'Le caste dell''Europa e i nuovi protagonisti'

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13 Marzo 2012 - 07.59


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Sorprendentemente, anche nel nostro mondo “modernizzato” è ancora in vigore la suddivisione in caste …

di Piotr (????)

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1. Nel Rig Veda, il primo testo sacro dell”Induismo, viene descritto il sistema castale originario: i kshatriya (i re e i guerrieri), i brahmani (sacerdoti), i vaishya (agricoltori e mercanti) e infine i shudra (servi). Samir Amin e Ali El Kenz nel loro “Il mondo arabo” (Punto Rosso, 2003), denunciano il fatto che nelle società arabe è ancora in vigore sostanzialmente questa suddivisione.

In particolare Samir Amin lamenta il fatto che il Rinascimento arabo, la Nahda del XIX secolo, in realtà fu solo «la reazione ad uno choc esterno», cioè la modernizzazione europea iniziata col Rinascimento e culminata con l”Illuminismo. Ma mentre il Rinascimento europeo finse di ritornare alla tradizione classica per sbarazzarsi proprio del passato, quello arabo fu un movimento per ritornare alla grandezza originale attraverso un ritorno in senso letterale alla tradizione.

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Se questa analisi spiega il lato culturale del “ritardo” del mondo arabo rispetto a quello occidentale, dobbiamo però chiederci una cosa: il sistema castale è proprio sparito dall”Occidente?

Non mi riferisco al concetto di “casta” nel senso ormai di moda, da noi diventato popolare con libri come “La casta” di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo (Rizzoli, 2007). Non mi riferisco cioè ad esso in senso moralistico, bensì al suo senso funzionale.

Sotto questo aspetto, sorprendentemente, anche nel nostro mondo “modernizzato” è ancora in vigore la suddivisione in caste.

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La troviamo, a ben guardare, anche nel microcosmo del dinamico modo di produzione capitalistico: un”azienda è divisa tra lavoratori (i servi), la direzione produttiva (i “mercanti e agricoltori”), quella del marketing (veri e propri ideologi appartenenti quindi alla casta sacerdotale) e infine la direzione strategica (l”Amministratore Delegato, il “re”, e i suoi guerrieri del board).

I tardo-marxisti purtroppo hanno in massima parte letto la società capitalistica attraverso una semplificazione: una casta di direttori della produzione contemporaneamente re-proprietari (con guerrieri e sacerdoti al loro servizio) tutta tesa alla “massimizzazione dei profitti”, da una parte, e dall”altra la casta dei servi-proletari, riportando in auge l”idea di Eugen Dühring del profitto estratto con la spada in pugno così criticata da Engels.

2. La più complessa suddivisione funzionale la troviamo anche, e al massimo della sua potenza e delle sue implicazioni, nella dimensione del macrocosmo delle società capitalistiche. Lo storico francese Fernand Braudel ha spiegato che il dominio capitalistico è dato dalla fusione di tre grandi funzioni: quella politica, quella militare e quella economico-finanziaria. Secondo Braudel e Adam Smith qualora queste funzioni non si concentrassero in un centro dominante, il capitalismo non potrebbe sopravvivere alla loro dissociazione. In questo caso la storia del capitalismo

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«giungerebbe al termine come risultato delle conseguenze non intenzionali dei processi di formazione del mercato mondiale. Il capitalismo (il “contromercato”) si estinguerebbe assieme al potere statale che ne ha fatto le fortune nell”era moderna, e il livello sottostante dell”economia di mercato farebbe ritorno a qualche tipo di ordine anarchico. Infine, per parafrasare Schumpeter, prima di soffocare (o respirare) nella prigione (o nel paradiso) di un impero mondiale postcapitalista, l”umanità potrebbe bruciare negli orrori (o nelle glorie) della crescente violenza che ha accompagnato la liquidazione dell”ordine mondiale della guerra fredda. Anche in questo caso la storia del capitalismo giungerebbe al termine, ma questa volta attraverso un ritorno stabile al caos sistemico dal quale ebbe origine seicento anni fa e che si è riprodotto in scala crescente a ogni transizione. Se questo significherà la conclusione della storia del capitalismo o la fine dell”intera storia dell”umanità, non è dato sapere» (Giovanni Arrighi, “Il lungo XX secolo. Denaro, potere e le origini del nostro tempo“. il Saggiatore, 1996, pag. 466).

