Tav, Valle di Susa: sotto assedio l'Italia di domani

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24 Maggio 2011 - 10.13


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da libreidee.org.

Mercedes Bresso o Roberto Cota, non cambia niente: quella linea ferroviaria va fatta ad ogni costo. La valle di Susa non la vuole e sono 17 anni che si batte per fermarla? Non importa: la valle di Susa non conta nulla. Gli oppositori dimostrano che la Torino-Lione, la più grande opera pubblica italiana, è completamente inutile? Pazienza. Quel treno veloce dovrà sfondare la vallata e bucare le Alpi, comunque. Anche se intanto Pisapia fa vacillare il Muro di Milano, se Fassino eredita il trono di Chiamparino, se Bruxelles non fa che annuciare tagli alla spesa sociale.

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Tremonti e la sua finanziaria “lacrime e sangue”? La Grecia che rischia la bancarotta e la folla di Madrid che avverte che così non si può andare avanti? Non fa niente: la Torino-Lione è protetta dagli dèi. E se la politica non la sa giustificare, si rifugerà ancora una volta dietro ai reparti antisommossa.

Lo sanno benissimo i No-Tav, che nella notte fra il 23 e il 24 maggio hanno fatto da scudi umani sulla loro montagna, sventando il primo assalto dei blindati e sbarrando ogni accesso con barricate improvvisate. Obiettivo: difendere i boschi della Maddalena di Chiomonte, sulle alture che circondano Susa, dove il governo tenta di aprire il primo cantiere per la Torino-Lione, quello del “cunicolo esplorativo” che avanzerebbe nel sottosuolo fino a intercettare la direttrice del futuro “tunnel di base”, il grande traforo alpino lungo più di 50 chilometri. Il “cunicolo” di Chiomonte sarebbe una galleria orizzontale destinata al sondaggio geologico del terreno, ma servirebbe soprattutto all”Italia per dimostrare la volontà politica di avviare il più grande cantiere della sua storia, convincendo Bruxelles a non chiudere il rubinetto dei finanziamenti, il cospicuo anticipo di quello che poi diventerebbe un oceano di denaro pubblico: 20 miliardi di euro.

La Torino-Lione costerebbe 5 miliardi più del tunnel sotto la Manica e quattro volte tanto il faraonico ponte sullo Stretto di Messina. Sarebbe la maggiore opera pubblica della storia italiana. Ma anche la più misconosciuta, e la più contestata: secondo gli oppositori, infatti, la Torino-Lione sarebbe completamente inutile. Ideata all”inizio degli anni ”90 e pensata per i flussi di traffico di allora, oggi rischierebbe di trasformarsi in una linea-fantasma: il trasporto merci est-ovest è crollato, mentre si rafforza la direttrice sud-nord che dal porto di Genova trasferisce verso Rotterdam le merci provenienti da Cina e India. La pianura padana è già attrezzata per lo smistamento, attraverso lo snodo di Novara e i nuovi valichi Italia-Svizzera, Gottardo e Loetschberg. E la Torino-Lione? Un binario morto, giurano i No-Tav, suffragati dal parere dei più autorevoli esperti, che le autorità non mai osato contraddire pubblicamente.

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Una maxi-fabbrica di appalti, quindi, sulla quale incombe anche l”ombra della mafia: «Le grandi opere – accusa lo scrittore Massimo Carlotto – rappresentano un investimento sicuro per i cartelli criminali che oggi devono riciclare l”enorme riserva di denaro sporco: e possono farlo solo grazie agli appoggi di cui ormai godono nel mondo politico, industriale e finanziario». Problemi di cui domani potrebbe occuparsi la magistratura, mentre svariati tentativi – tutti falliti – sono stati condotti in questi anni per cercare di offrire agli abitanti della valle di Susa una solida compensazione per l”inevitabile disastro che sarebbe causato dall”apertura di oltre 30 chilometri di cantieri: territorio sconvolto, aree sbancate, abitanti trasferiti. Poi i rischi per la salute, data l”alta concentrazione di polveri pericolose come amianto e uranio. Enormi gli interrogativi sul fronte idrogelogico: gli scavi potrebbero tagliare le falde acquifere lasciando la valle all”asciutto, come già accaduto in Mugello. Una catastrofe ambientale, sociale, economica.

