O Germania che sei la più forte fatti avanti se ci hai del coraggio

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4 Luglio 2012 - 06.02


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di Piotr (????)

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1. Uno dei vizi storici della sinistra è quello di pensare di “saperla più lunga”.

Non è un peccato di vanità (lo può essere per i singoli). È proprio un difetto analitico, perché la critica all”esistente, ai suoi fenomeni, ai suoi attori, ai governi, alle singole personalità, perde sempre più progressivamente di vista ogni aspetto strutturale per finire in un alquanto risibile “Loro non hanno capito“.

Quindi nessuna Weltanschauung differente, niente analisi dei rapporti sociali, ma tutto si riduce a “capire” o “non capire”. Capire o non capire che cosa, poi, non si capisce 🙂

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Capire quale sia il miglior “modello di sviluppo“? È una questione di “modelli”? Ne siamo così sicuri? È proprio una questione di comprendonio e di scelte?

Non credo proprio. Il capitalismo passa da una crisi all”altra da sempre. La storia del capitalismo è stata più storia di crisi e conflitti che non di sviluppo. Pensiamo veramente che nessun “economista borghese” lo ha mai capito?

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Oggi si accusano i governanti europei di non capire la pregnanza delle ricette neokeynesiane, come se questi governanti non conoscessero le teorie di Keynes, mentre spesso si sono invece formati nella scienza economica proprio come suoi seguaci! E come se non avessero in mente il keynesismo realmente esistente nel secondo dopoguerra, quello del “miracolo economico”.

Certo, è vero che si sono formate una se non due generazioni di economisti ai quali è stata volutamente nascosta la storia economica una storia critica delle idee economiche, concentrandoli forsennatamente sui modelli matematici di una supposta scienza astratta. Ma i decisori ultimi, quelli che le decisioni le prendono in sede politica, e non in sede di “scienza astratta”, le cose le sanno, anche perché di solito fanno parte di una precedente generazione di economisti.

Certo, è sempre meglio metterla sul “capire-non capire” piuttosto che non sul complotto “demoplutogiudaico”, variamente declinato, della finanza. Ma alla fine la capacità di spiegazione è la stessa, anche se nel primo modo si evitano almeno le odiosità del secondo.

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Se il problema è capire o non capire, possiamo allora affermare che a quanto sembra Monti e Hollande con l”assist di Cameron e sotto lo sguardo attento del mister (Obama), l”hanno fatta capire alla Germania, finalmente: occorre più crescita e per prima cosa occorre ridistribuire in qualche modo le difficoltà finanziarie (ovviamente dei Paesi “virtuosi” o sulla retta via) per poi passare alla solita mitica “seconda fase”, cioè allo sviluppo.

Rispetto alla crisi sistemica si tratta solo di una tachipirina. Avremo forse un po” di sollievo, ma le cause saranno solo sfiorate dal contenuto tecnico di questi accordi, mentre di grande rilevanza sul futuro della crisi è il loro contenuto politico.

Infatti le cause di questa crisi sono internazionali. Partono dallo sconquasso degli equilibri globali nati dalla Seconda Guerra Mondiale, colpiscono gli USA, cioè il Paese proclamato leader da quella guerra che cerca di riversare all”esterno le sue contraddizioni e di ricucire gli equilibri che gli garantiscono il ruolo di “indispensable nation“, come diceva Madeleine Albright. Non si possono quindi fare i conti solo con l”Europa o solo con un Occidente (la ex “Triade” di cui parlava Samir Amin: USA, Europa e Giappone) che è destinato economicamente e demograficamente a contare sempre meno. Ma quando si cerca di fare i conti con tutti gli aspetti internazionali, dalla politica monetaria, a quella finanziaria a quella commerciale, si vedrà che questi benedetti conti sono eminentemente politici.

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L”idea che ci viene subito in mente, allora, è che la reale “vittoria” di Supermario è la rinormalizzazione dell”Europa entro i vincoli atlantici, il che vuol dire entro il sistema economico-militare egemonizzato dagli USA. Una rinormalizzazione necessaria non tanto perché i governi europei, e nemmeno quello tedesco, avessero in mente idee veramente pericolose ex parte subjecti, ma perché quelle idee potevano diventare pericolose o non sufficientemente allineate a causa degli sviluppi internazionali della crisi.

L”attacco all”euro è seguito immediatamente all”attacco politico-diplomatico-militare che, non da parte nostra ma dei nostri avversari, è stato posto sotto la rubrica “primavere arabe” (quelle genuine si stanno leccando le ferite e nessuno ne parla più o ne ha mai parlato).

Simmetricamente, alla rinormalizzazione dell”Europa potrebbe seguire una tregua dei venti di guerra nel “Medioriente allargato” con momentaneo accomodamento dei vari rapporti di forza internazionali ora in campo.

