In Vite Parallele Plutarco riporta un aneddoto riguardante Aristìde (uno degli strateghi della battaglia di Maratona del 490 a.C. durante la prima guerra Persiana): nel corso del processo per ostracismo intentatogli, a causa della sua opposizione alla legge navale di Temistocle, gli si avvicinò un contadino analfabeta chiedendogli di scrivere al suo posto, sul coccio, il nome di Aristide – senza rendersi conto di averlo proprio davanti! Al che, Aristide senza rivelarsi, chiese all’analfabeta cosa quell’uomo avesse fatto di male per meritare il suo voto di condanna all’esilio. E l’uomo rispose: “niente, non lo conosco, ma mi sono stufato di sentirlo chiamare ovunque [i]ton dìkaion[/i] (il Giusto)â€.
L’aneddoto al di là della sua verosimiglianza storica, si rivelava funzionale non soltanto ad esaltare la probità di Aristide – che impassibile scrisse il proprio nome, ovvero la propria condanna sul coccio – ma anche e soprattutto per mettere in luce quelle che erano le aporie e le ambiguità del sistema democratico ateniese e i suoi meccanismi. Considerando per un momento tale racconto esemplare, privandolo del cotesto storico che lo ha scaturito, viene naturale interrogarsi sull’ambiguo personaggio dell’analfabeta: perché egli avrebbe dovuto odiare qualcuno che non conosceva a causa della sua buona fama? Non avrebbe potuto al contrario, da povero, venerare colui che aveva proposto la distribuzione sociale dei proventi delle miniere del Laurion, in opposizione alla proposta temistoclea di investirli nell’arsenale navale?
Operando un collegamento del tutto arbitrario col quale creare un ideale ponte tra antichità e contemporaneità , è curioso saper trovare una risposta in Kundera. Ne Il valzer degli addii si legge:
Jakub aveva sempre provato orrore all’idea che chi sta a guardare è pronto a tener ferma la vittima sotto la scure del boia. Perché col tempo il boia è diventato un personaggio vicino e familiare, mentre il perseguitato ha sempre qualcosa che puzza di aristocratico. L’anima della folla, che forse un tempo si identificava con i miseri perseguitati, si identifica oggi con la miseria dei persecutori. Perché nel nostro secolo la caccia all’uomo è caccia ai privilegiati (…).
Perché ci si identifica col malvagio? Perversamente lo si ammira o la propria adorazione è una scelta paradossalmente di comodo? Di certo, il simile tenderà ad identificarsi con ciò che più gli è prossimo e somigliante. Ammettere però che i simpatizzanti del kunderiano boia siano in possesso dello stesso grado di malvagità pari a quella di quest’ultimo, sarebbe un errore.
L’identificazione col malvagio non implica necessariamente una condotta negativa. L’identificazione è e rimane qualcosa di puramente astratto ed identitario. Spesso si assiste alla sostituzione del buon modello, della vittima ingiustamente perseguitata che per la sua resistenza si fa eroe nella memoria sociale, con la tolleranza nei confronti del “cattivo esempio”. Ad una progressiva maggior sopportazione segue l’identificazione con la miseria dei persecutori, che inconsciamente traduce la legittimazione della propria passività , della propria volontà non abbastanza attiva da farsi azione, e finisce per affermare tacitamente l’idea di una insanità genetica dell’uomo, endemica e per questo ineliminabile. Segue poi l’assoluzione parziale di un exemplum di arrivismo, lassismo, corruzione, immoralità , che equivale ad un licet nei confronti della propria percentuale di arrivismo, lassismo, corruzione, immoralità .
Se da una parte fa dunque comodo, far scendere dal piedistallo il “buon esempio” e destituirlo dalla sua carica di “primo uomo”, sostituendo la sua imprescindibile irriducibilità con una più umana tendenza all’errore, dall’altro fa comodo considerare il “cattivo esempio” non solo come un uomo fra tanti, ma soprattutto come “il primo dei malvagi”. È questa la messa in atto di una seconda attenuante alla mancata volontà di farsi onesto: accanto alla messa in vetrina di un comportamento troppo umano (tramite l’eliminazione del buon modello e l’affratellamento con la miseria del malvagio) un nuovo (anti)modello viene creato e innalzato al di sopra della società , in modo tale da potersi fare non soltanto giustificazione ma anche legittimazione di tutto quanto avviene al di sotto di esso. Un po’ come le giustificazioni della gente che non paga il biglietto dell’autobus: ad un primo “lo fanno tutti†segue “i politici rubano di piùâ€.
Per legittimare il proprio lassismo, non basta però identificarsi vigliaccamente col boia. È necessario risalire indietro nel tempo, eliminare la carica esemplare di quanti un tempo si sono sacrificati per gli ideali, si sono opposti a quella corruzione-declino dell’uomo che induce a rinunciare all’azione ed accontentarsi dell’esistente. Inizia dunque quella che Kundera aveva definito caccia ai privilegiati: impossibile una loro aperta negazione, coopera ad una sistematica e meticolosa destrutturazione del “buon esempio” il Mercato.
È proprio al suo interno che l’ex modello da imitare, viene paradossalmente reso innocuo ed inoffensivo proprio mentre viene propagandato. Alienato dal proprio messaggio, dalla propria carica emblematica, viene commercializzato nella propria immagine, spesso riprodotta su oggetti di merchandising, false reliquie di un passato troppo lontano per lanciar messaggi al presente, ma non così tanto da non poter essere ancora venduto. L’aura che rendeva il “buon esempio”, il privilegiato, un mito esemplare si è dissolta, è stata violata nella sua sacralità . La validità del suo imperativo morale, possibile riscatto al male, è esorcizzata tramite la materializzazione della sua immagine, banalizzata, ripetibile e vuota, di fatto resa incapace di comunicare altro che se stessa ad una società alla deriva, che mira a legittimare la propria miseria privandosi progressivamente non solo degli Dei, ma anche degli eroi.
(6 aprile 2015) [url”Link articolo”]http://www.lintellettualedissidente.it/filosofia/crepuscolo-del-buon-esempio-e-apoteosi-della-miseria/[/url] [url”Torna alla Home page”]http://megachip.globalist.it[/url]