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Verso una nuova crisi sistemica (e globale)

La UE, il Venezuela, la crisi sistemica e la guerra mondiale a settori. [Piotr]

Verso una nuova crisi sistemica (e globale)
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4 Febbraio 2019 - 09.53


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di Piotr

1. Antonio Tajani esulta perché il Parlamento Europeo, di cui è presidente, ha approvato a maggioranza il sostegno al golpista venezuelano Guaidó. In realtà il suo entusiasmo è solo servito da stimolo per un rigurgito di propaganda tanto superficiale quanto laida.

La decisione, si dice, è stata presa in accordo con l’Articolo 233 della Costituzione venezuelana. Ma è evidente che questa affermazione è in malafede e totalmente bugiarda: basta leggere l’Articolo in questione. Ora, non solo il presidente Maduro non è morto, non solo non ha rassegnato le dimissioni, non solo non ha abbandonato la sua posizione, non solo non è stato rimosso dalla Corte Suprema di Giustizia, non solo nessun medico ha mai diagnosticato un impedimento alla sua carica, ma se anche uno di questi casi (che sono gli unici contemplati dall’Articolo 233) si fosse verificato, il suo sostituto sarebbe, in base alla Costituzione, il vice-presidente Delcy Rodriguez, e non il presidente dell’Assemblea Nazionale, cioè Guaidó, un uomo che tra l’altro non si è mai candidato alla presidenza e che si è inventato la carica di “presidente ad interim” che non è prevista dalla Costituzione.

Un semplice e volgare golpista.

Quindi il Parlamento Europeo ha riconosciuto Guaidó come presidente ad interim del Venezuela non in accordo bensì in totale dispregio dell’Articolo 233 della Costituzione venezuelana. Non potendo mettere apertamente sotto i piedi le Costituzioni dei propri Paesi, come vorrebbe l’Alta Finanza internazionale capeggiata da JP Morgan, i rappresentanti europei si sono sfogati con quella del Paese sudamericano.

E ad ogni modo questa risoluzione del Parlamento Europeo non vincola la Commissione e l’Alto Rappresentante Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, cioè Federica Mogherini, che “rappresenta l’Unione in tema di politica estera e di sicurezza comune”. Senza senso quindi i titoli del tipo “La UE riconosce Guaidó”.

In sé è una mossa avventata, fortemente voluta da Tajani stesso, che da un punto di vista nominale contrasta con l’apparentemente più equilibrata e diplomatica posizione della Mogherini. In realtà è una forzatura per far pendere l’ambiguità di questa posizione verso un sostegno netto della UE al golpista sponsorizzato da Trump (in chiusura vedremo perché la posizione della Commissione è ambigua).

 

2. E c’è un altro ostacolo: in politica estera la UE ha bisogno dell’unanimità (che basti la maggioranza qualificata “per determinati settori della politica estera e di sicurezza comune dell’UE” è nei piani del presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ma ancora non ci siamo).

Di traverso all’unanimità, però, ci si è messa l’Italia che non riconoscerà Guaidó. Qui il Movimento 5 Stelle, ha giocato da mediatore nel governo smussando il primitivo slancio pro-golpista di Salvini. Forse possiamo allora perdonare a Di Maio il suo “Né con Guaidó né con Maduro”, di per sé inaccettabile, e l’astensione congiunta al voto del Parlamento Europeo del M5Stelle (che avrebbe potuto votare contro – e moralmente avrebbe dovuto, ma la Realpolitik non conosce morale) e della Lega (che avrebbe volentieri votato a favore).

E’ altresì interessante che ad astenersi sia anche stato circa un terzo dei deputati europei PD presenti (di fatto 5 astenuti e 2 non votanti benché in aula). Tra di essi spicca, guarda un po’, Cécile Kyenge, la ex ministra simbolo dell’integrazione ma messa in condizione di non poter operare proprio dalle politiche liberiste del suo stesso partito. Tra gli altri deputati italiani dei Socialists & Democrats che si sono astenuti bisogna poi ricordare Sergio Cofferati (in tutto il gruppo S&D le defezioni dal “Sì” sono state 1/3 con ben 16 contrari) mentre hanno votato “No” Eleonora Forenza e Barbara Spinelli della Sinistra Unita Europea.

 

3. Il golpista Guaidó, in cerca di appoggi, aveva persino scritto una lettera al Segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, perché il Palazzo di Vetro lo riconoscesse. Ma ha dovuto incassare un “Non è compito della Segreteria riconoscere i governi. … L’ONU sta lavorando a una soluzione politica e a fornire ancor di più la sua assistenza umanitaria, anche se per fare questo ha bisogno del consenso e della cooperazione del governo di Nicolas Maduro, che è quello riconosciuto dalle Nazioni Unite”.