Giovanni Arrighi chiama il capitalismo “contromercato” sulla scorta dell”osservazione di Karl Polanyi che in realtà il “libero mercato” nel capitalismo non può esistere proprio a causa dell”esercizio del potere che è connaturato al capitalismo stesso e che lo spinge ad organizzarsi in alleanze, monopoli e oligopoli che servono alla conduzione dei conflitti intercapitalistici.

Arrighi ipotizza, alternativamente, che gli Stati Uniti, utilizzando la loro superiorità nelle capacità belliche e di formazione dello stato, potrebbero

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«appropriarsi, attraverso la forza, l”astuzia o la persuasione, dei capitali eccedenti che si accumulano nei nuovi centri [capitalistici], ponendo così fine alla storia del capitalismo attraverso la formazione di un impero mondiale davvero globale» (ibidem).

Ma, aggiungiamo noi, si potrebbe invece entrare in una fase di multilateralismo, dove la suddivisione del potere capitalistico in vari centri potrebbe aprire la possibilità a una transizione radicale di questo sistema sociale e produttivo.

L”Europa potrebbe essere uno di questi centri?

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3. Come ricorda Riccardo Bellofiore,

«il Trattato di Maastricht è figlio del progetto di Delors come si andò definendo nel 1988, e sta tutto dentro un”Europa divisa dalla cortina di ferro. Era un progetto francese più che tedesco. Quello statunitense appariva allora il modello perdente di capitalismo: erano i capitalismi tedesco e giapponese (persino, nel mito, quello italiano dei distretti) ad essere in ascesa. La Francia voleva condividere il controllo della moneta, monopolio della Bundesbank, facendosi forte della sua supremazia militare e politica nell”Europa divisa in due. Alla Germania occidentale doveva toccare il ruolo di cuore della manifattura di alta qualità; e (inizialmente, ma si ritrasse) alla Gran Bretagna il ruolo di centro della finanza» (R. Bellofiore, “La crisi globale, l”Europa, l”euro, la Sinistra“, Asterios Editore, 2012, pag. 39).

Di nuovo una suddivisione funzionale castale: la Francia come casta dei guerrieri, la Germania come casta dei produttori e infine la Gran Bretagna come casta a metà tra quella dei mercanti e quella dei clerici.

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Ma il progetto nasce monco. La Gran Bretagna, junior partner degli Stati Uniti si ritrae subito (nel 1992 abbandonerà ufficialmente il Sistema Monetario Europeo), perché in realtà si stava riorganizzando tramite il presidente USA Ronald Reagan, la premier Margaret Thatcher (ed epigoni) una potente finanza anglosassone collegata ai centri di potere politico e militare di Washington. In altre parole gli Stati Uniti cercavano di riaccentrare le funzioni economico-finanziarie, politiche e militari dopo la sconfitta del Vietnam e il Nixon Shock del 1971.

L”Europa poteva a quel punto solo adeguarsi. La guerra di Libia è una riedizione ignobile del progetto originario di Delors, che era ancora all”insegna dell”indipendentismo gaullista. Abbiamo infatti assistito ad una Francia “sarkozyzzata” che si è proposta come casta guerriera subdominante al servizio degli Stati Uniti, in condominio con la casta finanziaria subdominante inglese. Mentre la casta dei produttori tedesca si chiamava fuori dalla mischia.

È infatti dai tempi di Bill Clinton che gli Stati Uniti si intromettono nelle linee di espansione della sfera di influenza della Germania: nell”Europa dell”Est come nei Balcani. La Germania più di tanto non può opporsi all”alleato che la occupa militarmente, ma i malumori e le tentazioni di fronda e di Ostpolitik sono evidenti, dal North Stream alla testarda opposizione di principio, ma accettazione riluttante nei fatti, di una trasformazione della BCE in una FED europea.

