Tra due fondamentalismi

Dinamiche capitalistiche, poteri occidentali e terrorismo islamico. [Adam Vaccaro]

Tra due fondamentalismi
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30 Gennaio 2015 - 12.10


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di Adam Vaccaro

L’ultima vicenda terroristica francese spinge a riflettere sugli attuali rapporti tra popoli, religioni e ideologie (sotto le quali, dovrebbe essere inutile ricordarlo, ci sono interessi economici contrapposti dello scacchiere mondiale), e a fare i conti con le proprie convinzioni, per rafforzarle o per interrogarsi su di esse, e magari rettificarle.

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Credo sia utile un atteggiamento aperto, rispetto alle varie sfaccettature della situazione. Tra le quali c’è la necessità di darsi e dare dei limiti all’idea di libertà, in genere o praticata nel mondo occidentale. Spesso proclamata con sensi, accezioni e falsità ideologiche che fanno da corona alla sarabanda commerciale e propagandistica dei poteri in atto. Che rivendicano l’orgoglio di offrire il mondo migliore possibile in condizioni di massima libertà per tutti.

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È un crinale di ragioni pro e contro che vorrei percorrere, per cui da un lato è ovvio riconoscere le libertà di espressione e di movimento consentite dalle democrazie occidentali. Dall’altro, è altrettanto impossibile non vederne i correlativi contorni di falsificazione di una realtà, in cui la misura della libertà (e dell’entità di ogni diritto, compresa la giustizia) si concretizza a fisarmonica, in rapporto al potere economico di chi la esercita.

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È una verità (e realtà) misurata sulla propria pelle dai ceti popolari più poveri e deboli, nei confronti dei quali, può apparire laicamente blasfemo dire che sia le organizzazioni criminali sia l’organizzazione statale che dovrebbe combatterle, creano contesti favorevoli a corrompere in modi diversi. E la corruzione comincia da una libertà (male)intesa che spinge a perdere il senso del limite nella gestione dei desideri, siano essi rivolti a cose, oggetti, persone, tanto più se riguardano campi quali il sesso, i giochi o le droghe. La libertà senza i limiti, non tanto declinati da leggi, quanto da una comunità che li fa ed esprime, corrisponde al contesto attuale, in cui il senso etico è diventato ingenuo, noioso e indefinibile per soggetti che si sentono soli e non più parte di una polis, al massimo parte di una lobby o di un gruppo di interesse.

La libertà in tale contesto di società fatta da una somma di individui (come diceva una campionessa di tale visione, quale la Thatcher) che non diventano comunità, acquisisce connotati di lotta di tutti contro tutti, di licenza, di furbizia e ricerca di scorciatoie, fino a varie forme di prevaricazioni violente. La libertà tende così a farsi ancella di un piano inclinato di barbarie, che offre soluzioni, illusioni e convenienze, in cui il latrocinio e la corruzione non sono più l’eccezione ma la regola, perché le regole auspicabili sono saltate, o solo declamate da coloro che dovrebbero esserne i difensori e che invece si rivelano i principali responsabili di tale deriva.

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Entro quest’ultima vengono esaltati valori quali la velocità, il dominio del mercato, il tutto subito e il qui e ora, e la riduzione di ogni cosa a merce. E i portavoce sono gli stessi che negli ultimi decenni hanno indotto un travaso colossale di ricchezza dai più poveri, sempre più poveri, ai più ricchi, sempre più ricchi. Una gestione criminale delle dinamiche socioeconomiche aggravata dalla camicia di forza imposta in Europa dall’Euro, che sta distruggendo il senso del futuro, in primo luogo per giovani generazioni, che si misurano in un contesto di declamazioni di libertà col senso, per i più, di offrire al minor prezzo la propria opera.

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Uno dei libri che negli ultimi anni ha preso in esame queste tendenze della fase storicosociale attuale, già prima dell’emergere della crisi in atto, è intitolato L’epoca delle passioni tristi, di due psichiatri francesi (M. Benasayag e G. Schmit). In esso, si rileva come l’orizzonte temporale e sociale di questi ultimi decenni da futuro-promessa si è trasformato sempre più in futuro-minaccia.