Il “piano Venezuela”, che è una replica dei mille piani di “regime change” orditi dagli USA a partire proprio dagli storici e famigerati golpe fascisti in Sudamerica, si sta dunque dimostrando complicato. Il mondo si è spaccato tra chi sta con gli USA e tutti gli altri. E “tutti gli altri” sono i due terzi della popolazione mondiale, comprendenti 4 potenze atomiche (Russia, Cina, India e Corea del Nord) e il secondo esercito convenzionale della Nato (Turchia).

 

Excursus neo-ottomano

Il ministro degli Esteri di Ankara, Mevlüt Çavuşoğlu, ha accusato i membri della coalizione guidata dagli USA di sostenere Hay’at Tahrir al-Sham (ovvero al-Qaida) nei suoi tentativi di sabotare gli accordi russo-turchi sulla zona di demilitarizzazione nel governatorato di Idlib, in Siria. Le manovre di riorganizzazione di al-Qaida ad Idlib da parte degli americani sono note da tempo. Tuttavia questa dichiarazione è un po’ sorprendente perché di sicuro riguarda i rovesci delle ultime settimane subiti dalle milizie filo-turche dovute ad al-Qaida, milizie che però non sembra siano state molto aiutate dalla Turchia in questo confronto interno tra jihadisti. Potremo vedere quindi solo più in là il senso della dichiarazione del governo turco e che conseguenze concrete avrà questa accusa, dato che i terroristi di al-Qaida a Idlib senza il collegamento con la Turchia sarebbero isolati. E’ ad ogni modo indice che la tensione tra i neo-ottomani e l’Impero Usa non sta diminuendo.

Nel frattempo le notizie di intelligence riguardanti la preparazione di un ennesimo attacco chimico false flag da parte dei jihadisti arroccati ad Idlib si infittiscono. Segno che la Turchia (che non sa più cosa fare e ha sul collo il fiato dei suoi partner nei colloqui di Astana, Teheran e Sochi) potrebbe concedere spazio a una crescente pressione militare della Siria e dei suoi alleati e che in vista di ciò i jihadisti hanno come unica risorsa quella di appellarsi, ancora una volta, a Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna utilizzando il solito pretesto fabbricato ad arte (che poi nel pretesto muoiano veramente donne e bambini poco importa: i cattivi andranno all’Inferno e i buoni in Paradiso).

Comunque sia non sembrano ancora esserci segnali della preparazione di un attacco finale all’ultima fortezza dei terroristi in Siria. Va da sé che una seria minaccia al dominio di al-Qaida su Idlib scatenerebbe le fulminee proteste “umanitarie” di un nutrito gruppo di Ong imperiali (sembra un controsenso in termini, ma tale non è), quelle stesse che propagarono indignate tutte le false notizie di attacchi chimici governativi ma che si sono cucite la bocca quando i terroristi da Idlib hanno bombardato sul serio col cloro i civili di Aleppo.

 

4. La crisi venezuelana era stata largamente preannunciata. Per il semplice motivo che era da tempo fortemente voluta da Washington: il governo legittimo doveva essere abbattuto, con l’opposizione o senza l’opposizione. Ovvero, con tutti i mezzi. Un’ostilità che risale a Bush jr e al suo appoggio istantaneo al fallito golpe del 2002. Diciassette anni di tentativi!

La mancanza di pudore statunitense è infinita. Ogni regola internazionale gli sta stretta, ogni accordo internazionale deve essere impugnato. Ogni pur vago senso etico deve essere represso.

Una delle ultime mosse è stato l’annuncio statunitense del ritiro unilaterale dal trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) che era stato siglato nel 1987 da Ronald Reagan e Michail Gorbačëv e proibiva lo sviluppo, la produzione e lo spiegamento di missili nucleari terra-terra con raggio d’azione tra 500 e 5.500 chilometri. Un accordo vitale per noi Europei. Da parte di Washington è l’ennesima rottura degli accordi di collaborazione e di non aggressione stipulati tra quei due leader. Un’altra, clamorosa, è stata la sistematica violazione della promessa di Reagan di non espandere la Nato nell’Europa dell’Est: oggi la Nato, invece, è a soli 100 km da San Pietroburgo.

La risposta dei Russi è stata dura: il 2 febbraio una nota di Mosca ha annunciato una speculare sospensione della loro partecipazione al trattato INF. I colloqui su questo tema, continua la nota, non verranno ripresi finché “i nostri partners [americani] non saranno maturati abbastanza da riuscire a sostenere dei colloqui significativi e di alto livello su questo punto, che è estremamente importante per noi, per loro e per il mondo intero”.

