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Chi decide?

Chi vuole pensare il politico, deve partire ineludibilmente da questa domanda, prima di esercitarsi sul libero disegno della forma di società che desidera sognare. [Pierluigi Fagan]

Chi decide?
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15 Settembre 2018 - 11.09


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di Pierluigi Fagan

In filosofia, si dice che sta tutto nel farsi la domanda giusta. Molto di quello che diciamo, scriviamo, pensiamo, è risposta ad una domanda che “sentiamo” dentro ma raramente riusciamo ad oggettivare. Chiarire la domanda allora, ha il potere di sfrondare l’albero delle risposte che rischia di aggrovigliarsi su se stesso. L’aggrovigliamento dipende proprio dal fatto che le risposte che ognuno avanza, non è chiaro se rispondono alla stessa domanda o a domande diverse. Si finisce col discutere opponendo tesi in competizione che però non sono dentro il campo della stessa domanda ma di domande diverse. Dialogare partendo da due domande diverse non è vietato, basta sapere che in realtà non si sta discutendo di ipotesi di soluzioni diverse ma si sta discutendo implicitamente proprio di quale sia la domanda giusta, la prima, la più importante, quella che governa tutte le altre.

Politica, deriva come è noto da polis, forma di vita associata legata ad un territorio che si formalizza in uno Stato. Il territorio può avere estensione di città, di provincia, di regione (principato, regno, impero), di Stato-nazione o di Stato con più “nazioni”, sta di fatto che da quando si sono formate le società complesse, seimila anni fa, la costante è il potere espresso dalle forme di vita associata detta “Stato” e lo Stato ha il problema del definire la sua intenzionalità, ovvero rispondere alla domanda: chi decide?

La filosofia politica è partita dall’inquadrare implicitamente questa domanda, lo ha fatto nella Repubblica, Politico e poi Leggi di Platone, ma si è poi formalizzata proprio sulla domanda più che partire in quarta con le risposte come aveva fatto Platone, con Politica di Aristotele. Ricordo ai distratti che le risposte trovate sono tre, di cui il Greco dava versioni positive e versioni negative, degenerate e pare che, come in altri casi del pensiero del Greco, non faceva altro che un formalizzare e metter ordine ad una tradizione che lo precedeva. Infatti, in Erodoto, un secolo prima, c’era la stessa domanda e le stesse tre risposte. Le tre risposte sono: l’Uno, i Pochi, i Molti.

Questo fondamento, non dice nulla di cosa decideranno, se decideranno per una teocrazia, una forma militare come le orde mongoliche, una forma economica di mercato o pianificata centralmente, dice solo quali sono le tre risposte possibili alla domanda “chi decide”, sarà poi chi decide e decidere. A rigore, si può infatti decidere che la forma di vita associata sarà regolata da una credenza religiosa e ciononostante c’è ancora da decidere se l’intenzionalità sarà in capo ad un papa, ad una casta sacerdotale o all’assemblea permanente dei credenti che si auto-governano secondo alcuni principi che decideranno assieme come pare facessero gli Esseni. Poco noto, ad esempio, è che da un celebre passo dell’Iliade omerica, la forma militare ha spesso avuto soluzioni democratiche alla domanda (indiani americani, cosacchi, Guerra civile inglese del ‘600), non certo nell’azione militare che in atto è certo ordinata da una stretta gerarchia necessaria, ma prima, per decidere se e quale azione compiere. Insomma cosa fare non determina il come decidiamo il da farsi.

Da Aristotele, quella domanda governa ancora e governerà sempre le nostre intenzioni politiche. La risposta, darà forma a tutto ciò che consegue. Chi vuole pensare il politico, deve partire ineludibilmente da quella domanda, prima di esercitarsi sul libero disegno della forma di società che desidera sognare. Ha una sua utilità psichica ed una pari inutilità normativa e pratica disegnare singolarmente il mondo come lo vorremmo. E’ letteratura, spesso d’evasione, evasione dallo sgradevole compito di rispondere alla domanda. Pensare politico è in prima istanza, sottomettersi alla dura disciplina del metodo che impone, prima di ogni altra cosa, scegliere come rispondere alla domanda fondamentale.

È mia personale opinione che siamo in un tempo storico in cui evitare di rispondere a quella noiosa e fastidiosa domanda, pregiudicherà le possibilità stesse di trovare e poi mettere in atto le soluzioni necessarie ai tanti problemi che s’affollano nella nostra vita associata. Quindi la ripropongo in onore alla antica tradizione dei tafani socratici, visto che i filosofi contemporanei sembrano più attratti dall’ X Factor dell’umana vanità.

(11 settembre 2018)

 

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