I liberali sono sociopatici? Fenomenologia dello Spirito barbaro

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25 Dicembre 2012 - 18.16


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di Pier Luigi Fagan – pierluigifagan blog

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Incapacità di conformarsi alle norme sociali (e democratiche), disonestà (il soggetto mente e truffa gli altri), incapacità e rifiuto  a pianificare, aggressività, irresponsabilità verso gli altri, mancanza di rimorso“  è questa la breve descrizione del Disturbo Antisociale di Personalità (ADP in inglese).

Una rapida carrellata mentale che include i principali “eroi” della banco finanza contemporanea (da Madoff  al CEO di Goldman Sachs L. Blankfein), piuttosto che i grandi corsari e pirati del ”500 e del ”600 (da sir F.Drake a H.Morgan di cui non si sa se J.P.Morgan di Morgan Stanley possa dirsi legittimo discendente)  può dar corpo a questo idealtipo sociopatico.

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Nell”indagine condotta da R.Wilkinson e K.Pickett [1] collezionando e sovrapponendo tutti i database a loro disposizione emerge un quadro chiaro ed incontrovertibile del contenuto contradditorio delle società anglosassoni, quelle da cui proviene il codice utopico del moderno liberalismo, basato sull”antropologia dell”individualismo possessivo. USA e UK sono sistematicamente in testa, rispetto all”insieme dei paesi cosiddetti occidentali (o a capitalismo di mercato, quindi includendo Giappone, Singapore ed Israele) per i seguenti item: sfiducia verso il prossimo, minori percentuali di reddito devoluto a gli aiuti internazionali (egoismo), mobilità sociale, nonché più alte percentuali di popolazione che soffre di disturbi mentali, consumo di droghe, obesità, minori speranze di vita, disturbi del comportamento derivati da stress, gravidanze adolescenziali, omicidi, violenza e conflitti tra bambini, detenuti in carcere. Il tutto si interseca con la stabile leadership di questi due paesi quanto a diseguaglianza sociale e dei redditi (indice Gini). L”antropologo di riferimento di questi popoli – culture è quel T. Hobbes [2] per il quale la vita era: “solitaria, misera, sgradevole, brutale e breve”, l”esatta descrizione della trama sociale della storia degli anglosassoni.

Sembra che gli anglosassoni abbiano un punto cieco nella loro vista cognitiva e questo punto cieco è la società. Dopo essersi massacrati l”un con l”altro per secoli, giunsero a dirsi una nazione, più sull”onda della reazione alla sconfitta della Guerra dei Cent”anni ed alla costituzione della Francia come primo stato nazione della storia occidentale, che per fermo convincimento. Pur limitati alla sola unione di Inghilterra e Galles (alla cooptazione violenta del Galles sotto il dominio inglese), rimasero assai bellicosi ed instabili, tanto da giungere nel 1642 ad una bella guerra civile. In seguito si sposarono per convenienza con gli scozzesi (con permanente odio reciproco) e cooptarono per invasione e dominio gli irlandesi. Gli stessi americani faticarono non poco a passare dal localismo al federalismo ed anche qui servì infine una bella guerra civile per stabilire le gerarchie interne. Il regno delle isole si dice “unito” e gli stati d”America si dicono “uniti”, quasi che senza questa necessaria reiterazione il sistema tendesse allo sfaldamento. Nel primo caso simbolo dell”unione è una bandiera che sovrappone quelle precedenti inglesi, scozzesi ed irlandesi accanto alla figura unificante del monarca, nel secondo caso simbolo dell”unione è la stars and stripes (con una stella per ogni stato) accanto alla figura del Presidente – sovrano.

