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di Nicolai Caiazza[b]La grande bellezza[/b] è un film che ha al centro la cittá di Roma. Roma come metafora della società moderna. Ma anche come sede della Chiesa appunto romana, cioè il prosieguo di quello che fu l”impero omonimo. Si potrebbe, sia pure incidentalmente notare la visione diversa che si ha della Chiesa nei grandi film su Roma.
Mentre nella [b]Roma città aperta[/b] di Rossellini il prete é ancora una persona che spicca per il suo senso di pietas e indignazione verso la sopraffazione (nonostante il fatto che all”epoca la chiesa era diretta da Pio XII, complice implicito del nazifascismo), già nella Roma di Fellini la chiesa é rappresentata come un apparato di potere con le sue mode show e il suo cinismo. Nella Roma de [b]La grande bellezza[/b] la chiesa subisce una ulteriore evoluzione della sua fase di decomposizione: essa é non a caso rappresentata per quel che riguarda la sua più importante espressione spirituale da una specie di Madre Teresa di 104 anni. Già il solo guardarla fa sorgere il dubbio se sia ancora viva o sia già cadavere senza che ce ne fossimo resi conto. Cosà come gli altri prelati che si occupano di cucina e di cene mondane e le frivole monachine di clausura.
Varie scene fanno pensare a Fellini. Indubbiamente non si può raccontare di Roma senza citare Fellini. Mi é parso però che la citazione più diretta è verso il romanzo [b]Che la festa cominci[/b] di Niccolò Ammaniti. È come se la struttura portante del romanzo e del film sia la stessa. Addirittura si potrebbe arguire che il film di Sorrentino si é ispirato al romanzo di Ammaniti. Il disfacimento di tutto un edificio sociale vissuto attraverso le vicende e le impressioni di uno scrittore di successo é infatti in ambedue le produzioni il leitmotiv. Ambedue gli scrittori nuotano nella melma sociale che ha reso possibile il fiorire del proprio successo. Ne sono consapevoli, criticano e disprezzano la situazione nella quale si muovono, ma continuano a farne parte. Anche se lo scrittore Jep de [i]La grande bellezza[/i] in conclusione si rifiuta di scrivere un nuovo romanzo perché questo non potrebbe avere altro soggetto che il nulla.
Sia il libro di Ammaniti che il film di Sorrentino sono prodotti e descrivono un mondo in disfacimento che sta crollando in tutte le sue forme e a tutti i suoi livelli. Situazione della quale tutti si rendono conto ma verso la quale nessuno è in grado di intervenire. Cioè a dire: che il destino si compia, che la festa cominci! E proprio nella “festa” di Ammaniti si compie una grande abbuffata accompagnata dalla catastrofe di tutto quanto è “catastrofabileâ€. Nessuno vi si può sottrarre ma allo stesso tempo ognuno trova il modo di approfittare di tutto quanto è ancora disponibile per il proprio piacere e il proprio possesso: il riferimento al sentimento che guida il “capitalismo delle catastrofi” è quasi diretto.
[b]La grande bellezza[/b] è un film bello e fedele al suo titolo. È il piacere della visione. Una riscoperta di Roma vista non solo dall”esterno ma anche dall”interno delle sue ville e dei suoi palazzi. Ma con inquadrature che sorprendono in continuazione. È un arricchimento del patrimonio di immagini dello spettatore. Il film rivaluta il ruolo della bellezza liberandola dalla volgarità di merce e ridandole il compito di presentarsi come base per la virtù. Si potrebbe osare dire che questo film costituisce un tassello importante nel grande mosaico delle opere d”arte.
(14 dicembre 2013) [url”Torna alla Home page”]http://megachip.globalist.it[/url]‘