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Avanti dove Lula ha fallito. Le reazioni della società civile e di alcune organizzazioni movimentiste brasiliane, all”elezione della prima “Presidenta” della repubblica carioca, sono di giubilo per la vittoria della sinistra e di sollievo per la sconfitta di una destra ultracattolica e conservatrice. Tuttavia, lasciano trasparire un malumore per quegli obiettivi storici mancati dal predecessore della Rousseff. Lacune e ritardi sui quali Dilma, che ha ricevuto un testimone bollente, è già chiamata dagli strati inferiori ad esprimersi. Per ora, infatti, la sua vittoria è stata accolta con un “nì”, un sì con riserva, in attesa di vedere le prime mosse del governo su questioni cruciali.
L”analisi più lucida su meriti e defaillance di Ignacio Lula, e sulle sfide ereditate dalla sua delfina, la fa Leonardo Boff, già fra i massimi esponenti della Teologia della Liberazione.
«Abbiamo condiviso la tesi di chi ha visto nel governo Lula una transizione di paradigma – spiega Boff – da uno Stato privatizzatore, ispirato ai dogmi neoliberisti a uno Stato repubblicano che mette il sociale al centro, per rispondere alle richieste della popolazione più povera. Ogni transizione però, possiede un elemento di continuità e un altro di rottura.
La continuità è stata rappresentata dal mantenimento del progetto macroeconomico, finalizzato a fornire la base per la stabilità politica e esorcizzare i fantasmi del sistema.
La rottura – la novità – è quella dell”avvio di sostanziali politiche sociali, destinate all”integrazione di milioni di brasiliani poveri, tra le quali particolarmente importante è stato il progetto della “borsa famiglia”. Lula ha incluso socialmente una Francia intera in una situazione di decenza.
Ma, dall”inizio, gli analisti hanno segnalato lo squilibrio tra il progetto economico e il progetto sociale, perché il primo riceve dallo Stato alcuni miliardi di reais all”anno, in forma di interessi, mentre il progetto sociale deve accontentarsi di molto meno. Nonostante questa disparità , il fossato tra ricchi e poveri è diminuito, il che ha procurato a Lula uno straordinario consenso».
Dunque, se l”ex presidente del Brasile – in ogni caso meritevolmente, come dimostrano anche i complimenti di Hugo Chavez – non è riuscito ad abbattere alcuni scogli politici, a Dilma Rousseff spetta ora il compito di portare a compimento quegli interventi «strutturali che il governo Lula ci ha lasciato»: la riforma politica, «contrastata da interessi corporativi di partiti privi di ideologia e assetati di benefici»; fiscale, poiché fino ad ora «il fisco favorisce i ricchi e pesa gravemente sui salariati»; agraria, che dovrà «essere integrale e popolare, portando la democrazia nelle campagne e alleggerendo la “favelizzazione” delle città ».
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«La nostra battaglia vuole intervenire su tre aspetti: l”uso del suolo e delle risorse naturali, che non devono essere trasformate in merci; il tipo di alimenti che la popolazione sta consumando; al servizio di chi saranno utilizzate le tecnologie nelle campagna».
Douglas Belchior, membro del consiglio federale del Movimento Negro, denuncia un brutto razzismo istituzionale e promette battaglia sulla «revisione delle politiche di sicurezza pubblica, che troppo spesso colpiscono la popolazione negra in tutti gli stati», rilanciando quelle per l”approfondimento «delle politiche di educazione» e per lo «Statuto di Uguaglianza Razziale».
Il sindacalista Milton Viario, della Federazione Metalmeccanici del Rio Grande do Sul e della Cut (Central Unica Trabalhadores), riconosce a Lula di aver «stimolato la creazione di posti di lavoro e arginato la flessibilità diffusa dal Governo Cardoso», ma adesso c”è bisogno di «più democrazia in campo sindacale, di migliori condizioni di lavoro e delle 40 ore settimanali».
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