Cosa fa stare assieme questi popoli? La fondazione della loro ragion d”essere si può trovare nella litigiosa accoppiata Hobbes – Locke. Il primo suggerì ai contemporanei presi dalla guerra civile, che senza un contratto sociale, cioè senza stipulare un formale accordo che superasse la naturale entropia dei clan baronali, si sarebbe rimasti allo stato di natura che secondo lui era la “guerra di tutti contro tutti”. Il secondo aggiunse che l”oggetto del contratto fosse la difesa della “vita, della libertà” ma aggiunse anche “della proprietà“. Questo concetto della libertà, per gli anglosassoni e per il pensiero liberale, fino al moderno liberalismo, s”intende libertà “da”, dal sovrano, dallo stato, da tutto ciò che limita l”intenzione dell”individuo di fare ciò che più gli pare e piace con ciò che gli riesce di trarre dal fare mercato. Con la garanzia di uno Stato che protegge dai criminali e quindi ha il monopolio della violenza sia sul fronte interno, sia su quello di difesa-offesa verso l”esterno, garantisce le libertà individuali e soprattutto protegge la proprietà privata, si compila l”oggetto statuale del contratto che unisce gli individui anglosassoni in società. Questo è un contratto di protezione non un contratto regolamento, è sempre una libertà “da”, non una libertà “di”. Non è una libertà sociale è una libertà strettamente individuale.  Con un simile contratto si stabilisce cosa non deve essere una società non cosa può essere. Dove stabiliscono quindi gli anglosassoni cosa la loro società sarà, ovvero da quale regolamento sarà ordinata?

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La risposta nella realtà storica dei fatti la si trae dalla letteratura secondaria. B. de Mandeville nel 1705 ci dà un vivido affresco, sotto tracce di metafora, di quella che era la società inglese, una società fondata sul cieco perseguimento degli egoistici interessi personali, su i vizi privati, che la mano invisibile del mercato, trasformava non senza una certa dose di magia, in pubblici benefici. “Vizi privati, pubblici benefici” è infatti il sottotitolo della sua operetta favolistica [3] che dà conto del regolamento sociale degli anglosassoni ben 70 anni prima di Adam Smith. Ecco allora che la società anglosassone si compone così di un regolamento effettivo sebbene non codificato che è il mercato, il far soldi, l”accumulare individualmente quanta più ricchezza è possibile all”interno di una serrata costante competizione interpersonale. Un regolamento che M.Weber poi chiamerà “spirito del capitalismo” ovvero trasformazione mondana di una etica della salvezza derivata da certo protestantesimo puritano e quindi “giustificata” anche dal principio religioso. Quello culturale, fatto di scienza, tecnica, razionalismo, empirismo, potenza individuale andrà al seguito. Quello giuridico – politico si limiterà nell”espressione di una costituzione leggera, tutta garantista della libertà individuale e della sacralità dell”individualismo proprietario.

Per l”americano J.Madison la democrazia pura è ciò che va evitato con ogni forza, pena l”eterna disputa tra le fazioni mentre a J. Mill e più ancora a J.Bentham si deve la formulazione del principio utilitario della società come “massima felicità, per il maggior numero”, massima felicità data ovviamente da ricchezza e libertà di usarla in ogni modo all”individuo piaccia. Si noti che sino a qui, vige il principio secondo il quale votano i maschi adulti che pagano un certo importo di tasse e che quindi hanno un certo volume di proprietà, questo sono “i migliori” (gli aristoi)  di questa aristocrazia senza altra tradizione che non la proprietà in parte ereditata, in parte costruita in vita, industriandosi o facendo il pirata. J.S.Mill addirittura propone che da una parte si estenda il diritto di voto, dall”altra si contino per 10 i voti dei migliori riequilibrando così il loro minor numero con un loro maggior peso. M.Weber ed ancor più J.A.Schumpeter si fanno meno scrupoli e dichiarano apertamente che il sistema migliore è quello delle élite tra loro in competizione davanti al popolo – pubblico che attribuirà all”uno o all”altro il peso del governo dei Tutti. Curiosa la motivazione che poi è sempre la stessa che ricorre nei ragionamenti degli anti democratici, per cui il popolo non sarebbe in grado di governare perché non sa le cose. Ma allora in base a cosa scelgono i loro rappresentanti tra le élite  in competizione, su quale oggetto è dato il mandato di rappresentanza? Il bello è che lo stesso Schumpeter si duole della demagogia e dell”invasione manipolatoria ( tipo psicologia delle folle à la G. Le Bon di cui Mussolini e il nostro precedente Presidente del Consiglio erano ammirati fans ) della pubblicità, distorsioni che intervengono proprio nell”interstizio tra partecipazione attiva ed informata e distratta delega del leader che “sembra” idoneo o che ci cattura col suo fascino carismatico, come un testimonial che ti vende un sogno. 