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Non abbiamo una sfera di cristallo più precisa di quanto lo possano essere le ipotesi che possiamo fare in base alle conoscenze che abbiamo. Ma queste ipotesi non sono dovute alla divinazione di aruspici, per lo meno non più di quelle che derivano da calcoli sui prodotti nazionali, i debiti sovrani e privati, gli interessi, il PIL e lo spread. Anzi, forse un po” di meno.

2. Come si sa, per evitare pressioni inflazionistiche la BCE però non ha la facoltà di comprare sul mercato primario i titoli emessi dagli Stati europei, o come si potrebbe dire, di fare da “spazzino” dei titoli pubblici invenduti alle aste: si dice cioè che la BCE non è prestatore di ultima istanza degli Stati, ma può essere autorizzata (a certe condizioni che non mettano in discussione la stabilità monetaria, utilizzando quindi meccanismi di “sterilizzazione” della liquidità per evitare un “quantitative easing“) a comprare i titoli di debito pubblico sul mercato secondario, cioè quelli acquistati e messi in vendita dai privati. Però può essere prestatore di ultima istanza delle banche. Essendo le banche tenute a restituire i prestiti presi dalla BCE, formalmente non vi è immissione in circolazione permanente di denaro fresco.

Ogni “dirazzamento” da questa impostazione è stato visto dalla Germania come l”inizio della tragedia. Senza ripetere i commenti che si posso leggere ovunque, i recenti accordi “salva Europa” sono riuscito per ora sostanzialmente ad ammorbidire il richiamo ortodosso a quell”impianto finanziario e a prospettare un “salto” più corposo per un non lontano futuro, come prosecuzione dei nuovi meccanismi di controllo politico comune dell”economia. Inutile dire però che una legittima creatura di una unione politica europea non può essere che l”eurobond , ai quali la signora Merkel oppone una battaglia mortale. Ma non solo la signora Merkel, dato che ci sono netti segnali che anche l”opposizione tedesca voglia opporre una fiera resistenza a questa prospettiva.

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In realtà siamo ai limiti di un giro vizioso. Gli eurobond danneggerebbero l”economia tedesca (e immediatamente il tenore di vita delle classi lavoratrici) e non essendo l”Europa nella posizione di “esorbitante privilegio” degli USA che permetta di sostituire il riferimento metallico con il riferimento alla propria potenza nuda e cruda, il riferimento dell”euro non può essere in ultima istanza, che la potenza economica della UE. La cosa avrebbe però un senso se la UE non fosse invischiata anch”essa nella finanziarizzazione a guida statunitense, ovvero se la finanza agisse effettivamente come motore di uno sviluppo materiale, cosa che anche in Europa non è più dalla fine degli anni Sessanta.

Finisce così che il riferimento dell”euro è sostanzialmente l”economia dell”area tedesca e il suo surplus commerciale che però è in massima parte ottenuto a scapito di un deficit commerciale dei suoi partner europei. I quali non avendo la possibilità di compiere le manovre monetarie classiche per ribilanciare, a causa della gabbia dell”euro-marco, cioè dell”euro governato dalle politiche della potenza maggiormente in surplus, si trovano indeboliti e soggetti ad attacchi speculativi che fanno leva sui debiti pubblici, o meglio sul loro rapporto col PIL. Attacchi speculativi simili a quelli che erano rivolti alle monete nazionali quando esse erano ancora in vigore. In altre parole, l”attacco al rapporto debito/PIL è in definitiva una forma di attacco all”euro-marco condotto facendo leva sui Paesi più deboli, economicamente e politicamente, dell”eurozona e più danneggiati dalla politica economica centrata sull”euro-marco.

Ovviamente non è solo quello. E” anche speculazione, ma le singole manovre speculative, che possono seguire criteri vari, da quelli automatici a quelli più strategici, convergono verso quell”esito, che è un esito dall”utilizzo politico.

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3. Da un certo punto di vista, l”accumulo di surplus commerciale da parte della Germania appare come un meccanismo di supplenza alla mancanza di un riferimento metallico della moneta-chiave internazionale, il dollaro, cioè il solo modo per la Germania di accumulare ricchezza nazionale non riuscendo ad affrancarsi dalla moneta statunitense. La Germania è da questo stesso punto di vista nella medesima situazione di Cina, Russia e degli altri Paesi emergenti in surplus.

La differenza con quei Paesi è che la Germania ha poco spazio per aumentare la spesa interna. Uno spazio economico ridotto geograficamente e anche storicamente, essendo uno dei Paesi a più antico sviluppo capitalistico. Per questo motivo l”Europa le è per ora indispensabile mentre da tempo cerca di spingere sulle sue classiche direttrici geostrategiche: la linea Balcani-Vicino Oriente e l”Europa dell”Est (avrebbe dovuto dar da pensare il fatto che il nome “Sarajevo” fosse ritornato tristemente di attualità meno di un secolo dopo l”attentato all”arciduca d”Austria del 1914).

