi chi si comporterà così sarà subito denunciato all’autorità giudiziaria”. Ok. Sarebbe comunque una presa di posizione forte. Ma non puoi fare i nomi dopo 20 30 anni, dopo essere stata in contatto con chi ti ha ferita come se niente fosse per anni, dopo aver trascorso la tua vita anche grazie a ciò che ne hai ricavato da quel rapporto, per poi denunciare solo mediaticamente con nome e cognome senza uno straccio di prova. Perché così si distruggono carriere, famiglie, vite, prima ancora che ci sia non dico una sentenza, ma almeno un processo giudiziario. Ecco anche questa dal mio punto di vista è una forma di violenza.

 

— Lei ha scritto il libro “50 sfumature di violenza. Femminicidio e maschicidio in Italia” (Cairo Editore). Già dal titolo si intuisce un’analisi globale e completa del fenomeno della violenza nelle relazioni fra uomo/donna. Perché ha deciso di scrivere questo saggio e qual è il messaggio principale che vorrebbe lanciare?

— Questo saggio/inchiesta, ricco di fatti, dati, testimonianze, è il frutto della maturazione di una persona che si occupa di violenza in ogni sua forma da almeno un decennio. E che si è occupata a lungo anche di violenza contro le donne, sia attraverso gli scritti che sul campo. Non è stato facile avere uno sguardo a 360 gradi di quel fenomeno che chiamiamo violenza domestica e che crediamo a torto veda vittime solo le donne. L’equazione violenza domestica = violenza contro le donne è scorretta.

La narrazione politica, mediatica e anche scientifica del fenomeno, specie in Italia, è a senso unico e risponde a uno stereotipo: donna/vittima uomo/carnefice. Uno stereotipo che tra l’altro rinforza quella cultura patriarcale che si dice di voler combattere. Una cultura che, secondo questa drammaturgia, sarebbe, anche in Italia, alla base di ogni violenza di un uomo su una donna e del sistema su tutte le donne. Non è così e nel libro lo dimostro con uno studio anche storico/politico approfondito e con i fatti. Se non riconosciamo anche le altre cause di questo male e le altre carnefici, se non diamo dignità, ascolto e tutela a tutte le vittime, non ne usciamo.

La stessa Convenzione di Istanbul, presentata come un documento di esclusiva tutela per le donne vittime, pur occupandosi maggiormente di loro a causa della sproporzione a livello mondiale, distingue nettamente tra violenza domestica e violenza di genere. La prima è un’enorme costellazione di orrore che può contenere anche la seconda, ma che vede vittime anche i bambini, gli anziani e gli uomini e che, nel suo terrificante insieme, rappresenta il vero allarme sociale. L’invito del libro è quello di concentrarsi sull’insieme e non solo su una sua parte.

 

 

Fonte: https://it.sputniknews.com/opinioni/201801115502687-scandali-sessuali-intervista/

 

 

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