Perché la celebrata Russia post-sovietica va in fumo

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13 Agosto 2010 - 12.18


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di Alessandro Cisilin – da «Galatea European Magazine» di settembre 2010.

Evento naturale“. “L”afa peggiore degli ultimi mille anni“. E la terra che, inevitabilmente, brucia.

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Le immagini della coltre di fumo che ha avvolto per settimane l”intero versante europeo tra gli Urali e Mosca sono stato raccontate dai media russi perlopiù nei termini fatalistici dell”anomalia senza colpe.

Del resto anche le ambasciate straniere, con un tempismo in linea con la “prudenza” del Cremlino, hanno sconsigliato i connazionali a recarsi in Russia solo dopo tre settimane dallo scoppio dell”emergenza.

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Tutto sotto controllo in fondo, o quantomeno nella norma: quando fa caldo e i venti soffiano gli incendi divampano ovunque, non solo a Mosca, e lo stesso vale per i conseguenti rischi epidemici.

E perfino i bollettini ufficiali delle vittime delle fiamme, contenuti alla cifra di alcune decine, suonavano realisticamente irrisori se rapportati al gigantismo intercontinentale del paese. Invece non è accaduto solo questo.

Le centinaia di migliaia di ettari andati a fuoco descrivono i contorni di un”autentica catastrofe, anche per le dimensioni russe.

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E i morti reali non sono stati decine, bensì decine di migliaia. A fianco dell”imperturbabile silenzio del governo è tardivamente filtrato l”allarme delle autorità sanitarie, che hanno riferito di un incremento della mortalità del cinquanta per cento rispetto alle medie stagionali. La stima del resto era al ribasso, in quanto spuntata alla chetichella alla fine di luglio, prima ancora del picco dell”emergenza, proclamata ai primi del mese successivo.

Fino ad allora gli stessi diplomatici e le agenzie di viaggio non avevano appunto segnalato praticamente nulla. Dopotutto gli scali, i negozi e gli alberghi erano rimasti epicamente aperti, e lo stesso valeva per i musei, che rilevavano anzi il dato paradossale di un incremento rispetto all”anno precedente di turisti stranieri, seppur armati di mascherine. T

utto a posto dunque in apparenza, a Mosca quanto a San Pietroburgo, salvo una visibilità ridotta a qualche metro da una coltre di gas tossici che raggiungevano la stratosfera e i polmoni degli abitanti, alimentati da torbiere, fogne e rifiuti in fiamme alle porte delle metropoli, generando livelli di monossido di carbonio sei volte superiori alla soglia della normalità.

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Soltanto a inizio agosto il Cremlino è stato quindi costretto a rinunciare alle “rassicurazioni“, nonché al movente di non creare il panico in una popolazione già in fuga in massa – ovvero le migliaia che potevano economicamente permetterselo.

Situazione mostruosa“, riconobbe finalmente Medvedev, che peraltro poteva permettersi di lasciare la capitale a se stessa nel picco della crisi per presenziare a irrinunciabili eventi folkloristici quali la celebrazione dei due anni dell”auto-proclamata indipendenza dell”Abkhazia dalla Georgia.

Un”ulteriore ostentazione di reticente sicurezza, consapevole che i media sotto la sua influenza non avrebbero dato conto della gravità delle critiche mosse dagli ambientalisti e dagli scienziati di mezza Europa.

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Quel che accade ora non dipende da noi ma da lassù“, spiegò allora il presidente, esternando una sostanziale sciocchezza. La natura è assai meno crudele di come l”ha ridotta l”uomo post-sovietico.

L”esplosivo mix di privatizzazioni e deregolamentazioni ha di fatto azzerato il prestigioso corpo forestale russo e dato il via libera alla vendita di legname senza permessi in tempi di crisi, nonché all”abusivismo edilizio e industriale. Nel 2000 il ministero dell”Ambiente è stato addirittura soppresso e tre anni fa Putin ha introdotto un nuovo Codice delle foreste che ha ufficialmente abolito la funzione nazionale della loro protezione, col paravento di un federalismo all”italiana che ha ceduto alle regioni ogni competenza in materia, salvo prosciugarle delle risorse necessarie ad assolverla.

La Russia comunista si spingeva a deviare fiumi a fini produttivi, con serie conseguenze ambientali. Ma quella odierna si è privata perfino dei mezzi aerei per combattere i roghi, rendendo necessario l”afflusso di Canadair dalla remota Italia e dalla rivale Ucraina. E vista l”ampiezza delle terre agricole bruciate chiude populisticamente le esportazioni di cereali, imponendone l”esplosione del prezzo mondiale.

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