Nel frattempo è stato dato il permesso alle Forze Armate Russe di sviluppare missili ipersonici di medio raggio, cosa che non sarebbe stata consentita dal trattato INF. D’altra parte Mosca aveva già  ripetutamente accusato Washington di non rispettare il trattato. E viceversa. Fermo restando il dato generale che la guerra oggi è funzionale all’impero in declino e disfunzionale per le potenze in ascesa, siamo davanti a una pericolosissima corsa agli armamenti che nega anni di sforzi verso il disarmo nucleare, di cui il trattato INF era, per quanto difettoso, uno dei risultati più vistosi.

 

5. Per Washington la crisi venezuelana deve approfondirsi, senza curarsi delle sofferenze della popolazione. Ogni mediazione è rifiutata a priori: quella del Messico, quella dell’Uruguay e persino quella del Vaticano (per questo motivo Tajani vuole che la UE non offra una mediazione ma un immediato sostegno a Guaidó).

Ma contro le forsennate e criminali mosse degli USA opera la crisi sistemica che da una parte è causa di questo agire cavernicolo e inconsulto e dall’altra gioca ogni giorno che passa sempre più contro il dominio statunitense e a favore di quello che possiamo definire “blocco eurasiatico”.

E siccome ogni Paese sta cercando di immaginarsi cosa farà da grande, cioè da qui a 20 anni, e deve fare i conti con la forza di attrazione dei due blocchi, una chiamata alle armi degli Europei contro il blocco eurasiatico incorre in molte complicazioni e difficoltà, per non contare il timore ormai universalmente percepito che lo scontro tellurico tra queste due masse continentali possa sfuggire di mano e sfociare in una guerra nucleare che non vedrebbe nessun vincitore ma solo sconfitti, in modo definitivo. Un rischio che è sempre presente in tutte le mosse recenti di Washington: Siria, Ucraina e oggi Venezuela.

Chi mostra chiaramente di non aver coscienza di ciò è la classe politica che finora ci ha governato in Europa, legata ai vecchi schemi, priva di una visuale di lungo respiro, dedita solo all’auto perpetuazione, incapace di interagire con l’ambiente nuovo e i cambiamenti, sciocca fino all’inverosimile, belluinamente ottusa. Destinata all’estinzione, perché anche per le élites ormai è disposable.

Ora, bisogna che sia chiaro che quello che ci dicono i funzionari chiave delle élites al comando e quello che sanno e che pensano sono due cose completamente distinte (il personale che non conta – e che in gran parte fa parte della classe politica di cui sopra o del codazzo dei suoi giullari – spesso crede alle sue  stesse favole, perché forniscono un alibi alla sua coscienza).

E questi signori e queste signore che contano e sanno, sono perfettamente consapevoli del livello di spudoratezza e di spregiudicatezza delle aggressioni imperiali per assecondare le quali dovrebbero rischiare la distruzione dei loro Paesi. Tutto può essere, ma penso che di fronte al rischio di obliterazione totale anche le più demenziali fedeltà/sudditanze incominceranno a ricredersi, visto che né in Siria né in Ucraina le cose sono andate lisce per l’Impero e stanno andando male anche in Libia e in Iraq, situazione che rende le mosse imperiali sempre più avventate, caotiche e d’intralcio le une con le altre.

Infatti la crisi in Venezuela, comunque si evolva, rischia di ingarbugliare i piani imperiali nel Mar Cinese Meridionale, cioè il famoso “pivot to Asia” ovvero le azioni dirette per il contenimento della Cina (una strategia elaborata in ambito neoconservatore nel 2000). Non a caso il patrocinatore del pivot to Asia, Barack Obama, aveva inizialmente cercato un accomodamento con Chávez (il golpe fascistoide in Honduras del 2009, a mio avviso, fu ordito dalla Clinton all’insaputa di Obama) anche se dopo la morte del presidente venezuelano, l’ingerenza di Obama negli affari interni del Venezuela divenne sempre più aggressiva – si veda qui una documentata storia.

 

6. C’è chi ha ipotizzato che Trump offrirà un baratto Siria-Venezuela o anche Ucraina (Crimea)-Venezuela, alla Russia. E’ un’idea meccanicamente mercantile degli intricati rapporti tra potenze in una crisi sistemica. In realtà potrebbe più propriamente trattarsi di un baratto offerto da Donald Trump ai neo-liberal-cons statunitensi, per poter districarsi dalla crisi siriana, congelare quella ucraina e potere così continuare con il pivot-to-Asia senza aggravare, almeno momentaneamente, i suoi problemi politici domestic (Russiagate), causati dai neo-liberal-cons (i clintonoidi) che vedono nella Russia l’avversario principale e della Cina quello secondario.

Ma anche questa è solo un’ipotesi, corroborata dal tipo di politica estera che ha in mente il segmento di élite che sostiene Trump (invertita rispetto a quella dei neo-liberal-cons). Ma anche in questo caso molto dipendente dalla risposta russa alla crisi venezuelana e dalla visione strategica che Mosca ha dell’alleanza con la Cina e del progetto del Gruppo di Shanghai.