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Tuttavia, finché non si costituirà un triumvirato europeo subdominante al servizio degli USA, molte prospettive rimangono aperte (e proprio la costruzione di questo triumvirato di viceré è, a mio modo di vedere, il compito principale delegato dagli USA al professor Mario Monti – l”Italia si troverebbe così nel ruolo di casta dei clerici a metà con quella dei produttori).

Questo ruolo è stato definitivamente stabilito durante la crisi libica. Perché in quel frangente l”impero statunitense stava ridefinendo i compiti dei suoi partner, le tattiche e le strategie (anche se non sembra ci sia nessuna grand strategy all”opera; e questo per certi versi potrebbe essere ancor più pericoloso). Ed è così che Silvio Berlusconi è scaduto proprio allo scadere del 2011, cioè alla vigilia del fatidico 2012. Ovviamente in ciò si è tenuto conto delle condizioni oggettive, di quelle politiche, dei desideri e delle possibilità dei singoli alleati. Ma se quelli di Francia, Italia e Gran Bretagna sono ormai abbastanza chiari, l”entità più sfuggente è proprio la Germania.

La potente Germania è di fatto quasi isolata. Oscilla tra l”opzione di mantenere il ruolo di casta produttiva neo-mercantile europea subordinata agli USA e quella di sganciarsi dalla tutela della superpotenza a Ovest virando verso Est.

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La prima opzione è piena di contraddizioni, per il semplice fatto che il neo-mercantilismo tedesco in assenza di una unione politica europea indebolisce i partner in disavanzo commerciale, specie in un capitalismo finanziarizzato dove i “mercati” agiscono rispettando solo la forza politica e militare (il downgrading della guerriera Francia è stato timido e tardivo: sembra evidente che le agenzie di rating si coordino col potere politico statunitense).

La seconda opzione è frenata dalla già ricordata occupazione militare USA e dalla difficoltà di delinking dell”economia tedesca da quella europea e statunitense. La Germania rimane però il Paese europeo più avanzato in questa direzione. Cosa che pone non pochi e non piccoli problemi economici e soprattutto politici ai popoli europei.

4. Per gli Stati Uniti la costruzione europea e l”euro devono essere salvaguardati col fine di ristabilire un sicuro triumvirato funzionale alla sua potenza, sorvegliato dall”Italia (e in subordine dalla Spagna) nel ruolo di collante in quanto minaccia, una riedizione a ben altro livello della “nave corsara” di Giuliano Amato.

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Ma la UE27 potrebbe essere troppo vasta e difforme per servire allo scopo e ingestibile con l”approfondirsi della crisi. La stessa famosa area d”influenza tedesca non sembra più così solida (si vedano i casi di Olanda e Ungheria). Un”Europa a due velocità potrebbe essere più funzionale. Ma chi mettere nell”Europa a cilindrata ridotta e chi in quella a dodici cilindri? Può l”Italia seconda potenza manifatturiera europea e ottava economia del mondo essere messa insieme alla Grecia sedicesima economia europea e trentaduesima mondiale senza che un nuovo pericolo di fronda nasca proprio da questo subimpero a guida italiana? Occorre avere la certezza di una blindatura politica che garantisca un”indefettibile fedeltà atlantica e quindi emargini ogni opposizione reale antimperialistica che potrebbe far mutare di segno ad un”operazione come questa, o la reprima ad esempio avocando al Presidente della Repubblica il diritto di decidere chi è dentro e chi è fuori dal sistema democratico, istituzionale e non, come già sta succedendo (oltre a quanto spiegato su Megachip in “Full Metal Government” si rifletta sulle recenti dichiarazioni contro i No-Tav del presidente Napolitano).

