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L’omicidio di Macerata e le passioni infinite

Matte Blanco ci ha insegnato che le emozioni funzionano per classi generalizzanti e equivalenze che si trasformano in identità. [Valentino Baldi]

L’omicidio di Macerata e le passioni infinite
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16 Febbraio 2018 - 16.56


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di Valentino Baldi

Sul numero di «Micromega» aprile-giugno 1987, Ignacio Matte Blanco, psicoanalista cileno trasferitosi a Roma, pubblica un breve articolo intitolato Polis e Psiche. Si tratta di un documento insolito per un freudiano che ha messo al centro dei propri studi il rapporto tra inconscio e infinito. Nella sua analisi, Matte Blanco si confronta con la crisi dei valori della politica italiana, dimostrando che le sue categorie sono proficuamente applicabili per analizzare questioni di carattere sociale. Partendo, come di consueto, dall’analisi freudiana dei processi inconsci, Matte Blanco nota come il linguaggio politico sia fortemente condizionato dalle emozioni e dunque da porzioni di pensiero che non rispettano la logica tradizionale. Nel paragrafo centrale, intitolato Pensiero, Emozione, Infinito e Politica, si legge che «questo mondo [l’inconscio] esiste in noi ed è attivissimo ed influisce considerevolmente nella nostra vita, inclusa la vita politica. È il mondo dell’inconscio e dell’emozione» (p. 218). In questo mondo, scrive ancora Matte Blanco, «tutto si unifica, totalizza ed infinitizza» (p. 218). Le riflessioni sulla crisi della vita politica italiana degli anni Ottanta sono in larga parte attuali anche oggi, ma il saggio matteblanchiano è un documento essenziale soprattutto perché testimonianza di come uno studio sull’inconscio possa superare i confini della psiche privata e possa essere applicato anche a questioni di carattere storico, sociale, politico:

Siccome l’inconscio e l’emozione sono aspetti integranti della natura umana, possiamo concludere che la logica simmetrica, per quanto strana, è, dopo la logica classica, una seconda espressione della nostra natura. Essa ci fornisce un secondo modo di conoscere e vivere la realtà, nostra e del mondo. (p. 218)

Seguendo questa linea di lettura la sezione La natura dell’emozione – che propone un ripensamento di concetti quali pensiero, emozione, coscienza – si muove proprio nella direzione di una ridefinizione della percezione che l’uomo ha della realtà esterna che lo circonda:

Ogniqualvolta un individuo si riferisce a un determinato oggetto primario o a un determinato simbolo che lo rappresenta, sta di fatto includendo, ad altri livelli, tutta la classe degli oggetti definita dalla funzione proposizionale cui si sta implicitamente riferendo. Più si avvicina alla «superficie» più si tratta di un oggetto concreto; d’altra parte più profondo è il livello inconscio più la classe è vista come un tutto.

Questa peculiarità dell’inconscio fa luce sulla natura delle relazioni umane. (p. 188)

Qui sono necessarie alcune integrazioni. Col termine “logica simmetrica” Matte Blanco indica il funzionamento dell’inconscio nei suoi livelli più profondi. Servendosi dei dati raccolti a partire dall’analisi di pazienti schizofrenici, Matte Blanco ha colto le peculiarità del modo di pensare dell’inconscio profondo: l’inconscio funziona per classi di elementi sempre più ampie e, allo stesso tempo, non conosce contraddizione, ma tratta tutte le relazioni tra gli elementi come reversibili. Mentre il primo principio è comune anche alla logica che impieghiamo quotidianamente (la classe degli allievi di una scuola, la classe delle persone con gli occhi marroni), il secondo è logicamente inaccettabile: per l’inconscio gli alunni di una stessa classe sono identici, così come identiche appaiono tutte le persone con caratteristiche che possono permettere di assimilarle.

