'Hitler profeta dell''Unione Europea'

Un articolo del 1997 del Corriere su un libro che documentava le origini antidemocratiche della prassi UE che ha preso il sopravvento sulle sovranità dei popoli.

'Hitler profeta dell''Unione Europea'
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14 Luglio 2015 - 18.05


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Quando
il Führer diceva: ”Siamo una
famiglia di popoli”

di
Riccardo Chiaberge
.

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Corriere
della Sera
, 14 maggio 1997.

E
se il sogno europeo strangolasse la democrazia? Se i tecnocrati di
Bruxelles si preparassero a sospendere le libertà costituzionali,
come hanno fatto a suo tempo i militari algerini?
È il sospetto
angoscioso che avanza Barbara Spinelli dalle colonne della Stampa.
Un”ipotesi neanche tanto “fantapolitica”, viste le
difficoltà di far quadrare i parametri della Moneta Unica.

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Del
resto, questi rischi di involuzione illiberale sono stati più volte
denunciati anche da un”autorità come Ralf Dahrendorf. Ma nessuno
finora, neppure tra gli euroscettici più inveterati, si era mai
azzardato a mettere in dubbio i sacri principi, l”ispirazione
democratica del processo di integrazione.

A
infrangere quest”ultimo tabù provvede ora lo storico John
Laughland
con un libro documentato e feroce appena uscito in Gran
Bretagna, The
Tainted Source
(La sorgente infetta), editore Little, Brown
and Company.

Sottotitolo:
le origini antidemocratiche dell”idea europea.

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Capovolgendo
uno dei luoghi comuni più tenaci della vulgata federalista,
Laughland cerca di dimostrare che il progetto di un”Europa
unificata non
è figlio del pensiero liberale, ma delle
ideologie totalitarie, naziste e fasciste, nelle loro molteplici
varianti
. E che lungi dal rappresentare una conquista di libertà,
il superamento della sovranità nazionale mina alla base lo Stato di
diritto e le garanzie fondamentali del cittadino.

Laughland,
un intellettuale di idee thatcheriane che collabora al Wall Street
Journal
e al Sunday Telegraph, non è nuovo a simili
provocazioni. Tre anni fa il suo pamphlet The Death of Politics (La morte della politica) aveva fatto
infuriare gli europeisti bigotti.

Ma
questa volta l”impatto potrebbe essere ancora più devastante.
Proprio mentre Tony Blair riapre il dialogo con Bruxelles e rivendica
per il suo paese un ruolo-guida nella UE al fianco di Francia e
Germania, un suo concittadino getta una bomba ad altissimo potenziale
contro il mausoleo dei padri fondatori.

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Staccate
dalla parete i ritratti di Adenauer, di Schuman o di
Jean Monnet – ci dice Laughland – e sostituiteli con quelli di
Hitler, di Mussolini o di Pétain.
Sono loro i veri apostoli dell”idea europea. È dai loro
cromosomi che discendono, senza saperlo, i “ragionieri” di
Maastricht, quelli che danno pagelle ai governi e decidono chi
dev”essere promosso e chi bocciato.

Verrebbe
spontaneo liquidare queste affermazioni come semplici boutade dettate
da pregiudizi antitedeschi, un po” come quel filmaccio hollywoodiano
nel quale i capi della Bundesbank portano la svastica al braccio: se
non fosse che l”autore ha corredato il suo atto di accusa con un
poderoso apparato di note
.

E
allora visitiamo insieme questa galleria degli antenati.

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Cominciamo
da Joseph Goebbels. Fu il ministro della Propaganda del Terzo
Reich, un personaggio che viene di solito associato a iniziative poco
simpatiche, come il rogo dei libri “proibiti” o la campagna
contro gli ebrei.

Bene,
se riascoltassimo oggi i discorsi di questo signore a proposito
dell”Europa, potremmo scambiarlo per Helmut Kohl.

La
tecnologia dei trasporti e delle telecomunicazioni sta accorciando le
distanze tra i popoli – diceva Goebbels nel 1940 – e questo condurrà
inevitabilmente all”integrazione europea.

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“I popoli dell”Europa stanno
rendendosi sempre più conto che molte delle controversie che ci
dividono sono semplici baruffe famigliari in confronto alle grandi
questioni che devono essere risolte tra i continenti”.


Circa
il modo di riportare la pace in famiglia, sappiamo bene che cosa il
nostro avesse in mente. Ma con le buone o con le cattive, il
risultato che si prefiggeva era l”abolizione delle frontiere tra
gli Stati nazionali
, che è per l”appunto l”obiettivo del
trattato di Maastricht.

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“Voi siete già membri di un
grande Reich che si prepara a riorganizzare l”Europa, abbattendo le
barriere che ancora dividono i popoli europei e rendendo più facile
per loro lo stare assieme”.


Goebbels
non è propriamente un modello per i giovani d”oggi, ma bisogna
riconoscere che aveva la vista lunga: “Tempo cinquant”anni
disse – e la gente non penserà più in termini di nazione”.

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Sortite
propagandistiche, si dirà, la classica foglia di fico per nobilitare
una politica di aggressione. Obiezione respinta. Laughland ci spiega
che in realtà Hitler la pensava così ben prima di
scatenare le sue
panzerdivisionen. Parlando
all”adunanza del partito nazista a Norimberga, nel 1937, il Führer
disse testualmente:

“Noi siamo più interessati
all”Europa di qualsiasi altro paese. La nostra nazione, la nostra
cultura, la nostra economia, sono cresciute entro un più ampio
contesto europeo. Pertanto dobbiamo essere i nemici di ogni tentativo
di introdurre elementi di discordia e distruzione in questa famiglia
di popoli”.