In realtà siamo di fronte a mosse sempre più frenetiche da parte dell’Impero, che per quanto siano leggibili tramite una o più logiche, sono in realtà sintomi di una grave difficoltà a concentrarsi su una direzione precisa con obiettivi chiari e riconoscibili. Il contrario di una Grand Strategy.

 

7. Vorrei poi cercare di ragionare sul modo di pensare di quella che è stata per tantissimi anni la mia parte politica e culturale, la Sinistra, e che oggi ritengo letteralmente inguardabile a parte piccole e rare eccezioni. Già conosciamo il suo sostegno ai nazisti ucraini e al partito più di destra e squadrista del Venezuela, cioè Voluntad Popular. Quel che vorrei capire è come si possa disprezzare Donald Trump perché “fascista”, “razzista”, “antiecologista” e “misogino”, come si possa disprezzare Jair Bolsonaro per i medesimi motivi e al contempo sostenere un golpista che ha potuto agire soltanto perché appoggiato proprio da Trump e da Bolsonaro.

Riuscirà chi ancora crede al PD, a LeU e alle loro frange a far quadrare i conti tra le proprie credenze e la propria coscienza? O l’incoerenza sarà vista come un curioso fenomeno naturale?

La crisi venezuelana può avere solo tre esiti: 1) Trump rinuncia a fronte della compattezza del governo, delle masse popolari e dell’Esercito venezuelani e dei loro sostenitori internazionali. 2) L’Impero ritiene praticabile una soluzione “alla brasiliana”, si riescono ad imporre nuove elezioni presidenziali sperando che un’ingerenza massiccia a suon di disinformazione, sanzioni, azioni giudiziarie sui leader bolivariani e milioni di dollari elargiti all’opposizione possa regalare la vittoria a Guaidó. Ma la situazione in Venezuela è molto diversa da quella del Brasile. 3) L’Impero opta per un’azione militare, ovvero per una soluzione “alla libica”, con basi d’appoggio il Brasile e la Colombia. Una decisione disastrosa sotto ogni singolo punto di vista.

Escludendo a priori l’autodeterminazione dei popoli, l’Unione Europea punta sul secondo esito ritenendo il terzo troppo pericoloso e forse troppo spregiudicato.

Ecco perché la posizione della Mogherini non è “equilibrata” ma antidemocratica e pro-imperiale. O, più precisamente, timorosa di una ritorsione imperiale più che entusiasta esecutrice (ché esecutrice è stata fino alla nausea nel suo spudorato sostegno ai più noti organizzatori della sedizione violenta e assassina in Venezuela). Un timore che si somma alle sirene eurasiatiche, alla constatazione delle crescenti difficoltà – politiche, militari ed economiche – che vengono sperimentate dal padrone-alleato sempre più inferocito e con sempre meno opzioni e capacità egemoniche, alla paura di venir trascinata in un isolamento e a quella di una definitiva rottura del mercato internazionale.

 

8. Infine, abbiamo parlato di mancanza di una Grand Strategy da parte dell’Impero e tuttavia in questo caos sistemico un piano generale si può intuire, per lo meno ex post: consolidare la propria area di influenza storica in una sorta di impero formale, cioè organizzato gerarchicamente, e isolare il blocco euroasiatico con un cordone di fuoco, instabilità, sanzioni e minacce, sperando che la situazione interna dei competitor eurasiatici si deteriori (e in verità su questo punto sia la Cina che, soprattutto, la Russia dovrebbero stare molto attente, per non parlare dell’India).

Ma questo piano si scontra con un fenomeno che ha un nome preciso: “sovradimensionamento strategico”, fenomeno stranoto agli studiosi degli imperi e che può anche essere descritto come impossibilità di gestire la crescente complessità da parte di un’entità che continua a non volersi adattare al cambiamento, o come la produzione di entropia nelle strutture dissipative (si confronti qui). 

Noi la vediamo anche in un altro modo: i processi di accumulazione generano contraddizioni che emergono sempre più imponenti proprio a causa dei tentativi di risolverle e dell’impossibilità crescente di scaricarle all’esterno (ecco dove le dinamiche geopolitiche si saldano alla natura di classe, priva di finalità (sociali), dei processi di accumulazione).

Questo punto di vista, che noi rivendichiamo come squisitamente marxiano, è importante, perché se le cose stanno così, il mondo multipolare, semmai vedrà la luce, sarà solo una tappa verso una nuova crisi sistemica ancora più ampia che non risparmierà le new entry, le nuove potenze regine di tale futuro assetto globale e non risparmierà il nuovo equilibrio da esse tutelato, se i processi di accumulazione continueranno a dominare le società umane e la Natura.

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