Sembra una banalità scontata ed evidente, eppure è uno dei mutamenti epocali, di cui la nostra cultura pare non abbia colto minimamente il segno e la gravità: ogni “visione ottimistica è crollata. Dio è davvero morto e i suoi eredi (scienza, utopia e rivoluzione) hanno mancato la promessa. Inquinamenti di ogni tipo, disuguaglianze sociali, disastri economici, comparsa di nuove malattie, esplosione di violenza, forme di intolleranza, radicamento di egoismi, pratica abituale della guerra hanno fatto precipitare il futuro dall’estrema positività della tradizione giudaico-cristiana all’estrema negatività”, chiosava a commento del libro Umberto Galimberti (La Repubblica del 7/8/04).

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Aggiungo che la visione ottimistica è nucleo generante del pensiero illuministico e della Rivoluzione francese, atto di nascita del Moderno e delle idee laiche di libertà e uguaglianza, rivendicate da un capitalismo vittorioso su una società fondata su poteri religiosi e temporali emanati direttamente dal vero e unico Dio. Un capitalismo, quindi, allora rivoluzionario contro il fondamentalismo preesistente.

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L’attuale contesto storicoculturale, dai caratteri al tempo stesso tragici e grotteschi della fase globalizzata dell’estremo sviluppo capitalistico, è dominata invece da un potere e un pensiero unico – fondati sull’utile economico – rispetto al quale ogni ipotesi elaborata dal pensiero occidentale, religioso o laico che sia, appare collassata e incapace di costruire alternative. La stessa scienza produce continue e contraddittorie proliferazioni teoriche, di cui resta il trionfo tecnologico, crono contemporaneo che mangia se stesso e noi in una incessante e (spesso) insensata frenesia innovatrice, per la quale ”la sola cosa sacra è la merce”.

Perché soffermarsi su tali aspetti del mondo occidentale, mentre veniamo messi di fronte ad attacchi terroristici che si richiamano a un fondamentalismo religioso musulmano, irriducibilmente contrapposto al fondamentalismo economicistico e materialistico delle idolatrie occidentali?

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Ho premesso all’inizio una ricerca di riflessioni aperte rispetto a tali polarità che appaiono inconciliabili, e che è obiettivamente difficile negare. Eppure la complessità dei problemi che abbiamo davanti ci sfida a cercare possibilità positive, che sono di difesa della vita nella morsa barbarica che non vede altro che soluzioni di guerra. Ma tale ricerca impone una prima domanda: che spazio praticabile ha un pensiero critico e laico che non condivida alcunché delle logiche contro l’umanità connesse ai due fondamentalismi? Barbarie prodotte da un lato dalle leggi economiche del capitalismo finanziario e globalizzato, dall’altro da fanatismi pseudoreligiosi armati?

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Non si tratta di concettualizzare un atteggiamento politically correct o buonista, ma di fare – pur nei limiti imposti dal contesto – pratiche di relazioni gioiose, quali quelle richiamate da Spinoza, opposte a quelle dell’utilitarismo e del successo, acuendo la capacità critica sui due fronti, perché le derive dell’uno non sono ininfluenti o prive di responsabilità nei confronti di quelle dell’altro.

Gli spazi ideali e vitali entro cui agire sono indubbiamente ristretti e le chiusure contro cui dobbiamo misuraci sono enormi. Il capitalismo trionfante degli ultimi decenni ha affermato la propria ideologia, anche grazie all’assenza o all’inefficacia di una opposizione di idee e di pratica da parte delle nomenclature dei partiti storici della sinistra. Che, anzi, escluse alcune inconsistenti frange, sono state assorbite dalle logiche dominanti, fino a incarnare ruoli di avanguardie del pensiero unico neoliberista. Pensiero che, senza una visione alternativa, è stato declinato solo in modi diversi da destra e sinistra, che – al di là di dispute parolaie – hanno ricercato continui accordi trasversali, col berlusconismo prima di altri.

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Tutto questo ha accentuato in Italia quelle tendenze corruttive sopra ricordate. Ma in tutto l’Occidente ha imperato l’esplosione del capitalismo selvaggio, rispetto ai ceti più poveri all’interno, e nei confronti di popoli e aree di quello che era il Terzo Mondo. Aree ricche di petrolio e materie prime, rapinate con ogni sorta di violenze, spesso contrabbandate da “guerre umanitarie”, “difesa della democrazia” ecc. Pratiche consuete di menzogna, vestita di propaganda ideologica, verso l’interno e l’esterno.