Le interrelazioni sono poi molto complesse, a macchia di leopardo. Ad esempio, come ci ricorda Francesco Garibaldo sull”ultimo numero di “Inchiesta“, il tessuto produttivo del Nord-Ovest gravita sulla Germania (F. Garibaldo, “Le politiche europee, il patto di stabilità, democrazia e cittadinanza“. Inchiesta, Dedalo Edizioni, N. 174, 2011).

Ma ammettiamo che avvenga una riconfigurazione dell”Europa, anche nella forma estrema di un nuovo sistema monetario europeo di valute ritornate nazionali. Anzi, possiamo spingerci oltre e immaginarci che lo SME non venga nemmeno rieditato.

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Sarebbe lecito in questo contesto pensare che le alleanze, le organizzazioni, i nessi funzionali capitalistici e i rapporti di potere che si sono stabiliti in oltre mezzo secolo e sono stati cementati nei dieci anni di euro spariscano d”incanto?

Sicuramente verrebbero rimodellati, ma continuerebbero ad operare tenendo conto del nuovo contesto imposto dalla crisi, rielaborato dai centri politici europei. Le contraddizioni della crisi verrebbero lo stesso riversate sui lavoratori e le classi subalterne, con o senza la scusa della stabilità della moneta unica. Lo sarebbero in nome della stabilità della singola valuta che sicuramente sarebbe sottoposta ad attacchi concentrici, totalmente subiti a meno di riuscire ad instaurare immediatamente un governo semi-bolscevico, specie nel caso si punti ad una ripresa e al pieno impiego tramite disavanzi anche temporanei.

Come ha mostrato la storia tra le due guerre mondiali, con enormi centri capitalistici incombenti nemmeno un ricorso al protezionismo e all”autarchia potrebbe risolvere la crisi nei singoli Paesi e a livello mondiale, e se questo è già in predicato per nazioni-continente, lo è maggiormente per nazioni di dimensioni normali caratterizzate dalla sovraccumulazione di capitali.

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Ne segue che benché le lotte siano e debbano essere innanzitutto condotte nei singoli stati nazionali – perché è nello stato-nazionale che si vede l”avversario, lo può toccare e contrastare più facilmente con forze che hanno una tradizione di organizzazione e di radicamento territoriali, ed è nello stato-nazionale che la metafisica dei “mercati” e anche del “Ce lo chiede l”Europa” può essere smascherata, tuttavia le nostre lotte devono avere fin da subito un respiro europeo.

5. La proposta urgente è quindi che si organizzi un Social Forum Europeo, su diverse basi rispetto a quelli passati e che abbia all”ordine del giorno il coordinamento delle lotte nazionali. Eventualmente con uno speciale Social Forum dei PIIGS.

È paradossale che il movimento contro le guerre si sia smorzato proprio in concomitanza con la progressione dei piani aggressivi degli Stati Uniti, e che i Social Forum si siano depotenziati proprio in concomitanza con l”accelerazione della crisi globale ed europea.

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Di fronte a questo deserto politico le fughe verso una sorta di sovranità monetaria, a volte scambiata per sovranità politica tout court, sono più che prevedibili e, tutto sommato, appaiono come scelte sensate. Non solo perché ne manca una di carattere europeo alternativa, ma anche perché esse si rifanno alla memoria di una (breve nella storia del capitalismo e molto peculiare) età dell”oro “keynesiana” in cui le classi subalterne riuscivano in qualche modo ad essere assertive.

Ma nella storia delle società umane si sono susseguite diverse età dell”oro, tutte irrimediabilmente trascorse e non più richiamabili in vita.

Occorrono nuove idee e nuove prospettive all”altezza dei principali attori che si scontrano oggi sulla scena mondiale in un doppio movimento verso e contro il multilateralismo. Che sicuramente non è una dimensione “nostra”. Ma è vantaggiosa e difficilmente compatibile con la persistenza di questa finanziarizzazione tentacolare e distruttiva.

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Non sono certezze, sono ipotesi. Sulle quali però è necessario lavorare.

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