Per capire i fatti del Medio Oriente allargato, possiamo usare varie lenti (Yemen, Tunisia, ISIS, Siria, ecc.) Oppure la lente del player più importante : gli USA
Per cercar di mettere ordine nella comprensione dei fatti che stanno accadendo in Medio Oriente, nel mondo arabo e nella penisola arabica, si possono usare varie lenti. Si potrebbe partire dallo Yemen o dagli attentati in Tunisia o dallo Stato islamico e dalla guerra civile siriana. Noi però scegliamo di puntare la lente sull’interesse e sulla strategia del player più importante non solo di quell’area ma del mondo intero: gli Stati Uniti d’America.
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Chi scrive ritiene che la strategia generale della geopolitica obamiana sia quella dichiarata e che non vi sia una sottostante contro-strategia “segreta†o un ripensamento della stessa. La strategia omamiana dichiarata è quella che individua il principale problema in Asia, in Cina, da cui consegue una complessa strategia del Pacifico e un auspicato accerchiamento dello spazio di manovra cinese. Il secondo punto, oggi il primo intermini di impegno e di attualità , è la Russia, ovvero tentare un regime-change a Mosca e comunque, prioritariamente, separare Europa e Russia in ogni modo. Questo per il doppio obiettivo di impedire la formazione di un sistema euro-asiatico che taglierebbe fuori l’isola americana [1] e di contro, creare un solido legame sistemico-esclusivo con l’Europa nella formazione di un sistema occidentale, unico e compatto, ancora in grado di pesare e condizionare gli eventi planetari in termini economici, finanziari, militari e quindi politici.
Quali sono allora le ragioni per credere che sia effettivamente questa la strategia americana?
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La prima è che essa sembra oggettiva. Cooperare con la Cina significherebbe finanziare la sua crescita esponenziale, crescita che scalzerebbe gli USA da molti mercati e scenari geo-politici rappresentando il primo perno fondamentale della multi-polarizzazione del nuovo mondo complesso, cosa che per altro sta già avvenendo. Assistere impotenti alla creazione dell’asse euro-asiatico significherebbe rafforzare il corso multi-polare del mondo e lasciarsi confinare in una periferia blindata da due oceani. Il tutto retroagirebbe sul dollaro, sul controllo militare, sulla rete di interessi e di poteri che sostiene il tenore di vita americano. Tenore che ad ogni scalino di decrescita entrerebbe in crisi generando crisi, ponendo sempre più il problema di come reagirebbe la giovane e fragile società americana (si vedano le sempre maggiori tensioni razziali e non solo) ad un diminuzione violenta della condizioni di possibilità del suo sostentamento. Quindi è logico che il primo problema è la Cina ed il secondo è la Russia e il possibile asse Europa-Russia.
La seconda ragione sono gli atti conseguenti. Effettivamente gli USA hanno e stanno provando a stendere la propria rete del Pacifico, per altro con risultati da modesti a nulli. Effettivamente hanno messo in piedi una sceneggiata in Ucraina che ha reso improvvisamente d’attualità una cosa che neanche due anni fa sarebbe sembrata folle: il ritorno dell’orso russo, imperialista, minaccioso, aggressivo (?). Questa sceneggiata ha rotto provvisoriamente la rete degli interessi che stavano sempre più legando l’Europa (Germania in testa) alla Russia. Sta mettendo in seria crisi il potere russo al governo della federazione. Sta mobilitando la Nuova Europa (dell’Est) contro gli stessi interessi e leadership storica della Vecchia Europa (divide et impera). Ha rivitalizzato la NATO (il primo e più importate dei vari trattati). Ha aumentato la domanda di forniture militari della cui produzione gli americani sono leader mondiali.
Impedendo all’Europa di andare ad Est, l’Europa dovrebbe andare ad Ovest. Ed ecco pronto il TTIP, il trattato che più che rappresentare una invincibile rete di interessi economico-finanziari con cui legarsi a doppia corda (USA ed Europa sono economie per lo più omologhe ed il primo principio che fa funzionare il sistema capitalistico di scambio è invece la differenza) rappresenta una stretta rete di legami giuridici che tra l’altro sono molto meno reversibili ed assai più condizionanti. Ma passano i mesi ed il trattato di cui per altro molto poco si sa, non si chiude, così come è arenato il TPP, le cui trattative sono partite molto prima. Non solo. Hollande e Merkel prendono l’aereo e vanno da Putin a dirsi chissà cosa. Fino a gli ultimi eventi clamorosi dell’entrata nel pacchetto dei fondatori della prima ora della nuova banca di investimenti cinesi, non solo dei principali paesi europei ma anche di molti candidati alla nuova rete del Pacifico.