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Anche la cronaca dell’attentato parigino offre spunti per molti interrogativi cui per ora non ci sono risposte adeguate (tra le quali: chirurgica ferocia e imprecisione operativa fino a sbagliare il n. civico, attenzione al recupero di una scarpa e dimenticanza di un documento di identità, numero dei terroristi, impossibilità da parte di decine di migliaia di militari a catturarli vivi, utili al fine di avere informazioni). Buchi neri logici e dubbi che esperti e persone normali, raziocinanti e meno soggiogate dal can can dei media, non possono non porsi.

Troppe le esperienze nazionali e internazionali di occultamento della verità da parte dei poteri costituiti, per non farlo. Dalle stragi italiane della strategia della tensione (da Piazza Fontana in poi), alle vicende americane (dagli assassinii dei Kennedy al Watergate, dalle Torri Gemelle e alle ultime guerre in M.O.) tutto sempre pieno di incongruenze, bugie e segreti di stato. Poche volte smascherati completamente.

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Anche in quest’ultimo atto terroristico, forse sapremo qualcosa di più in futuro o forse mai, ma prendere per oro colato quello che appare o viene legittimato dai poteri in atto è, come minimo, poco assennato. Naturalmente chi dubita o pone interrogativi è subito accusato di essere malato di complottismo da parte dei referenti delle verità ufficiali.

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Ma questa prudenza è sicuramente rafforzata dalle grida che offendono con volgarità e danno del coglione a chi la pensa diversamente da parte di portavoce ossequienti, destri e sinistri (da Annunziata a Ferrara, a più sgangherati giovani imitatori). Grida categoriche: siamo in guerra, siamo in guerra, lo volete capire o no?

Noi, senza alcuna pretesa, abbiamo imparato a chiederci, davanti a fatti gravi come questi, a chi giova? Per carità, questi avvisi non cancellano il fatto che siano stati creati uno stato e una organizzazione come l’Isis. Ma, in primo luogo, chi e come l’ha creata questa entità criminale nel giro di pochi mesi? Da chi vengono i finanziamenti e le armi che utilizzano? Sappiamo che come minimo si tratta di Paesi amici dell’Occidente, come quelli sauditi, utili per il petrolio e che dunque non vengono toccati. Ma è una novità che mostri come Bin Laden e correlative organizzazioni fossero in rapporti di amicizia coi Bush, padre e figlio?

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In parallelo a questi rilievi e quesiti, si può aggiungere qualche altro tassello. È utile ricordare che – pur vivendo sempre in una società capitalistica – 5-6 decenni fa funzionari del capitale come Valletta (presidente dell’allora Fiat) era compensato con una retribuzione tra le 10 e le 40 volte quella di un operaio o impiegato medio. Oggi posizioni analoghe (come quelle di un Marchionne) sono compensate con un rapporto da uno a 400/1000. È un mutamento di proporzioni che ha riguardato le retribuzioni di tutto l’esercito di vertici dirigenziali, privati e pubblici.

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E va sottolineato che, in particolare i politici italiani hanno esaltato il moto di appropriazione forsennata, favorendo privilegi e compensi per sé e stuolo di addetti collaterali (vedi le retribuzioni dei dipendenti del parlamento, anche di minimo livello). Indubbiamente, la crescita dei redditi di politici, amministratori e detentori del capitale è stata negli ultimi decenni inarrestabile, e ci sta riportando indietro a livelli di distribuzione della ricchezza medioevali, che ci eravamo illusi che il capitalismo potesse lasciare alle spalle, dopo i miti di “società affluente”, “società dei consumi”, “Stato sociale”, ecc.

Il ceto politico italiano (tranne qualche purtroppo irrilevante eccezione) ha dimostrato di essere nel suo insieme miserabile e interessato all’arricchimento personale, favorendo una struttura statale tra le più esose, inefficienti, parassitarie e corrotte a livello mondiale. A cominciare dal costo del Quirinale che è pari a multipli del costo della monarchia inglese e della presidenza degli Stati Uniti. Sono dati ignobili di un parassitismo medioevale. E questo mentre Napolitano (erede del PCI) continuava a invitarci a fare sacrifici.

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Ma, al di là delle forme specifiche della metastasi italiana, in tutti i Paesi capitalisticamente più avanzati ha vinto completamente negli ultimi tre decenni il neoliberismo, con effetti più o meno accentuati di un gigantesco passo indietro nella distribuzione della ricchezza. Da cosa è giustificato e cosa c’entra con le escrescenze terroristiche colorate di fondamentalismo islamico?

