Pop-ethics

Rileggere col pensiero critico i fenomeni della cultura popolare. Intervista a Pierpaolo Marrone. [Mary B. Tolusso]

Pop-ethics
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15 Luglio 2016 - 05.48


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di Mary B. Tolusso

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Un”etica del pop: a colloquio con il prof. Pierpaolo Marrone, docente di Filosofia morale all”Università di Trieste. L”intervista è uscita ieri su [url”il Piccolo”]http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste[/url] online. Ringraziamo Mary B. Tolusso per averci concesso di riprenderla qui. (pfdi)

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Chi lo dice che la filosofia risieda esclusivamente nella “Critica della ragion pura” di Kant o nei “Sentieri interrotti” di Heidegger? In fondo ogni metafisica ha un fine pratico, ci induce sì a capire meglio un pensiero, ma anche un fenomeno. Tanto più oggi che di fenomeni ce ne sono in esubero, stretti come siamo in molteplici codici comuni, dal global ai social. Un video in Youtube, un kolossal cinematografico, Donatella Versace o Andre Agassi possono aprirci delle porte inaspettate su situazioni che ci toccano da vicino, possono rivelarsi dei “mezzi” adatti a diversi livelli di lettura per destrutturare idee come quelle di autenticità, libertà, consumismo. Insomma pensiamo spesso di avere tutto sotto controllo, noi stessi per primi, poi una biografia di un grande tennista americano, per esempio, ci spiega senza accademismi che le cose non stanno proprio così.

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Siamo nell”epoca del pop, esaminata con coraggio e spietatezza in “[url”Pop-Ethics”]http://mimesisedizioni.it/pop-ethics.html[/url]” (Mimesis, pag. 302, euro 26,00) di Pierpaolo Marrone, docente di Filosofia morale all”Università di Trieste, ma cos”è un”etica del pop? «Pop-Ethics è nient”altro che l”idea che i fenomeni della cultura popolare – una canzone, un video su Youtube, un post su Facebook – possono essere occasioni di esercizio del pensiero critico” ci spiega l”autore, «quell”atteggiamento che non si accontenta di registrare un avvenimento, magari per disprezzarne la dimensione di massa, ma cerca di comprenderne il senso profondo, senza nessun moralismo e senza lamentele da tromboni sulla decadenza della cultura. Lamentele che ci sono state in ogni epoca e che sono nient”altro che esercizi di ipocrisia».

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Pare un libro, per certi aspetti, dissacratorio, mentre in realtà il rigore dei classici del pensiero spunta in ogni capitolo…

«Un classico è un testo che è capace di interrogarci smontando luoghi comuni e pregiudizi. La ragione migliore per leggere oggi Platone, Aristotele, Hume, Kant, Hegel, Heidegger non è la quantità di polvere che si è accumulata sui loro volumi, bensì la capacità di penetrazione di quelle teorie nelle nostre situazioni, anche in quelle apparentemente più distanti dalla riflessione filosofica. Si dice che la filosofia è una disciplina astratta, ma questo non è affatto vero, poiché ci allena a vedere il mondo da punti di vista molteplici».

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Un esempio?

«Si prenda la fortunatissima autobiografia di Agassi, “Open”. È solo il resoconto di una vita interessante vissuta ai vertici della sua disciplina sportiva, condita da qualche gossip? In realtà, se letta attraverso le lenti della domanda filosofica: “siamo davvero liberi?”, acquisisce uno spessore ben maggiore del resoconto della vita di un individuo, poiché indica qualcosa che riguarda tutti noi. Non ha la benché minima importanza che Agassi non sia un filosofo, bensì un tennista, ma conta unicamente il fatto che abbia saputo parlarci di un problema universale, che con gli strumenti della filosofia possiamo comprendere meglio».

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Viviamo nell”epoca dell”azione concitata, ma c”è ancora chi riesce a inibirci. Chi sono i vampiri morali con cui si apre il libro?