Ma se ogni singolo aspetto problematico potrebbe comunque essere affrontato in modo dialettico, a fronte di un sacrificio spaventoso eppure in qualche modo necessario, dopo tanti anni – nei quali il sistema-paese, peraltro, non ha fatto che crollare, aumentando la distanza fra cittadini e istituzioni – il “partito unico trasversale” che da destra a sinistra tifa per la Tav non è ancora riuscito a portare uno straccio di prova, una dimostrazione convincente dell”effettiva utilità della maxi-opera: 20 miliardi di euro sono «un crimine contro l”umanità di domani», tuona Beppe Grillo, convinto che «i nostri figli e nipoti saranno condannati a pagare un debito immenso, contratto per un”opera inutile». E” questo sospetto – mai fugato, purtroppo – ad alimentare ancora nel 2011 la strenua resistenza della valle di Susa, altrimenti inspiegabile.

A sentirsi spietatamente sotto tiro è un”area di centomila abitanti fra Torino e la Francia, ben inserita nel convulso scenario dell”Italia di oggi: quella che, mentre il governo bombarda la Libia e si puntella con Borghezio e i Responsabili, protesta a Genova per la nuova tangenziale, a Messina per il Ponte, a Napoli per i rifiuti e ovunque per gli inceneritori, contrabbandati come “termovalorizzatori”. E” l”Italia degli studenti contro i tagli della Gelmini, l”Italia civica che si è mobilitata contro il nucleare e contro la privatizzazione dell”acqua pubblica. In valle di Susa, la società civile ha radicalizzato la sua protesta in una dinamica di scontro: il primo progetto Torino-Lione fu bloccato a furor di popolo nel 2005, quando il governo ricorse all”uso della forza per sgombrare i manifestanti. La reazione colse tutti di sorpresa: decine di migliaia di persone si riversarono in strada, bloccando binari, statali e autostrada.

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Da allora, sei anni di “prove di dialogo” non sono serviti a niente. Il governo ha partorito un progetto-bis, sul versante opposto della valle, che secondo i No-Tav presenta gli stessi rischi del piano precedente. Ma soprattutto: nessuno ha voluto spiegare davvero a cosa servirebbe una spesa folle come quella della Torino-Lione. Si ripetono slogan decrepiti – sviluppo, crescita – come se si trattasse di raccontare fiabe a dei bambini. L”Italia barcolla, l”Europa scricchiola, il mondo intero non sa più esattamente fino a quando ci sarà petrolio per tutti, e le istituzioni italiane continuano a raccontare ai valsusini che devono piegarsi in silenzio all”ecomostro più costoso della storia, senza fornire la minima proiezione credibile sui suoi eventuali vantaggi.

Finora i grandi partiti hanno cercato – tutti – di isolare la valle di Susa, come fosse un”enclave di appestati, di sudditi impazziti: una patetica retroguardia di primitivi, ostili al progresso. Più che spiegazioni, gli uomini al potere hanno dispensato manganellate. E questo la valle di Susa non lo accetta. Non lo potrebbe accettare nessun angolo del paese, specie nell”anno delle trionfali celebrazioni dei 150 anni dell”Unità d”Italia. Brucia il sospetto peggiore: la Torino-Lione non è il mezzo, ma il fine. Non sarà una leva di sviluppo, ma solo una gigantesca boccata d”ossigeno per i costruttori, pagati con denaro pubblico: in parte europeo, ma soprattutto italiano. La resistenza dei valsusini è solo in apparenza una questione locale: in realtà, fra i monti che separano Torino e la Francia, si gioca una partita drammatica, che riguarda l”Italia intera. Qualcosa che va oltre la “narrazione berlusconiana” tanto citata nei comizi di Vendola. A quando un comizio sulla “narrazione valsusina”?

 

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