Democrazia e liberalismo si configurano come due regolamenti incommensurabili, essi sono la dicotomia prima della moderna teoria politica. La democrazia è il primato sociale della politica e dell”uguaglianza nell”ambito politico, il liberalismo è il primato sociale dell”economia  e dell”oligarchia nell”ambito politico determinato da quello economico. Il liberalismo di derivazione anglosassone sopporta la società come forma calmierante gli eccessi di potenza, aggressività e competitività individuali ma la obbliga ad ordinarsi solo rispetto alla funzione del mercato, poiché è solo questo che l”individuo proprietario riconosce come regolamento a lui esterno.

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Anticipati dall”americano S.M.Lipset che negli anni ”60 celebra la fine delle ideologie, la scomparsa della fastidiosa dicotomia destra – sinistra (che essendo una dicotomia politica, non è giustamente riconosciuta dagli aedi del principio impersonale ed a-ideologico del mercato) e la validazione della bontà della democrazia debole ( poche persone che vanno a votare, assenza di dibattito, di “fazioni” come temeva Madison) poiché se la maggioranza è silenziosa vuol dire che le va tutto bene, giungono alfine i paladini del neo – liberalismo. R.Nozick [4] anticipando di un decennio la Signora Thatcher , non creda esista nulla che chiamiamo società “ci sono solo individui, individui differenti, con le loro vite individuali”. Se non c”è la società, che senso ha lo Stato ? Da questa domanda senza risposta o meglio con una risposta che porta al dissolvimento totale dello stato di fronte ad una società ordinata dal principio di un “mercato puro” (tutto è individuale quindi privato, regolato dal sistema dei prezzi formatisi nella relazione tra domanda e offerta) originano l”anarco capitalismo di M. Rothbard e le correnti libertariane, vivaci oggi in ambito statunitense. Se non proprio del tutto solvibile nell”acido mercatistico, lo stato va comunque ridotto al minimo, ridotto a livello di agenzia protettiva (ma con possibile appalto privato dei servizi di polizia, carcerazione e militari). F. von Hayek [5] ha il dono della chiarezza: se democrazia significa ” il volere illimitato della maggioranza”, egli dichiara “non sono un democratico”, evviva, e con quale orgoglio ! Per Hayek la giustizia distributiva e sociale è la “Via della schiavitù” (in polemica non con i più estremi marxisti ma con il neokantiano J.Rawls), la libertà è il mercato poiché privo di presupposti di potere (!?). Via allora welfare state, paternalismo assistenziale, sindacati ed altre burocrazie faziose, tutto va privatizzato e regolato dai flussi impersonali del mercato.

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Alcuni di questi pensatori non sono di stretta origine anglosassone, anche se hanno vissuto a lungo e con piacere in Gran Bretagna e negli USA, ma la stragrande maggioranza sì. Cosa collega gli anglosassoni a questo fastidio per la società ? solo ideologia a rimorchio della centralità dell”economia di mercato? In buona parte sì, in buona parte esso deriva dalla scelta originaria di ordinare la propria società non attraverso la politica che è strettamente limitata al bipartitismo perfetto in cui due leggermente diverse interpretazioni della stessa cosa, si alternano in elezioni saltuarie (whig e tories, conservatori e laburisti, democratici e repubblicani), ma attraverso l”economia di mercato. Ma a sua volta, da dove derivava questa scelta?

