Gemeinschaft o Gesellschaft?

Teoria e prassi dello spazio politico, tra comunità e società.

Gemeinschaft o Gesellschaft?
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12 Settembre 2017 - 09.09


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di Pierluigi Fagan

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Il sociologo tedesco Ferdinand Tonnies, introduceva questa dicotomia in un libro del 1887, poi destinato ad aver longeva fortuna. I due termini in ostico tedesco, sono di norma tradotti con “comunità” e “società”. La differenza è data dal tipo di legame sociale e da tutto ciò che di materiale ed immateriale promana da questi. Se la relazione sociale è di tipo personale siamo in regime di comunità, se di tipo impersonale siamo in regime di società. Ne conseguirebbe una teoria dello spazio politico, se piccolo (atto cioè ad esser intessuto di relazioni personali) o se grande (atto cioè ad esser intessuto da relazioni impersonali). Che sia una dicotomia è giudizio storico non teorico, nel senso che così sembra si sia sviluppata la storia umana da spazi e gruppi più piccoli a spazi e gruppi più grandi (ma la faccenda non è lineare, a volte è accaduto l’inverso). In teoria invece, nulla osta pensare una possibile composizione stratificata in cui il grande è composto da un sistema di piccoli in una visione detta di “federalismo radicale”.

Pur essendo interessante un discorso su i sistemi tratto dalla lettura delle sole interrelazioni, si consideri che le parti che vanno in questa interrelazione sono altrettanto importanti. Il discorso ha attinenza anche con il sistema politico detto “democrazia”, comunità o società (comunità e società) che si auto-gestiscono arrivando a decisioni su se stesse. Questo sistema, almeno nella sue fondamenta, predilige spazi piccoli.

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C’è un movimento di pensiero che vede positivo un restringimento dello spazio socio-politico, una diminuzione di spazio, corrisponderebbe ad un aumento di intensità. Ne hanno parlato Murray Bookchin ma verso qualcosa del genere anche Abdullah Ocalan virò di recente la linea politica del PKK, Saskia Sassen e Benjiamin Barber per la parte diciamo più socio-politica ma anche Parag Khanna per la parte economica secondo il quale, il futuro è nel ritorno alla città-Stato e c’è chi vede in questa tendenza una direzione anarco-capitalista. Hobsbawm pensava che i processi di globalizzazione, fossero tessitori di Gesellschaft a scapito della comunità, rendendo i funzionamenti del mondo sia sempre più impersonali, sia sempre più incontrollabili. Secondi alcuni pensatori democratici, la dimensione municipale porta in via naturale a forme democratiche, quanto i grandi spazi (dallo Stato centralista all’Impero) all’elitismo.
Come nella dicotomia individuo-società, anche quella comunità-società rileva forti positività ma al contempo negatività, su entrambi i termini. È la tipica relazione conflittuale e sembra poi la situazioni peggiori se uno dei due termini è sostenuto unilateralmente da questa o quella ideologia ma di base, la non decidibilità di una chiara preminenza dell’un termine su l’altro, sembra oggettiva.

Esistono vari elenchi di prossime — ipotetiche — nazioni, dal ritorno della Repubblica Veneta alla Scozia, dal Kurdistan alla divisione della Somalia e molti altri. Alla tensione principale tra forme post nazionali come l’Unione europea ed il ritorno degli Stati-nazione (o anche Stati non necessariamente basati su “una” nazione), si aggiunge questa possibile tendenza a tornare a sistemi di prossimità. Queste tensioni dello spazio politico e sociale sembrano oggettive e forse l’unica cosa da evitare e ricondurle ai loro corrispettivi ideologici come fossero questi a creare il problema. Egoismo localista, neo-medioevalismo, divide et impera? Oppure ritorno ad una sorta di materialismo sociale, fatto di voci, contatti, reputazione, tangibilità e condivisione?

Cosa porta cinquecentomila persone in piazza ieri a Barcellona in tempi in cui è difficile organizzare la benché minima forza sociale e politica capace di unirsi su un qualsivoglia obiettivo?

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