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Per tentare di dare risposte minimamente fondate, conviene fare un breve riepilogo dei punti – non solo di quelli finora toccati – che caratterizzano la fase attuale:

Dopo il crollo del capitalismo di stato sovietico, il mondo non è più diviso in tre macroaree ma in due, anche se entrambe variamente sviluppate: Paesi più avanzati al Nord e Paesi arretrati o in via di sviluppo al Sud;

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I moti e le forme del capitalismo dei Paesi più avanzati hanno accentuato velocità di innovazione tecnologica, finanziarizzazione dell’economia, concentrazione della ricchezza in pochissime mani, riduzioni delle funzioni politiche a mere esecutrici di decisioni prese da poteri economicofinanziari invisibili dai più, democrazia quindi sempre più formale e senza alcuna rappresentanza sostanziale degli interessi della classe lavoratrice;

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Tali moti endogeni sono stati ancora più acuiti dallo sviluppo enorme di alcune aree – orientali e sudamericane, Cina e India in particolare – fondato su livelli di sfruttamento e di accumulazione primitiva del capitale;

Queste economie concorrenti hanno sospinto logiche di arroccamento nei vertici del capitale dei paesi più sviluppati, con effetti socioeconomici e politici, che in Europa sono state imposte tramite l’Euro e che stiamo subendo;

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L’obiettivo generale è di preservare una oligarchia di privilegi ottocenteschi se non feudali, quale fedele struttura esecutiva delle direttive dei poteri dominanti, riducendo drasticamente stato sociale, ceti medi e costo del lavoro, rispetto a quello dei Paesi in via di sviluppo. Su questo, in Italia, si è arrivati persino all’utilizzo cinico dei sentimenti umanitari di accoglienza di immigrati, con una gestione che ha prodotto nuove forme di schiavitù, guerre tra poveri, fino a corollari di collusioni e corruzioni tra criminalità e ceto politico;

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Anche rispetto a tali derive la sinistra storica si è semplicemente omologata alla destra peggiore, perdendo ogni capacità di offrire una speranza, un futuro-promessa e una resistenza all’arretramento sociale di milioni di persone in un orizzonte di crescente barbarie, quale annunciato da un fantasma che si aggirava per l’Europa più di 150 anni fa;

L’affermazione del fondamentalismo del pensiero unico neoliberista (noi siamo il massimo e il meglio) produce chiusura e atteggiamenti negativi all’interno e all’esterno – sia negli strati sociali poveri dei Pesi più avanzati, sia nelle immense masse disperate dei Paesi arretrati. E questo anche senza considerare le azioni predatorie di risorse, le guerre fatte direttamente o favorite, armando dittatori e organizzazioni criminali, usando pesi e misure diverse a seconda delle convenienze ecc.

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Avviandoci, non tanto a una conclusione (impossibile), ma un provvisorio punto da cui pensare un possibile altro “che fare” tra due alternative ugualmente inaccettabili, come l’orrore e la follia di azioni terroristiche, e la declamazione e dichiarazione di uno stato di guerra, che non può fornire alcuna soluzione allo stato di cose in cui viviamo.

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Tali declamazioni servono ai poteri occidentali per concentrare l’attenzione su un nemico esterno e far dimenticare l’altra forma di terrorismo e massacro sociale che le loro politiche stanno mettendo in atto contro la vita di milioni di persone. La parata tra il patetico e il grottesco dei capi di stato e di governo dell’11 gennaio scorso, a braccetto a Parigi, ha manifestato questo senso ideologico.

Dietro di loro c’era il vuoto, ma l’ideologia serve a questo, a dare senso (falso) alla mancanza di senso. Che non può non sollecitare repulsione, se si pensa alle azioni criminali messe in atto da gran parte di essi, con scelte politiche verso l’interno e azioni militari verso l’esterno. Pensiamo solo a Netanyahu, artefice di massacri senza fine di Palestinesi, ignorati da sempre da questi campioni di civiltà e democrazia, che se conviene legittimano come paladini di libertà anche figure come queste.

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Ritorna perciò la domanda: di quale libertà si parla? Se di quella di espressione è fuori luogo rivendicarla, ma anche questa non può non avere limiti, fermo restando che il loro superamento non legittima violenze e uccisioni. Tuttavia a me interessa in primo luogo la libertà negata a milioni, miliardi di persone prive del necessario. Il metro deve fare riferimento a esse, dopo di che anche la libertà dei Charlie Hebdo deve trovare e avere qui la sua misura.