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Nell”agosto
1941, un comunicato congiunto italo-tedesco, controfirmato
dall”alleato Mussolini, avrebbe ribadito in termini più bellicosi un
concetto analogo:

“La distruzione del pericolo
bolscevico e dello sfruttamento plutocratico renderà possibile una
pacifica, armoniosa e proficua collaborazione tra tutti i popoli del
continente europeo, nel campo politico come in quello economico e
culturale”.


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Ma
la più articolata riflessione nazista sull”argomento sarebbe venuta
l”anno successivo, con la grande conferenza organizzata dagli
imprenditori berlinesi sul tema Europäische
Wirtschaftsgemeinschaft
(letteralmente:
Comunità economica europea), con la
partecipazione di autorevoli esponenti del regime.

Il
ministro dell”economia del Reich, Walter Funk, che era anche
presidente della Banca centrale, sostenne in quell”occasione che la
costruzione di aree economiche
“segue una naturale
legge di sviluppo”
, e ricordò che quando la Germania
era frazionata in tanti staterelli ciascuno con la sua moneta, il
Paese non era in grado di fare fronte alla concorrenza di Francia e
Inghilterra.

Pur
ammettendo che l”integrazione del continente sarebbe stata più
difficile da realizzare della Zollverein, l”unione doganale
tedesca, il ministro concludeva che si sarebbe dovuta comunque fare,
“perché il suo momento è venuto”.

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Un
mercato unico, con il
Reichsmark come valuta di
riferimento
: questo il sogno degli economisti nazisti.

Non
molto diverso, dopotutto, da quello degli gnomi della Bundesbank
degli anni Novanta.

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Ma
il dibattito non si ferma a Berlino, coinvolge anche l”Italia
fascista. Alberto de Stefani, che fu ministro delle Finanze di
Mussolini dal ”22 al ”25, scrive nel 1941:

“Le nazionalità non
costituiscono una solida base per il progettato nuovo ordine, a causa
della loro molteplicità e della loro tradizionale intransigenza…
Un”unione europea potrebbe non essere soggetta alle oscillazioni di
politica interna che sono caratteristiche dei regimi liberali”.

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Gli
fa eco il direttore di Civiltà Fascista, Camillo Pellizzi:

“Una nuova Europa: questo è
il punto, e questa la missione che abbiamo di fronte a noi. Il che
non significa che Italiani, Tedeschi e le altre nazioni della
famiglia europea debbano… diventare irriconoscibili… Sarà una
nuova Europa per la nuova ispirazione e il principio determinante che
emergerà tra tutti questi popoli”.

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L”anello
mancante, il trait-d”union tra fascismo e
federalismo
, secondo Laughland, è una corrente filosofica alla
quale dice di ispirarsi uno dei più grandi eurocrati, Jacques
Delors
: il personalismo di Emmanuel Mounier.
Una dottrina “nebulosa” nella quale tendenze ecumeniche e
comunitarie si mescolano, soprattutto negli anni Trenta, a forti dosi
di anticapitalismo e di antiparlamentarismo.

Intorno
a Esprit e a Ordre Nouveau, le due riviste del gruppo,
dirette rispettivamente da Mounier e da Denis de Rougemont, si
aggregano diversi intellettuali che guardano almeno inizialmente con
favore all”esperimento nazionalsocialista. E lo stesso Mounier
partecipa nel 1935 a un convegno a Roma sullo Stato corporativo, al
termine del quale loda lo “slancio costruttivo” degli
studiosi in camicia nera
.

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Cӏ
dunque una continuità tra l”europeismo totalitario degli anni
Trenta e Quaranta e quello “democratico” del dopoguerra.

Entrambi
hanno un avversario comune: lo Stato nazionale, in cui
vedono una minaccia per la pace e un recinto troppo angusto per
un”economia di dimensioni planetarie.

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Per
entrambi, “la molteplicità implica disordine e l”ordine
richiede uniformità”
. Intorno a questi concetti, nell”Europa
di oggi, si realizza una inedita convergenza tra liberali
tecnocratici alla Leon Brittan e socialisti alla Delors.

“A differenza dei
conservatori, i liberali tecnocratici pensano di poter avere la
ciliegina dell”ordine liberale senza la torta della nazionalità,
della legge e della politica che dovrebbero sottostare a esso”.

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Niente
di più sbagliato, sostiene l”autore. Fin dall”antichità, la
cittadinanza
è strettamente legata all”esistenza di
confini
. Lo stesso termine greco polis, come il latino
urbs, rimanda al concetto di cerchio, di mura perimetrali.

E
il vocabolo inglese town (città) ha la stessa radice
etimologica del tedesco zaun, che vuol dire appunto recinto.

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“La
chiarezza territoriale
– dice Laughland – è un
prerequisito essenziale per l”organizzazione non tribale”

delle società umane.


“E” per questo che la storia
dello Stato di diritto e quella dell”idea nazionale sono
inseparabili… Lungi dall”essere una minaccia per l”ordine liberale,
la nazione ne costituisce il fondamentale presupposto”.

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Ubbie
di un thatcheriano nostalgico? Può darsi. Ma se qualcuno pensa di
riesumare dopo due secoli la Serenissima Repubblica, forse un po” di
colpa ce l”hanno anche i tiranni della Moneta Unica.

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Sullo stesso argomento abbiamo pubblicato un recente articolo di Thierry Meyssan, con molti inquietanti dettagli su alcune continuità di idee e persino di uomini tra gli ambienti europei del nazismo e quelli della costruzione per via oligarchica del progetto europeo:

Dietro il debito greco

Megachip, 7 luglio 2015.

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