Il furto del 5 per mille e l'illusione di un Welfare diverso

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21 Novembre 2010 - 14.08


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di Ettore Macchieraldo – Megachip.

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Il signor T., da molti indicato come prossima guida affidabile di questo paese, riduce del 75% i soldi destinati dai cittadini alle Organizzazioni non Governative. Questa singolare operazione ha un sapore fortemente autoritario. Infatti, non solo toglie risorse alla spesa sociale, ma commette un vero e proprio furto, dal momento che quei soldi erano destinati esplicitamente dai cittadini, tramite la dichiarazione dei redditi, a ben specifiche associazioni, cooperative in una parola Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS).

Il signor T. qualche anno fa istituì egli stesso questo strumento. Anziché perder tempo nel valutare efficacia e qualità dei servizi erogati dal cosiddetto “terzo settore”, fossero i cittadini a indicare essi stessi quelli meritevoli e gli devolvessero direttamente una parte del proprio gettito fiscale. Ci pare giusto, anzi giustissimo.

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Eppure, con una capacità funambolica propria del signor T., ora riesce a disfare ciò che fece.

Verrebbe infatti ridotto il tetto delle quota del denaro da versare alle Onlus da 400 milioni di euro a 100 milioni, riducendola del 75 %, come ricorda peacereporter.net.

Potete immaginare quali difficoltà avrebbe una famiglia se in modo improvviso e unilaterale un suo componente perdesse il 75 % del proprio reddito. Ecco: trasferite questa immagine in scala su tutto quanto conoscete che si occupi di anziani, bambini, poveri e disabili e potrete avere una vaga idea del danno.

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E infatti il Codacons (Coordinamento delle Associazioni per la Difesa dell”Ambiente e dei Diritti degli Utenti e dei Consumatori) dichiara che denuncerà il signor T. per «truffa e abbandono di incapace».

Varrebbe però la pena di fermarsi qualche minuto per approfondire la vicenda.

Si fa un gran parlare di Welfare State. Addirittura in alcuni governi questo anglicismo ha sostituito il più italico Ministero del lavoro e della protezione sociale.

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Il Welfare, o Stato sociale, è quella serie di norme e istituzioni intesi a garantire servizi sociali a tutti i cittadini. Nacque e si affermò in Occidente durante i secoli XIX e XX, intrecciando il suo sviluppo con l”evoluzione storica della civiltà industriale. La sua dimensione di massa si consolidò negli Stati Uniti come risposta alla Grande depressione economica dell”29 (quella che molti paragonano alla crisi finanziaria odierna).

Fu un modello vincente di riorganizzazione che, attraverso politiche di redistribuzione della ricchezza, cooptò un vastissimo ceto medio nei meccanismi del consenso e produsse un”egemonia apparentemente incrollabile non solo negli USA, ma in buona parte del globo.

In Italia molti istituti di quel modello di Stato sociale nacquero col fascismo. Enti previdenziali, mutue, assegni familiari ecc, furono istituiti negli anni ”30 dal Duce e dai suoi ministri. Nel dopoguerra il modello prese una direzione più conforme ai nuovi equilibri internazionali.

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Rimanemmo tuttavia anomali, sotto molti aspetti. Una parte del potere venne gestito in maniera clientelare attraverso gli istituti del Welfare italico. Basti pensare alle cicliche e strumentali polemiche sui “falsi invalidi”.

Ecco l”idea tutta nostra che per ottenere un diritto non si debba semplicemente acquisirlo in quanto cittadini, ma lo si debba elemosinare presso il potente più prossimo, ha di molto allontanato il nostro Stato sociale da quello dei paesi cosiddetti avanzati.

Per questo le critiche – molto fondate – alla corruzione del nostro Stato sociale hanno avuto buon gioco. E ciò è avvenuto non solo nella versione più gretta della vulgata padana.

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Se ci riflettiamo è comune sentire.

Nel frattempo è maturata una trasformazione radicale della nostra organizzazione sociale.

Robert Castel l”ha descritta così: «Paradossalmente, la protezione sociale classica renderebbe così più profondo lo scarto tra una collettività che può continuare a beneficiare di protezioni forti – concesse in modo incondizionato, poiché corrispondono a diritti provenienti dal lavoro – e il flusso crescente di tutti gli individui che non riescono a inscriversi in questi sistemi di protezione oppure se ne distaccano» [Robert Castel, L”insicurezza sociale, Einaudi 2004, pag 73].

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Per tornare alla ragione di questo articolo, il 5 per mille fu pensato come strumento per adeguarsi a questo cambiamento.

Se il differenziarsi delle condizioni di vita e di lavoro moltiplica i tipi di servizi sociali richiesti, niente di meglio che un meccanismo di finanziamento direttamente scelto dal singolo cittadino e garantito dall”erogazione dello Stato.

Così sembrava, ma il signor T., come al suo solito, una ne fa e cento ne pensa. E quella che fa ha il forte sapore della truffa del forte contro i deboli.

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Ma non fu proprio il signor T. a proporre una Robin Hood Tax?

 

 

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