Ma in quella direzione la Germania deve muoversi con circospezione e questa volta in alleanza con la Russia. Un po” perché ha ormai capito l”antifona, un po” perché la Germania è oggi pur sempre una sorvegliata speciale degli USA, la maggior potenza internazionale, che dal canto suo ha interessi geostrategici analoghi (si veda la guerra in Kosovo). E infine perché i legami che oggi ha ancora con l”Europa sono vitali.

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Difficile quindi pensare che questo Paese voglia di punto in bianco abbandonare l”Europa e che contemporaneamente non si renda conto del tallone d”Achille costituito dal “suo” euro-marco. La sua strenua e caparbia resistenza, almeno palese, a ogni proposta di rivedere la costruzione finanziaria europea nasconde quindi strategie, o anche paure, che sono tutte da indagare e non si possono limitare al timore di perdere una posizione di privilegio, innanzitutto perché così la Germania rischia di perderla veramente e in secondo luogo perché ridistribuendo i rischi sui Paesi “virtuosi” toglierebbe proprio una delle armi principali agli attacchi speculativi contro la “sua” Europa. E allora che cos”è che la Germania “non capisce”?

La sua resistenza, i suoi famosi ripetuti “nein“, possono forse essere interpretati non in base alla categoria di “egoismo” di breve prospettiva (con annessi e connessi come il fatto che alla fine ogni governo deve rendere conto solo al proprio elettorato – cosa per altro smentita quando si vuole sostenere una tesi opposta), bensì in base ad una strategia di sopravvivenza di medio periodo. Di sicuro sta cercando di trarre i maggior profitti posizionali possibili da questa crisi sapendo che è la chiave di volta non già di una sua soluzione ma di una sua gestione non rovinosa. Rischia con questo atteggiamento? Sì, rischia, ma evidentemente non così tanto come può sembrare.

Ma viene in mente anche un gioco di sponda con i grandi Paesi emergenti, cioè coi BRICS e le aree economiche e geopolitiche che si stanno organizzando attorno ad essi (ma in generale possiamo pensare ai 6/7 dell”umanità che ormai contano per più del 50% del PIL mondiale). Un gioco di sponda che può essere sia complementare al Risiko finanziario-politico che sta giocando in Europa, sia per ora semplicemente parallelo.

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Questi Paesi grandi “competitor” internazionali hanno già mostrato molti segni di nervosismo per la continua immissione di dollari stampati dalla FED che da una parte li obbliga ai salti mortali per stabilizzare le loro valute e dall”altra rischia di svalorizzare seriamente le loro riserve denominate in dollari (in primis i titoli del Tesoro americano) e rendere più costoso l”approvvigionamento delle materie prime denominate in dollari, come il petrolio. Affiancare al meccanismo di esportazione di inflazione manovrato dagli USA anche un meccanismo manovrato dall”Europa con tutta probabilità subordinato alle scelte finanziarie, economiche e politiche statunitensi, non può che allarmarli di più. La resistenza della Germania potrebbe essere quindi anche un tentativo di resistenza alla politica finanziaria degli USA che si collega alle contromosse internazionali che stanno provocando una linea di frattura nel mercato mondiale e che quella politica ha suscitato.

In definitiva, se ciò è vero, la resistenza della Germania è parte integrante della sua Ostpolitik.

4. Anche se non è campata per aria, è una interpretazione che comunque potrebbe essere sbagliata o, più verosimilmente, solo parziale.

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Ad ogni modo, non è possibile leggere in puri termini economicistici la “vittoria” di Mario Monti, una persona che fin da principio era da considerare la punta di diamante di un disegno statunitense che doveva essere mediato coi vari interessi europei, ed ovviamente con quelli dei nostri settori capitalistici, in primo luogo i settori predominanti politicamente che non necessariamente coincidono con quelli tecnicamente più avanzati.

Una lettura economicista si limita da una parte a chiedersi se i risultati saranno stabili o meno sulla base del solito concetto di “crescita”, mentre dall”altra scruta esclusivamente i danni palesi o nascosti che subiranno le classi e ai ceti popolari. Ovviamente questa ultima preoccupazione è più che legittima e necessaria (chi scrive è stato danneggiato pesantemente dalla politica del governo Monti), ma servirà a poco se è sostenuta da una interpretazione che tralascia del tutto la visione politica internazionale della crisi. Ovvero tralascia di capire che cosa i vari sistemi nazionali o sovranazionali capitalistici pensano di “poter fare da grandi”, la strada cioè che devono percorrere per utilizzare al meglio la crisi o per lo meno non uscirne con le ossa rotte. Senza quella visione potremo solo opporre delle doverose resistenze destinate però ad esaurirsi in ruoli di retroguardia, passando da un affanno all”altro.


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