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A rispondere a questa domanda, ci può aiutare Marx, ma non il Marx economista simmetrico contrario al suo amore – odio D. Ricardo (da una parte, dall”altra Hegel), il Marx delle legge bronzee del capitale, ma il Marx storico – antropologo che nelle Forme economiche pre capitaliste [6], uno dei quaderni dei Grundrisse, ci fornisce una acuta indagine di chi fossero i popoli germanici, specie quelli dell”estremo Nord, ovvero proprio quei Sassoni (anche Marx era sassone sebbene di origine ebraica, come Ricardo che però era portoghese, quindi cacciato dalla Reconquista), quegli Angli (e Frisoni e Juti e Franchi), che poi migreranno violentemente verso le coste sud est dell”isola britannica. Sentiamo le sue parole “La comunità appare dunque come riunione, non come unione, come accordo i cui soggetti autonomi sono i proprietari fondiari, non come unità“, ciò anche in ragione di quanto detto prima, ovvero che i germani vivono in famiglie e clan, dispersi nel territorio, lontani gli uni dagli altri, alle prese con una terra avara, un natura con la quale combattere, ossessionati dalla scarsità. Perennemente in guerra gli uni con gli altri, dilaniati da lunghe e complesse faide alle quali rinunciarono solo in favore di un principio di pagamento per i torti subiti, sublimando nel denaro, l”atavica paura e sete di vendetta. Insomma barbari che non hanno la polis, la res pubblica, la piazza, la cultura del discorso, la legge, l”arte, nel loro retaggio.

E” più o meno questo anche lo spirito che anima l”acuta analisi di T.Veblen, americano ma di precise origini norvegesi che più di un secolo fa ci diede la sua penetrante analisi dello spirito di un certo animale capitalistico quale si trova nel suo storico “La teoria della classe agiata” [7]. Le famiglie potenti, sono clan dinastici le cui ramificazioni collegano impresa, banca, finanza, e in cui i singoli individui perpetuano fedelmente la tradizione etica, politica, psicologica che contraddistingue gli aventi potere. Noi oggi le chiamiamo élite. Veblen scopre anzitempo, che l”accumulo di proprietà e di ricchezza non derivavano da capacità di procurarsi il massimo conforto materiale, ma da un certo spirito predatorio che ostentava la ricchezza per bisogno di considerazione (e financo invidia) sociale. Da qui quel peculiare fenomeno del consumo esibitivo come linguaggio che posiziona nel ranking della società competitiva. Non più l”elsa della spada forgiata dai metallurgi sarmati ma l”ultima versione di I-pad, non la cosa in sé ma il mostrare di potersi permettere (quindi meritare) il simbolo del successo da mostrare fieri a gli altri, per essere “riconosciuti”. La competizione ossessiva era un torneo barbarico, il costo della rivalità senza fine dei ricchi era la miseria sempre più profonda dei poveri. Il tutto era stato riquadrato in una potente fusione che amalgamava la cultura baronale degli antichi sassoni, con Adam Smith e la provvidenziale “mano invisibile”, sublimato infine nell”evoluzionismo spenceriano in cui la guerra di tutti contro tutti di Hobbes era diventato la lotta per la supremazia del più forte, celebrato come “migliore” e santificato dalla predestinazione puritana. L”etica e la morale, dal libertinismo cinquecentesco al materialismo hobbesiano, passando per la caparbia ignoranza del pensiero proveniente da Spinoza, avevano spianato la strada. Una sorta di Fenomenologia dello Spirito barbaro.