«I vampiri esistono sul serio: si tratta di quelle persone che ci impediscono di agire. Ognuno di noi ne ha incontrata qualcuna nella propria vita. Sono il collega border line, che ti tiene incollato al telefono per ore – come è capitato a me -, così come sono quelle persone dotate di una carica negativa, che ti immergono nella loro depressione. Lette attraverso alcune pagine di Kant, entrambe queste figure risultano prive di carattere, poiché il vampiro morale è una persona che parassita la vita degli altri. È realmente una figura pericolosa, che non deve essere sottovalutata, anche se può indurci al sorriso».

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In “Pop-Ethics” si collegano, tra gli altri, Agassi a Leibniz, Dorfles ai Blur, gli Abba a Heidegger, spesso rovesciando i soliti luoghi comuni sull”idea di libertà, anarchia o autenticità.

«Si prenda il film “Mamma mia!”. Quasi tutti hanno ritenuto l”eccezionale successo di quel film come un semplice fenomeno di revival, facendosi sfuggire tutta una serie di indizi sull”esaltazione della terza età e il rifiuto della morte, che sono cifre importanti della nostra società votata all”ideale del consumo perenne. Poiché il consumo è un impeto vitalistico, dovrebbe riguardare soprattutto coloro che sono giovani, i quali però non hanno i soldi. Uno dei modi di risolvere questo dilemma è negare che si invecchi e relegare la morte nel regno dell”osceno, perché solo fingendo di essere per sempre giovani si continua a consumare. Ecco allora ultracinquantenni che si pompano in palestra o diventano dipendenti dal botulino. Tutti noi siamo contemporaneamente vittime e carnefici in questa corsa al consumo indefinito e alla finzione ipocrita che la vita non finisca mai. E tutti noi pensiamo di esaltare così il nostro io e la nostra personalità – quella cosa che è solo nostra e di nessun altro, crediamo – mentre non facciamo altro, come ci segnalano Heidegger e i Blur, che cantare una canzone scritta non certo da noi. Nessuna libertà individuale e autenticità personale in tutto questo».

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È piuttosto interessante anche il capitolo sui social e la conseguente pornografia sentimentale…

«I social sono un”occasione di costruzione di una sorta di reality personale, dove chi non ha una vita realmente eccitante, ossia la stragrande maggioranza di tutti noi, mima quelli che crede essere gli elementi di un”esistenza degna di interesse: gli album di foto di vacanze dozzinali, di piatti anonimi e le serie infinite di selfie o di post zuccherosi colmi di cuoricini e emoticon».

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Per non parlare dell”amore o dell”idea di “tradimento” che, appunto, farebbe bene ai patologici dell”esclusività.

«Chi pretende esclusività nelle relazioni emotive e sentimentali avanza una pretesa irrealistica, io credo. Come si fa a pretendere che qualcosa che non è stabile per definizione, come un”emozione o un sentimento, sia a fondamento di qualcosa che invece potremmo volere che sia solido, come una relazione oppure un matrimonio? È la stessa cosa che pensare che ognuno di noi è un essere speciale, mentre non ci dovrebbe volere molto a capire che così non è».

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Chi sono i suoi punti di riferimento?

«Sono gli autori ai quali ho dedicato attenzione nella mia formazione: Aristotele. Hobbes, Hume, Kant, e tra i filosofi contemporanei Ricoeur, Derrida, Rawls, Parfit. Quello che è importante, credo, sia non tanto i libri che si sono letti e gli autori che si sono approfonditi, quanto una impostazione generale, ossia la convinzione – che è anche una scommessa – che quanto abbiamo studiato assume spessore solo se siamo in grado di utilizzarlo per leggere la nostra realtà. “Dead Man Walking” può essere illuminante quanto il “Leviatano” di Hobbes. Anzi: io sono convinto che il secondo ci faccia comprendere meglio sia quella serie sia la nostra esperienza quotidiana».

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Uno dei capitoli si intitola: “I filosofi devono essere visibili?”. A cosa vuole dare visibilità [i]Pop-Ethics[/i]?

«Forse soltanto a una possibilità, ossia a quella di vedere le cose in maniera diversa, attraverso quello che la migliore filosofia credo sia sempre stata: un pensiero fuori dagli schemi e un atteggiamento anticonformistico».

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(14 luglio 2016)

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