La verità del folle

Una ragionevole follia: la mania senza delirio. [Beatrice Catini]

La verità del folle
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3 Maggio 2015 - 10.21


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di Beatrice Catini

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«Questo è il problema manifestato e nascosto a un tempo dalla conoscenza della follia: che la follia sempre situata nelle regioni originarie dell’errore, sempre in disparte in rapporto alla ragione, possa tuttavia aprirsi interamente a essa e confidarle la totalità dei propri segreti»[1].

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«Per quale tipo di comprensione ci diamo da fare, di fronte alla realtà e alla finzione della follia?»[2]. Questo interrogativo, posto da [url”Ian Hacking”]http://www.ianhacking.com/[/url] all’inizio del suo bellissimo saggio sul caso clinico di Albert Dadas, sta probabilmente alla base della ricerca intrapresa attorno alle cartelle dell’archivio dell’ex manicomio dell’isola di San Servolo, a Venezia[3]. Si può pensare che non abbia senso, se non quello di un frivolo amore per l’erudizione o di una curiosità un po’ maniacale per le pratiche mediche cadute in disuso, portare avanti un’indagine sulle malattie mentali diagnosticate nel passato, a maggior ragione se queste malattie sono risultate essere frutto di diagnosi non più utilizzate o addirittura considerate fuorvianti e superate. Hacking parla a tal proposito di malattia mentale transitoria, intendendo con quest’espressione «una malattia che compare in un dato momento, in un dato luogo, per poi sparire», una malattia che «può diffondersi da un posto all’altro e ripresentarsi in momenti diversi.

Può colpire una certa classe sociale o gli individui di un solo sesso, e privilegiare le donne povere o gli uomini ricchi»[4]. Tra queste si possono di certo annoverare – oltre all’ormai nota parabola dell’isteria[5] – la quasi totalità delle diagnosi che si leggono sulle cartelle cliniche dei pazienti dei manicomi verso la fine del XIX secolo.

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Il fatto stesso di poter formulare una diagnosi di malattia mentale, così come oggi ci risulta familiare, è legato alla possibilità di pronunciare una definizione, una supposta verità, nell’orizzonte dell’esperienza della follia: da questo orizzonte indistinto, attraverso il linguaggio psichiatrico e le sue pratiche, si stagliano le figure della follia medicalizzata e vanno sempre più raffinandosi e diversificandosi lungo il XIX secolo.

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Questo percorso epistemologico è stato mirabilmente descritto da Michel Foucault nella sua prima opera, [url”Histoire de la folie à l’âge classique”]http://tysm.org/storia-della-follia-nelleta-classica/[/url], e in numerose opere successive, nonché nei corsi al Collège de France[6]. Quella del pensatore francese è una profonda riflessione sul rapporto che l’uomo intrattiene con la verità e che si gioca attraverso il confronto della ragione con la sragione. Foucault mette in luce come nella misura in cui la pazzia del folle si esaurisce nella verità della sua pazzia, preludio della diagnosi, egli divenga prigioniero di quella stessa libertà che permetteva l’esperienza classica della follia, al centro della quale vi era il delirio.

Questa libertà, orizzonte costante dei concetti e delle pratiche, esigenza che si nascondeva e si aboliva col suo stesso movimento, la libertà ambigua dell’esistenza del folle, è ora reclamata nei fatti come quadro della sua vita reale e come elemento necessario all’apparizione della sua verità di folle. Si tenta di catturarla in una struttura oggettiva[7].

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Si tratta del passaggio storico che porta dal folle al malato di mente e che ha un suo momento essenziale nell’individuazione di una follia parziale senza delirio, concomitante alla creazione di luoghi deputati a osservarla e curarla, nonchè a contenerla. Contrariamente a quanto viene tramandato «[a]lla fine del XVIII secolo non si assiste a una liberazione dei folli, ma a una oggettivazione del concetto della loro libertà. […] A partire da questo istante la follia non indica più un certo rapporto dell’uomo con la verità […]: essa indica solo un rapporto dell’uomo con la sua verità»[8]. Si cercano le ragioni dell’abuso della libertà, del suo uso degenerato e in ultima istanza colpevole; si indaga nelle dinamiche del desiderio, della volontà, delle passioni, degli istinti, degli automatismi e della responsabilità. La follia cessa di essere quel confinamento nelle regioni del non-essere e dell’errore che la rendeva un modo d’essere globale e altro e si parcellizza nei determinismi della grande architettura tassonomica del XIX secolo. Questa architettura comincia a delinearsi già nel XVIII secolo, sulla scorta del modello botanico e della ricerca di una definizione positiva, attraverso i sintomi, delle malattie.

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Innanzitutto la follia può essere continua, intermittente, totale o parziale, può manifestarsi quindi in una sequenza temporale diversa ma comunque circoscrivibile e può convivere con momenti o parti di non follia.

