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La coscienza. Un dialogo interdisciplinare e interculturale

Intervista a Domenico Fiormonte, autore del libro "La coscienza. Un dialogo interdisciplinare e interculturale" (Roma: Istituto Italiano di Studi Germanici, 2019).

La coscienza. Un dialogo interdisciplinare e interculturale
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1 Febbraio 2019 - 07.21


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di Silvia Pietrovanni

Domenico Fiormonte è ricercatore in Sociologia della comunicazione presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Roma Tre. Dal 2008 collabora a progetti formativi e culturali fra India e Nepal con la Onlus Centro Studi Platone . Nel 2014 si è diplomato insegnante yoga della tradizione viniyoga di TKV Desikachar con Antonio Olivieri. Fra i suoi libri: Manuale di scrittura (con F. Cremascoli), Bollati Boringhieri, 1998; Scrittura e filologia nell’era digitale, Bollati Boringhieri, 2003; e con Teresa Numerico e Francesca Tomasi, L’umanista digitale, Il Mulino, 2010. Un’edizione aggiornata e ampliata di questo volume è apparsa in inglese nel 2015 con il titolo The Digital Humanist. A Critical Inquiry.

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Come nasce questo libro? E quale è l’obiettivo di questa ricerca?

L’origine di questo libro è una sfida culturale, professionale e personale iniziata più di dieci anni fa. Tra il 2005 e il 2006, constatando l’impossibilità di poter incidere in modo positivo sul corpo agonizzante dell’università (non solo quella italiana), iniziai a interessarmi di pensiero orientale. Grazie a un’amica e collega spagnola, per la quale conservo un’immensa gratitudine, conobbi un personaggio straordinario: Wayne Liquorman. A mio parere Wayne è il massimo rappresentante della tradizione Advaita-Vedanta (il pensiero non-dualista che trae origine dalle Upanishad). Da quel momento la mia vita cambiò. Iniziai un percorso che mi portò non solo ad allargare la frattura con i saperi accademici, ma a tentare di costruire, fra margini e interstizi del sistema, delle “alternative”: punti di fuga, esperimenti ed esplorazioni che riportassero un po’ di speranza e immaginazione nelle mie attività di ricerca. In questo lungo viaggio ho incontrato tantissime persone (oltre agli autori del volume, naturalmente!) che mi hanno ispirato e aiutato a costruire ponti. Senza di loro non avrei mai tentato l’impresa: mettere insieme yoga, fisica quantistica, filosofie orientali, scienze cognitive… Ma l’occasione per rendere visibile questo percorso venne con la creazione all’Università Roma Tre del gruppo di ricerca interdisciplinare New Humanities. Fu in questo contesto che organizzammo insieme ai colleghi il convegno del settembre 2013 intitolato Il contributo della fisica quantistica all’idea di coscienza: un’ipotesi a cavallo fra le culture. L’obiettivo di New Humanities era ed è tuttora quello di far dialogare insieme scienze umanistiche e scienze naturali su tematiche specifiche: in questo caso la coscienza. Mi preme infine aggiungere che il libro non nasce solo da uno sforzo intellettuale e di ricerca, ma anche da articolate esperienze “formative” avvenute fuori del contesto universitario. Prima con lo yoga e poi a partire dal 2011 attraverso una collaborazione con un’associazione culturale e azienda agricola biologica nel cuore della Sardegna.

La fisica quantistica sembra essere una disciplina che ultimamente viene citata spesso, anche a sproposito. Da dove viene secondo te questo rinnovato interesse?

Credo che le ragioni di questa riscoperta siano molto complesse e difficili da decifrare senza sconfinare nella superficialità o, al contrario, in un atteggiamento condiscendente nei confronti di sperimentazioni non “canoniche”. Ma non voglio eludere la tua domanda: penso semplicemente che molti si rivolgano alla fisica quantistica perché, in un certo senso, essa è in grado di sostenere punti di vista non incompatibili con la ricerca spirituale e con visioni metafisiche della realtà. Consapevole dei rischi di entrambi gli approcci abbiamo tentato un’operazione prudente, innanzitutto costruendo un dialogo “dal vivo”. La parte centrale di questo incontro fu l’interazione fra due talenti della divulgazione, un fisico quantistico e grande affabulatore come Emilio Del Giudice e un orientalista e psicologo come Mauro Bergonzi. Nel suo saggio ha ampliato e notevolmente approfondito l’intervento orale del 2013, donandoci un lungo e articolato testo che costituisce, oltre che il nucleo portante del volume, anche uno dei primi contributi organici al rapporto fra fisica quantistica e pensiero non-dualista. Tuttavia chi si aspetta convergenze fra pensiero mistico e fisica leggendo il testo rimarrà deluso. Anche se in modo spesso provocatorio, Emilio del Giudice si dichiarava ateo e razionalista, ma allo stesso tempo sosteneva che “il posto del razionalista è al centro dell’irrazionale”, perché irrazionale non è sinonimo di impossibile, ma è qualcosa che non capiamo con la ragione corrente… e che dunque è compito dello scienziato studiare e spiegare con gli strumenti della razionalità. Questo ragionamento non è per nulla comune negli scienziati e in generale negli intellettuali, perché presuppone un atteggiamento di umiltà nei confronti della realtà che ci circonda. Esattamente il contrario di ciò che fanno oggi la scienza e le accademie, anche quando trattano fenomeni “di moda”, come la fisica quantistica.

Il libro è dedicato ad Emilio Del Giudice e Paolo De Santis. Chi erano?