Usare politicamente le categorie matteblanchiane consente di riflettere sugli effetti della logica delle emozioni in fenomeni di larga scala, come xenofobia e questioni di genere. Partirò da un episodio di cronaca recentissimo che anima il dibattito pubblico in Italia. È noto che il fermo e il successivo arresto di Innocent Oseghale con l’accusa di omicidio, occultamento e vilipendio di cadavere ha creato un’ondata emotiva che sta avendo forti ripercussioni sulla campagna elettorale e sulla vita pubblica del nostro Paese. Dalle manifestazioni pro o contro i fascismi ai commenti sui social network, l’omicidio di Pamela Mastropietro ha sollevato un’attenzione morbosa, riportando nel dibattito pubblico l’imbarazzante questione dell’accoglienza. Ben prima di qualsiasi condanna definitiva, la reazione sociale che si è scatenata dimostra una simmetrizzazione continua e di massa, in alcuni casi con identificazioni iperboliche: Matte Blanco ci ha insegnato che le emozioni funzionano per classi generalizzanti e equivalenze che si trasformano in identità. Dunque migranti che viaggiano sui Frecciarossa senza biglietto, migranti senza documenti, che dormono negli alberghi, che ricevono dieci venti quattrocento euro al mese senza fare niente, che ammazzano le nostre donne, i figli, gli amici.

Evitando di cadere nel vortice delle notizie ricavate da rete, quotidiani o altre fonti indirette, preferisco raccontare il mio aneddoto personale. Scrivo “mio” perché qualsiasi lettore avrà un suo aneddoto similare in questi giorni di sdegno e polemiche. Stamattina mi trovavo in un bar a fare colazione. Era già tardi per la colazione, il bar semivuoto, solo un paio di clienti e un uomo di colore entrato assieme a me per un caffè. La barista lo guarda e poi: “non te lo faccio il caffè, perché sabato scorso sei andato via senza pagare”. Il motivo futile di quella che è rapidamente degenerata in una rissa verbale violenta è tutto qui: la barista si rifiutava di servire l’uomo, accusandolo di non aver pagato un caffè da lui consumato qualche giorno prima. “Lo fai tutte le volte”, ha aggiunto con meno convinzione. Ovviamente più l’uomo nega, più la barista si infervora. La lite è diventata furiosa e si è interrotta solo con l’arrivo di due vigili. L’uomo, portato fuori, non ha resistito alla tentazione di voltarsi proprio sulla porta per urlare: “sei una razzista, fai così perché sono nero, sei una puttana”. E qui la mente simmetrica ha prodotto quel miracolo di cui tutti noi facciamo esperienza quotidianamente: la donna, ancora scossa, ha attaccato l’uomo parlando “di quella povera ragazza che loro hanno fatto a pezzi”. È ovvio che qui chiedo un atto di fiducia, vi assicuro che l’espressione era proprio questa: “loro hanno fatto a pezzi”. Ancora più stupefacente è che gli altri avventori, tutti piuttosto attoniti fino a quel momento, hanno iniziato a infervorarsi: è così, l’hanno ammazzata, la gente continua a votare per quelli che non fanno niente per fermare l’invasione. Il “pensiero” dell’emozione ha svolto il suo compito, sia per la barista, che per l’avventore: quell’uomo accusato di non aver pagato il caffè è entrato nella classe dei migranti ed è diventato Innocent Oseghale, l’extracomunitario che ci aspetta all’uscita del supermercato, ci vende gli accendini, ci ruba tutto il lavoro del mondo. E anche l’uomo di colore portato via dai vigili parlava per classi emotivizzate: la barista che si era rifiutata di fargli un caffè accusandolo di non aver pagato entrava nella classe dei “razzisti” che discriminano in base al colore della pelle, benché l’accusa della donna fosse tutt’altra.

Non servono altri spiacevoli dettagli per capire due cose. La prima è che autori come Matte Blanco si dimostrano classici universali per questa incredibile capacità di adattamento che permette di illuminare allo stesso modo due versi poetici o una rissa da bar in un pigro lunedì mattina. La seconda è che l’universo delle emozioni è un serbatoio infinito di passione e aggressività da cui è facile e pericoloso attingere. Nessuna proposta di abolire le emozioni in politica: a leggere Matte Blanco, o a usare il buon senso, questo è impensabile e la stragrande maggioranza di noi andrà a votare assecondando molto di più una spinta passionale che un calcolo asettico. Solo l’auspicio che riconoscere simili fenomeni possa fermarci un attimo prima di dare del “negro”, dell’ “assassino” o della “puttana” a qualcuno.

Il testo proposto è stato pubblicato su La letteratura e noi, il 13 febbraio scorso. Ringraziamo l’autore per averci concesso di riprenderlo qui.

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