La follia, che non era che l’istantaneo contatto del non-essere dell’errore e del nulla dell’immagine, conservava sempre una dimensione grazie alla quale sfuggiva alla presa oggettiva: e allorché si trattava, rincorrendola nella sua essenza più ritratta, di discernerla nella sua struttura ultima, non si scopriva, per formularla, che il linguaggio stesso della ragione dispiegato nella logica impeccabile del delirio: e proprio ciò che la rendeva accessibile la schivava come follia. Ora, invece, è attraverso la follia che l’uomo, anche nella sua ragione, potrà diventare ai propri occhi verità concreta e obiettiva[9].

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In secondo luogo si delinea la possibilità dell’esistenza di una follia senza delirio manifesto. Il delirio e la febbre erano i due elementi che, fin dalla tradizione ippocratica, permettevano di distinguere all’interno delle malattie che attaccano l’anima: la frenesia, un delirio con febbre; [url”la mania, un delirio senza febbre”]http://tysm.org/rito-religioso-e-cerimoniale-nevrotico-ossessivo/[/url]; la malinconia, un delirio senza febbre, ma su un unico oggetto determinato, e infine la demenza (o stupidità), una paralisi della capacità di ragionare. Se la presenza o l’assenza di febbre permettevano di distinguere le due principali categorie della follia, la mania e la malinconia, dai turbamenti temporanei dello spirito, era l’elemento del delirio a rendere riconoscibile la follia nella sua struttura logica: la verità della follia risiedeva nel suo linguaggio delirante, nella misura in cui ne era la forma organizzatrice, il principio determinante di tutte le sue manifestazioni, sia quelle del corpo sia quelle dell’anima[10].

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[url”La follia può da questo momento in poi presentarsi senza delirio”]http://www.doppiozero.com/materiali/teorie/pietro-barbetta-la-follia-rivisitata[/url], completamente oggettivabile, addomesticata: «[l]a sragione non ha più quel volto strano in cui il Medioevo amava riconoscerla, ma la maschera impercettibile del familiare e dell’identico»[11].

Per capire come il darsi di un’esperienza come quella della follia senza delirio abbia riconfigurato i rapporti dell’uomo con la follia bisogna allargare il discorso e lo sguardo al contesto in cui quest’esperienza ha preso corpo.

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[url”CONTINUA A LEGGERE L”ARTICOLO SU TYSM”]http://tysm.org/follia-mania-delirio/[/url]

Note:

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[1] M. Foucault, Histoire de la folie à l’âge classique, Gallimard, Paris, 1972, trad. it. di F. Ferrucci, M. Galzigna con la collaborazione di B. Catini, Storia della follia nell’età classica, nuova edizione a cura di M. Galzigna, BUR, Milano, 2011, p. 382.

[2] I. Hacking, Mad Travelers: Reflections on the Reality of Transient Mental Illness, University of Virginia, 1998, trad. it. di A. Marino, I viaggiatori folli. Lo strano caso di Albert Dadas, Carocci, Roma, 2000, p. 14.

[3] I contributi di questo volume si inseriscono nel solco delle ricerche sugli archivi degli ex-manicomi sviluppate a partire dal progetto Carte da legare, varato nel 1999 dall’Ufficio centrale beni archivistici. Tra questi lavori segnaliamo: A. Scartabellati, L’umanità inutile. La questione follia in Italia tra fine Ottocento e inizio Novecento e il caso del manicomio centrale di Cremona, Franco Angeli, Milano, 2001. V. Fiorino, Matti indemoniate e vagabondi. Dinamiche di internamento manicomiale tra Otto e Novecento, Marsilio, Venezia, 2002. L. Rosconi, Il governo della follia. Ospedali, medici e pazzi nell’età moderna, Bruno Mondadori, Milano, 2003. R. Panattoni (a cura di), Lo sguardo psichiatrico. Studi e materiali dalle cartelle cliniche tra Otto e Novecento, Bruno Mondadori, Milano, 2009.

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[4] I. Hacking, Mad Travelers: Reflections on the Reality of Transient Mental Illness, trad. it. cit., p. 11.

[5] Cfr. M.S. Micale, On the “Disappearance of Hysteria”. A Study in the Clinical Deconstruction of a Diagnosis, in Iris, n. 84, 1993, pp. 496-526 e P. Barbetta, I linguaggi dell’isteria. Nove lezioni di psicologia dinamica, Bruno Mondadori, Milano 2010.

[6] Si segnalano in particolare Le pouvoir psychiatrique. Cours au Collège de France 1973-1974 e Les anormaux. Cours au Collège de France 1974-1975, entrambi pubblicati in italiano da Feltrinelli.

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[7] M. Foucault, Histoire de la folie à l’âge classique, trad. it cit., pp. 707-708.

[8] Ivi, p. 708.

[9] Ivi, pp. 721-722.

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[10] Cfr. Ivi, pp. 361-362.

[11] Ivi, p. 505.

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Una ragionevole follia: la mania senza delirio, “Tysm”. Published 3 maggio 2015. Last accessed 3 maggio 2015.

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