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Rivendico l’orgoglio di essere agnostico e laico, ma chi offendesse la mia identità culturale interromperebbe con me qualsiasi dialogo. E allora, da parte mia, pur trovando mille ragioni di critica in chi crede in questo o quel Dio, non verrà mai offeso, perché sono interessato come essere umano a mantenere una prospettiva di dialogo. Tale limite ha a che fare col senso del sacro, che appartiene a credenti e non credenti, ed è questo il terreno comune – che non è quindi astratto e idealistico buonismo – che può consentire una forma di dialogo. Senza il quale le alternative sono l’isolamento, la violenza e la guerra, che sono sempre un disastro umano.

Tornando al metro suddetto, la libertà declamata senza una distribuzione più giusta e umana delle ricchezze sociali, non è solo menzogna intollerabile, diventa promessa di guerre e tempeste sociali. E senza forze politiche, qui e ora in Occidente, capaci di colmare il vuoto di rappresentanza delle classi lavoratrici creato dalla dissoluzione dei partiti di sinistra, il futuro apparirà sempre più uno zero o minaccioso.

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E questo non solo ai lavoratori dei Paese più sviluppati. Anche le masse più diseredate, colpite da guerre e carestie (di cui l’Occidente è sempre corresponsabile) che a rischio di vita fuggono verso i Paesi più sviluppati, non possono vedere in questi ultimi una prospettiva laicamente intesa di riscatto umano. Agli essere umani che vivono di lavoro non basta una sopravvivenza più o meno accettabile, cercano una visione alternativa rispetto al loro essere e sentirsi merce, una visione che il fallimento dei partiti storici di sinistra – salvo la rinascita di nuove forze e forme dalle loro ceneri – non ha saputo più dare.

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Qualche osservatore ha rilevato, e concordo, che sulla follia criminale del fondamentalismo islamico influiscono sia le dinamiche e la mancanza di prospettive umane del capitalismo globalizzato, sia le incapacità delle forze politiche di sinistra di costruire e offrire alternative.

Se l’acqua non è messa in grado di avere sbocchi positivi, cerca altre soluzioni che spesso provocano disastri. Gran parte dell’umanità attuale è posta in condizioni di disperazione e di chiusura dalle tendenze voraci e dalle guerre mosse contro di essa dal capitalismo. Permanendo queste, senza forze endogene e capacità storiche in grado di contrastarle e imporre ad esse cambiamenti – non possiamo pensare che tutto proceda tranquillamente entro i deliri di onnipotenza di chi si sente padrone del mondo e, come un apprendista stregone, pretende una crescita infinita di questo stato di cose.

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(Milano, 20 gennaio 2015)

Notizia biobibliografica

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Adam Vaccaro, poeta e critico nato in Molise nel 1940, vive a Milano da più di 50 anni. Ha pubblicato varie raccolte di poesie, tra le ultime: La casa sospesa, Novi Ligure 2003, e la raccolta antologica La piuma e l’artiglio, Editoria&Spettacolo, Roma 2006. Infine, Seeds, New York 2014, è la raccolta scelta da Alfredo De Palchi per Chelsea Editions, con traduzione e introduzione di Sean Mark. Tra le pubblicazioni d’arte: Spazi e tempi del fare (Studio Karon, Novara 2002) e Labirinti e capricci della passione (Milanocosa, Milano 2005) con acrilici di Romolo Calciati. Con Giuliano Zosi e altri musicisti, ha realizzato concerti di musica e poesia. Collabora a riviste e giornali con testi poetici e saggi critici. Per quest’ultimo versante, ha pubblicato Ricerche e forme di Adiacenza, Asefi Terziaria, Milano 2001. È stato tradotto in spagnolo e in inglese. Ha fondato e presiede Milanocosa ([url”www.milanocosa.it”]www.milanocosa.it[/url]), associazione con cui ha curato varie pubblicazioni, tra cui: Poesia in azione, raccolta dal Bunker Poetico, alla 49a Biennale d’Arte di Venezia 2001, Milanocosa, Milano 2002; “Scritture/Realtà – Linguaggi e discipline a confronto”, Atti, Milanocosa 2003; 7 parole del mondo contemporaneo, Milanocosa, Milano 2005; Milano: Storia e Immaginazione, Milanocosa, Milano 2011; Il giardiniere contro il becchino, Atti del convegno 2009 su Antonio Porta, Milanocosa, 2012. Cura la Rivista telematica Adiacenze, materiali di ricerca e informazione culturale del sito di Milanocosa.

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