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Insomma, Obama ci sta provando, sta facendo ciò che è nella sua strategia annunciata e pare che gli americani non possano far altro ma questa strategia sembra contenere più volontà di potenza che non realismo. Sembra che gli interessi oggettivi del mondo nelle sue varie componenti, vadano dall’altra parte. Il dogma del tenore di vita americano spinge gli stessi a negare ostinatamente il complesso corso naturale dell’intero pianeta, a nuotare controcorrente, ad accarezzare contropelo il manto sensibile dei principali soggetti planetari. Non sempre ciò che si deve e si vorrebbe fare è ciò che è oggettivamente possibile fare. L’Impero romano, le orde mongole, la Francia napoleonica, l’Impero britannico, la Germania nazista sono tutti casi in cui determinati sistemi umani fortemente espansi non sono stati in grado di fermasi al limite e retroagire sulla propria costituzione interna per adattarsi appunto al raggiunto limite. Sono tutti andati avanti per come erano soliti fare, per ciò che aveva costituito il loro successo, ignari del fatto che ciò che è possibile anche per lungo tempo, ad un certo invisibile punto non lo è più e quando non lo è più, non c’è proprio nulla da fare se non adattarsi. Una specie animale o vegetale che non si adatta al divenire ambientale si estingue, così i sistemi umani spariscono dalla storia dopo averla lungamente scritta da protagonisti. E’ la poco conosciuta legge delle “condizioni di possibilità â€, poco conosciuta soprattutto da noi occidentali che quanto a volontà di potenza abbiamo un invidiabile e longeva tradizione di origine indoeuropea.
La terza ragione per cui crediamo alla verità della strategia annunciata è data dalla sequenza degli atti compiuti dagli americani nel quadrante arabo-mediorientale. Gli USA non si sono mossi in prima linea sull’affare libico che è stato per lo più un’azione franco-britannica. Mossi da probabili tensioni e ricatti interni hanno mostrato un iniziale atteggiamento sovversivo nei confronti di Assad in Siria. Poi sono stati fermati (almeno questo noi vediamo pubblicamente ma non è detto sia andata veramente così) da Putin e da allora sembrano aver depotenziato il loro impegno in loco permettendo uno stato di fatto di coesistenza con Assad che recentemente è apparso nei commenti delle principali cancellerie come realtà da accettare, con cui venire a patti, soprattutto dopo che si è dimostrato quale verminaio in libera uscita sottostà la rimozione di personaggi come Saddam o Gheddafi. Poi si sono dichiarati favorevoli alla via democratica all’islamizzazione dei Fratelli musulmani in Egitto rimanendo spiazzati dal colpo di stato dell’esercito di Al Sisi coadiuvato dalle monarchie arabe (ad eccezione ovviamente del Qatar che promuove la linea salafita contro quella wahhabita). Infine, hanno appoggiato in qualche modo il governo iracheno (per lo più sciita) ed i curdi nell’azione di resistenza e contrattacco contro lo Stato islamico. Hanno poi sommato altri due fatti che hanno scontentato non poco i due principali alleati locali: Israele ed Arabia Saudita.
La mossa Iran ha le sue fondate ragioni. La prima è quella di risolvere l’irrisolvibile problema dell’instabilità medio-orientale con un “mexican stand off†ovvero una situazione (si veda Le Iene di Tarantino) in cui alcuni elementi si bloccano a vicenda realizzando così una sorta di blocco stabilizzato e stabilizzante. Turchia, Egitto, Arabia Saudita ed Iran sarebbero i quattro lati di questo sistema auto-bloccato. Ognuno di essi sarebbe pronto ad allearsi con altri per impedire che uno di loro possa rompere il blocco. Turchia ed Arabia Saudita condividono interessi nel progetto neo-califfale? Ecco che gli egiziani irritati dalle minacce dello Stato islamico al confine libico e preoccupati in quanto laici militari dell’affermazione di un format politico-religioso potrebbero diventare oggettivamente alleati degli sciiti iraniani più di qualunque altro inquietati dal disegno sunnita tradizionalista. Così se i Turchi dovessero esagerare le loro pulsioni neo-ottomane o gli egiziani inventarsi un improbabile neo-pan arabismo, stante che i tre sunniti sono comunque sempre vigili contro l’unico sciita del gruppo come si vede oggi in Yemen. Non è detto che funzioni ma è comunque un’idea, stante che poi non ce ne sono molte altre.
Ecco allora plausibile l’idea di costruire un pianoforte a quattro tasti, Egitto, Arabia Saudita, Iran, Turchia, che possa permettere alle potenze regionali, se sono in grado di agire in concerto tra loro, se non lo fossero di permettere al concertista statunitense di pigiare ora questo ora quel tasto per coprire la stonatura di chi prende ad agire per conto proprio, creando nuovo potenziale disordine. Tale “piano†otterrebbe il massimo risultato col minimo sforzo in termini di costi ed attenzioni da concentrare altrove.
Qual è infine l’atteggiamento degli USA verso la questione del supposto piano sub imperiale saudita e più nello specifico dell’intera partita assai complessa ed intricata che si sta giocando in questo quadrante?
Il disordine che vediamo è dunque il risultato di una concorrenza senza chiara prevalenza di differenti idee sul nuovo ordine da dare all’area.
NOTA
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[1] Com’è noto sin dai primi passi della disciplina geopolitica ai primi del secolo scorso dove l’isola a rischio di isolamento era la Gran Bretagna, il continuum euro-asiatico farebbe di inglesi ed americani, quello che sono geograficamente, due isole e le isole sono soggette ad isolamento o comunque a divenire periferie. E’ per prevenire e contrastare questo evento, per reazione, che gli ultimi imperi (britannico, giapponese, americano) provengono tutti da isole.