La Liberazione e il sonno della ragione

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25 Aprile 2011 - 19.06


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di Piero Pagliani.

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25 aprile.

Eccomi di ritorno, bagnato, da Porta San Paolo. Le masse non c”erano. Lo sapevo, era come quando ci andai due anni fa. Ma almeno allora non pioveva. I discorsi politici sono stati più o meno inutili e più o meno irritanti. Ma anche questo lo sapevo di già. Doverosi invece i due appelli a continuare la mobilitazione per i referendum sul nucleare e l”acqua. Commoventi infine le testimoniane della allora matura partigiana e della allora giovanissima staffetta.

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In fondo, consapevole o meno, ero andato a Porta San Paolo proprio per questo: per commuovermi. La commozione che proviene dal legame tra una storia reale, concreta, di sessantasei anni fa e che è parte del mio patrimonio genetico e una idealità che invece non trova più il suo “correlativo oggettivo”.

Mio padre, azionista con simpatie comuniste, combatteva come partigiano in Toscana mentre i suoi genitori nascondevano una famiglia di Ebrei nella loro casa di Milano. Mio zio era uno dei dirigenti del CLNAI. Arrestato a Milano, torturato dalla Muti, scampò alla fucilazione grazie ad uno scambio di prigionieri. Mio cugino Franco invece per la libertà scambiò la sua vita con una medaglia d”oro: arrestato a 18 anni dalla Gestapo morì l”anno successivo in un campo di concentramento in Germania.

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Sono cresciuto a Bella Ciao. E oggi ho cantato Bella Ciao assieme a persone con cui probabilmente litigherei se dovessi parlare di politica.

Ho cantato anche “Oltre il ponte”, la bella canzone di Calvino musicata da Liberovici: “oltre il ponte ch”è in mano nemica vedevam l”altra riva, la vita. Tutto il bene del mondo oltre il ponte“.

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Era un mio cavallo di battaglia da ragazzo, ma questa mattina la cantavamo in pochi, perché ormai da pochi è conosciuta. Ma anche con quei pochi, chissà quante discussioni sarebbero sorte se ci fossimo messi a discutere di politica.

Invece mi lasciavo trasportare da altro: non dalla polemica politica, che forse mi avrebbe dettato di lasciare quella piazza, ma da un qualcosa di comune, visibilmente vago e sospeso nell”aria. Quel qualcosa che apre ferite non appena si prova a definirlo: libertà? giustizia sociale?

Per quale motivo se solo si accenna a riportare quegli ideali e quei concetti alla nuova realtà essi immediatamente si frantumano in visioni così differenti e contrapposte?

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Qual”è la difficoltà a capire, ad esempio, che oggi nell”epoca delle interminabili e paurosamente numerose “guerre umanitarie”, perseguire la giustizia sociale, lottare per la libertà, significa ostacolare l”imperialismo, combatterlo, e non appoggiare le aggressioni imperialistiche fatte in nome proprio di quegli ideali?

Che tutti, proprio tutti, questi poveri ideali sono tirati in ballo; nessuno è lasciato in pace: per iniziare dall”antifascismo. Per cui massacriamo centinaia di migliaia di persone: ieri contro l”Hitler Saddam, l”Hitler Milosevic e i “fascisti” talebani; oggi contro l”Hitler Gheddafi e magari domani contro l”Hitler Ahmadinejad. Ovviamente passando per il “despota” Assad, il “fascista” Hezbollah e il “fascista” Hamas (che Vittorio Arrigoni riposi in pace: è stato ucciso proprio perché non creasse problemi, perché non ci ponessimo domande così difficili).

Solo poche voci si sono alzate dal palco contro le nostre guerre. Eppure solo pochi decenni fa tutti i discorsi si sarebbero focalizzati sulla denuncia delle devastazioni imperialistiche. Ce la ricordiamo ancora la determinata protesta contro la guerra del Vietnam? Cos”è che è cambiato da allora? L”imperialismo è cessato di esistere? E” diventato più accettabile? Non è invece che per caso sia diventato ancora più aggressivo per via della crisi attuale?

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Saranno conseguenti quelle poche voci sentite oggi? Lo spero con tutto il cuore. Ma è difficile, perché nella declinazione delle proposte politiche sembra che ci sia qualcosa che impedisca di far proseguire la Storia, innanzitutto nella nostra mente, e poi nelle categorie teoriche, politiche e nella loro applicazione. Qualcuno chiama questa incapacità: “retorica”. Qualcuno chiama i suoi effetti politici “opportunismo”.

Io sono andato a Porta San Paolo per ritrovare la mia, di storia, quella con la “s” minuscola, quella personale, in mezzo a persone oneste fuori dalla Storia e in balia di chi la Storia la vuole fare a proprio uso e consumo, con l”uranio impoverito, con gli embarghi assassini e, tra non molto, con bombe che innalzano nubi a forma di fungo: per la “libertà“.

Lì, in quella piazza, c”erano ideali senza “correlativi oggettivi”. Dei mostri, dei fantasmi, degli “Unwesen“, avrebbe detto Marx.

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Cantavamo Bella Ciao, sotto la pioggia e in mezzo al sonno della ragione.

 

Il presente articolo appare anche sul sito di Comunismo & Comunità.

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