Da Londra a Santiago, la rivolta dei declassati

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15 Giugno 2012 - 10.11


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di Rafaël Kempfwww.monde-diplomatique.it

«La mia tenda è da qualche parte là in mezzo, accanto a quella del servizio tecnico che si occupa di Internet, dei rapporti con le altre occupazioni, degli aggiornamenti su Facebook. Qui c”è la cucina, che serve colazione, pranzo e cena. E qui, la tenda “tè ed empatia”, con un piano, tè e caffè gratuiti!» A Londra, davanti alla cattedrale Saint-Paul, nel cuore della City, decine di tende sono fiorite dal 15 ottobre 2011 (1).

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Amir Imran ci guida nella visita all”accampamento (2). Dorme qui fin dall”inizio e lascia il campo solo due giorni la settimana per seguire le lezioni. Ha 24 anni, è arrivato nella capitale britannica pochi mesi prima del 15 ottobre, per completare gli studi di giornalismo. Viene dalla Malesia, dove «c”è una legge draconiana che permette di incarcerare chiunque sia sospettato di turbare la quiete e l”ordine pubblico. Laggiù, partecipavo ai movimenti per il diritto alla libertà di manifestare. Dovevamo chiedere un permesso per protestare. Qui, se non altro, è più semplice!».

È stato naturale per lui unirsi ai militanti di Occupy the London Stock Exchange («Occupare la Borsa di Londra»). Lanciato a New York il 17 settembre 2011, il movimento Occupy («Occupare») si considera in linea con gli «indignati» spagnoli e si richiamerebbe, a suo modo, alla «primavera araba».

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Anche se le situazioni sono diverse, e le rivendicazioni a volte nebulose, da Londra a New York, da Madrid a Tel Aviv, si ritrova lo stesso malessere di fronte a un ordine politico che sfugge al controllo dei cittadini e a un”oligarchia che accaparra le ricchezze. E, sempre, si rinnova la sensazione esaltante di appartenere a qualcosa di globale. Ma è veramente possibile, al di là delle aspirazioni dei manifestanti, ricondurre tutte queste mobilitazioni ad una stessa categoria? Dal Cairo ad Atene, da Santiago del Cile a San Francisco, assistiamo davvero all”emergere di un «popolo mondiale in lotta» (3)?

Rivolgiamo la domanda a due studenti cileni che, dal mese di maggio del 2011, partecipano al movimento per un”istruzione pubblica e gratuita, in un paese in cui la maggior parte delle università sono state privatizzate dal regime del generale Pinochet nel 1981 (4).

In effetti, nel 2011, si sono avute in Cile le più grandi manifestazioni popolari dal ritorno della democrazia nel paese. Gli studenti universitari hanno coinvolto famiglie e liceali. Sono arrivati a interrogarsi sulle disuguaglianze e sulla riforma delle tasse, ma anche sulla rappresentatività del sistema politico. Non si richiamano né agli «indignati», né alla « primavera araba»: hanno costruito le loro rivendicazioni partendo dalla situazione del paese, ma sostengono di esprimere una collera che supera le frontiere del Cile.

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Per Andrés Muñoz Cárcamo, «è un fenomeno globale contro il modo in cui il sistema economico fa profitto e distrugge le strutture sociali. In Cile, è l”istruzione; altrove è diverso». Pur sottolineando con cura le differenze tra i vari movimenti, il compagno, Vicente Saiz, riconosce l”esistenza di una «base comune», in quanto «la gente si batte per prendere le decisioni in prima persona». Ed è vero che ovunque si ritrova questa volontà di riconquistare un potere confiscato, il desiderio di partecipare realmente alla vita pubblica e al modo in cui le società vengono governate – cosa che spesso porta il semplice nome di democrazia. A Puerta del Sol, un cartello: «Ci vediamo nei quartieri».

A Madrid, l”ampiezza della collera che ha riempito Puerta del Sol il 15 maggio 2011 – e dato vita al movimento detto «15-M» – ha sorpreso lo stesso Carlos Paredes, che pure aveva contribuito a organizzare quella prima manifestazione. Il movimento ¡Democracia real ya! («Democrazia reale ora!»), di cui è uno dei portavoce, era stato creato alcuni mesi prima attorno a otto proposte, che andavano dalla soppressione dei privilegi della classe politica all”applicazione effettiva del diritto all”alloggio, fino alla riforma della legge elettorale (5).