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E” attribuita a Rosa Luxemburg l”espressione “socialismo o barbarie” (Junius pamphlet, Chapter 1 – 1916) sebbene ella la riferisse come di Engels. I barbari anglosassoni succedettero in un Medioevo parallelo a quello continentale, alla lunga civiltà greco – romana, una civiltà che come tutte le civiltà ebbe un suo andamento organico di nascita – espansione – morte. Al lungo intermezzo medioevale, fece seguito la Modernità che, nata in Italia e nel continente, trovò poi la sua forma tipica in Inghilterra con la Gloriosa rivoluzione del 1688-89. I barbari edificarono un nuovo sistema che portò scienza, tecnica, economia, finanza, élite a costituire un sistema che ebbe molti meriti al prezzo di altrettanti demeriti. In particolare, il bisogno di alimentare l”ordine interno alle loro società ed a quelle che sulla struttura del loro sistema si andarono piano piano a conformare (il continente si uniformò al nuovo sistema solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, resistendo tra Ancien régime, potere della Chiesa romana, aristocrazia nobiliare, borghesia opportunista, fascismi vari, contadini e latifondisti conservatori alternativamente resistenti in precarie e variabili alleanze) soggiogando, sfruttando, rapinando tutto quanto fuori del loro perimetro di neo civilizzazione. Oggi questo, a fronte dell”impetuosa crescita dell”Asia, del Sud America, della ostinata diversità del Medio Oriente e la prossima probabile emancipazione dell”Africa, semplicemente – non è più possibile – .

Ci troviamo dunque nuovamente ad un crocevia, un crocevia in cui ci si presentano domande difficili, domande su come intendiamo sviluppare il nostro adattamento al nuovo assetto del mondo. Cosa reca in scritta l”indicazione del nostro bivio? socialismo o barbarie? decrescita o barbarie? civiltà (già ma quale?) o barbarie ? indipendenza e sovranità o barbarie?

Io credo che l”alternativa alla non società degli individui barbari basata sul principio del mercato, governata da élite espertocratiche nella migliore delle ipotesi se non da clan di sociopatici insicuri, bellicosi ed egoisti, da regimi di vita basati sull”esclusione e la competizione ossessiva sia ciò che più di ogni altra cosa costoro hanno dimostrato di aver temuto, la comunità riunita nell”autogoverno di se stessa, la Democrazia. Riunire le nostre comunità sfrangiate e depresse, riunirle intorno al principio politico del darsi la legge da soli, trovare il modo di vivere tanti quanti siamo, con le nostre ricchissime differenze e preferenze, assieme. Dal materialismo storico incarnato nel dominio del principio economico non si esce con un nuovo principio economico, ma con un principio di diversa natura. Questo principio alternativo è quello più naturale per le comunità degli uomini sociali ovvero dei cittadini (i viventi in polis) cioè la Politica. Questa politica sarà il risultato del gioco componente delle opinioni, interessi e volontà individuali, il gioco il cui regolamento è la Democrazia.

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L”alternativa alla società ordinata dal principio economico è la società ordinata dal principio politico. L”alternativa al capitalismo, non è una nuova forma economica, ma una nuova forma politica. L”alternativa al capitalismo è la democrazia. E” dalla democrazia in essere che nascerà la nuova funzione economica, è solo dalla civiltà (dalla civis) che può provenire l”emancipazione dalla barbarie.      


[1] R. Wilkinson, K. Pickett, La misura dell”anima, Milano, Feltrinelli, 2009

[2] T. Hobbes, Il Leviatano, Bari – Roma, Laterza,

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[3] B. de Mandeville, La favola delle api, Bari – Roma, Laterza, 2008. Utile per comprendere un certo tipo di mentalità anglosassone possono essere due romanzi di D. Defoe; Moll Flanders e il mitico Robinson Crusoe. In particolare il secondo ci mostra l”ideal tipo della mitologia anglosassone: l”individuo solo, coadiuvato da uno schiavo, in lotta con l”astuzia, la tecnica e la forza, contro la Natura. 

[4] R. Nozick, Anarchia, stato, utopia, Milano, Il Saggiatore, 2008

[5] F. von Hayek, La società libera, S.M., Rubbettino, 2007-2011

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[6] K. Marx, Forme economiche pre capitalistiche, Roma, Editori riuniti, 1974

[7] T. Veblen, La teoria della classe agiata, Torino, Einaudi, 2007


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Fonte: http://pierluigifagan.wordpress.com/2012/12/19/i-liberali-sono-sociopatici-fenomenologia-dello-spirito-barbaro/



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