Emilio è scomparso poco meno di un anno dopo il nostro convegno, privandoci di un sostegno fondamentale. Come Antonella De Ninno, che ha firmato la prefazione, apparteneva alla scuola di Giuliano Preparata che nei primi anni Novanta replicarono nei laboratori dell’Enea di Frascati gli esperimenti sulla cosiddetta “fusione fredda” di Martin Fleischmann e Stanley Pons. Ricordo ancora la gioia incontenibile quando accettò di far parte del nostro gruppo di ricerca. Grazie a lui il progetto New Humanities prese il volo, perché non era solo un grande scienziato e intellettuale, ma cosa estremamente rara nel nostro paese, un pensatore libero. Emilio adottava un metodo di indagine contrario al senso comune perché partiva quasi sempre con un atteggiamento di curiosità nei confronti di ciò che non capiva o che gli era estraneo. Aveva cioè sostituito lo scetticismo con l’ascolto. E sentirsi parte di questo scambio era qualcosa di straordinario. Con  la sua consueta e provocatoria ironia, scrive Antonella De Ninno nella prefazione, Emilio “descrive il percorso della scienza moderna come una serie di inciampi”, di incongruenze che costringono la scienza a mettere in discussione i propri principi. Ed “è proprio con la nascita della meccanica quantistica che la fisica perde il suo principale connotato di ‘misura del mondo’ per confluire (di nuovo direi) nell’ambito della filosofia, ovvero dell’amore per la conoscenza.” Questo era Emilio: amore per la conoscenza. Mentre Paolo… Bè Paolo De Santis era dietro a tutto questo. Era l’eminenza grigia, l’uomo invisibile delle connessioni. Se la scomparsa di Emilio fu un grande dolore, la sua, avvenuta nel novembre 2017, è stata una catastrofe. Paolo De Santis non era solo il collega fisico di Roma Tre che rispettava e ascoltava noi umanisti (cosa che di per sé ci sembrava già un miracolo…), ma ci guidò nei meandri della fisica, presentandoci Emilio, Antonella e più avanti Peppino Vitiello. Paolo non era interessato a mettere la sua intelligenza al servizio dell’ego, ma la travasava, con una virtù quasi magica, negli altri. Era un costruttore di ponti che mediava, connetteva, univa le persone, le idee, i contesti. Mentre tutti salivano sul palco (e non è che lui non ne avesse le capacità, tutt’altro), Paolo era lì, dietro le quinte, che sorrideva silenzioso e pensava, studiava e lavorava al suo prossimo matrimonio fra persone e saperi. Dopo la sua morte ho capito che è solo grazie a uomini come lui se nella nostra vita alcuni dei nostri sogni riescono, con grande sforzo, a diventare realtà.

Uno dei capitoli è sul rapporto il vuoto nella fisica quantistica e nello yoga, disciplina che ha preso molto piede in Occidente e di cui probabilmente c’è un gran bisogno proprio per fermarci e prendere coscienza delle meccaniche interiori ed esteriori. Di che cosa parla la tua ricerca?

Innanzitutto vorrei dire che il mio non è un contributo accademico, ma una riflessione che nasce da una esperienza concreta (la malattia e il recupero) e successivamente dallo studio dello yoga che intrapresi a partire dal 2009 con Antonio Olivieri, insegnante della tradizione Viniyoga di T.K.V. Desikachar. Il vuoto nello yoga è una sorta di interfaccia, un confine dove avviene un passaggio di energie. Collegata alla parte teorica di questo testo vi era originariamente anche una pratica yoga che avevo ideato proprio a partire dalle pause del respiro, cioè le ritenute (a pieno o a vuoto, appunto) che possiamo inserire fra inspiro ed espiro. La ritenuta a vuoto è anche un canalizzatore dell’attenzione, uno spazio dove si attutisce l’attività mentale e si avvia un processo di purificazione energetica. Descrivere che cosa avvenga è molto complesso, forse impossibile. Eppure come ricordiamo nell’introduzione, anche un grande filosofo occidentale come Michel Foucault, alla sua prima esperienza di meditazione, dirà di aver fatto esperienza di “qualcosa”. Foucault non parla di coscienza (una parola che in Occidente si presta a molti fraintendimenti) ma dice: “penso si tratti della possibilità di far esistere dei nuovi rapporti tra lo spirito e il corpo e, oltre a ciò, dei nuovi rapporti tra il corpo e il mondo esteriore.” Bingo! Per lo yoga l’esperienza del corpo è il punto di partenza per arrivare allo spirito, ma soprattutto è il supporto di qualsiasi cambiamento, che deve avvenire necessariamente attraversola materia. Chissà tale consapevolezza dove avrebbe condotto Foucault, se solo fosse vissuto più a lungo.
Tornando al vuoto, l’ipotesi che faccio nella mia ricerca è che vi sia un legame fra l’emergere della coscienza – intesa nel senso orientale del termine – e il vuoto. Ma che cosa è questo vuoto? Leggendo gli scritti di Del Giudice rimasi colpito proprio dalla sua definizione; in particolare quando scrive che il vuoto quantistico è il luogo dove avverrebbe una sorta di “contrabbando energetico”. Antonella De Ninno nella sua prefazione ha riassunto meglio di me la correlazione che ho tentato di stabilire: “Il nuovo, grande soggetto della meccanica quantistica è proprio il vuoto che viene rivestito di qualità e dinamica (…). È un vuoto creatore molto simile, concettualmente, alla Coscienza divina del prāṇa.”

La coscienza. Un dialogo interdisciplinare e interculturale
a cura di Domenico Fiormonte

Istituto Italiano di Studi Germanici, Roma, 2019

Disponibile su http://www.liberdomus.it/

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