Ma, per questo imprenditore di 32 anni che esercita la sua attività nei servizi informatici, i motivi per occupare la piazza sono insieme più profondi e meno precisi, rispetto a queste richieste. C”è in Spagna, spiega, «un soffitto di vetro» che blocca la crescita personale e professionale della popolazione. «Chi sta in alto resta in alto, e chi sta in basso cade sempre più in basso. L”impossibilità di migliorare economicamente e socialmente mi ha portato a ricercare altre vie. Poi ho trovato ¡Democracia real ya!». Non si riconosce in nessun partito o sindacato, non si richiama ad alcuna ideologia politica. Ma critica, oltre a un sistema economico sempre più ineguale, una democrazia che non rappresenterebbe più nessuno, né in Spagna né in Europa. Disapprova perciò quei «colpi di stato finanziari» che hanno portato tre personalità non elette e provenienti dal mondo della finanza a occupare posti importanti: Mario Draghi a dirigere la Banca centrale europea, Lucas Papademos a capo del governo greco e Mario Monti alla presidenza del consiglio italiano.

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La crisi di rappresentatività spiega l”emergere spontaneo di un insieme di meccanismi orientati ad assumere decisioni per consenso. È perché gli «indignati» si sentivano esclusi dalla politica, che hanno elaborato tecniche deliberative le più inclusive possibili. Così, fin dalla sera della manifestazione del 15 maggio, alcuni hanno proposto di restare a Puerta del Sol. L”occupazione è durata più di un mese, punteggiata da assemblee generali, discussioni e gruppi di lavoro sui temi più diversi.

Tutte le persone incontrate a Madrid – ma anche negli altri movimenti Occupy – ci parleranno con emozione di quelle assemblee, a volte di diverse migliaia di persone. Anche il filosofo José Luis Moreno Pestaña parla di una «gioia nella discussione pubblica (6)».

Ivan Ayala ha 31 anni. Prepara una tesi all”università Complutense di Madrid sui fondamenti metodologici dell”economia neoclassica. Racconta: «Ho partecipato a tempo pieno al movimento. All”inizio, era impressionante. C”erano gruppi di lavoro di cinquecento persone! Era emozionante arrivare a Sol e vedere quattromila persone in assemblea che discutevano come nell”agorà greca.» Contrario a qualsiasi forma di faziosità, il 15-M rifiuta di definirsi un movimento di sinistra. Eppure, osserva Ayala, la sua critica ai banchieri, ai politici, al neoliberismo e agli speculatori è un”analisi decisamente di sinistra.

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Ma il suo vero successo, «è essere deliberativo, popolare e di massa. Oggi, si cominciano a tenere assemblee in tutti i quartieri e nei piccoli paesi». È così che il 15-M si è reinventato e ha potuto proseguire la sua azione decidendo di smantellare l”accampamento e di porre fine all”occupazione permanente di Puerta del Sol. È questa una caratteristica che si ritrova anche negli altri movimenti: è quando gli «indignati» decidono di smobilitare il campo che possono estendersi e raggiungere un pubblico più ampio e più popolare, ancorandosi nel locale.

Il 12 giugno 2011, quando termina l”occupazione di Puerta del Sol, la moltitudine di biglietti personali appuntati sulla piazza spariscono, sostituiti da un grande cartello: «Nos vemos en los barrios» («Ci vediamo nei quartieri»). Alla diversificazione geografica del movimento corrisponde la nascita di una pluralità di azioni. Ad esempio, per venire in aiuto agli affittuari minacciati di sfratto è stata creata una piattaforma informatica: quando una famiglia prende contatto con loro, gli «indignati» arrivano numerosi nel giorno previsto per l”espulsione e riescono talvolta a evitarla o a rinviarla di diversi mesi. Occupano anche immobili vuoti per alloggiarvi famiglie bisognose. Il 15-M riesce così a mobilitare e ad attirare l”attenzione su questioni che fino a ieri erano molto meno visibili.

L”avvocatessa Liliana Pineda partecipa alla lotta per la gestione pubblica dell”acqua. La Comunità autonoma di Madrid ha infatti intenzione di privatizzare l”impresa Canal de Isabel II. «Questa campagna, spiega, è un esempio di collaborazione tra il movimento e alcuni partiti politici attraverso una piattaforma informatica. Il 15 maggio, molte cose erano già state decise. Ma, grazie agli “indignati”, alla manifestazione dell”8 ottobre ha partecipato molta più gente, perché la piattaforma era presente in numerose assemblee popolari. E inoltre, hanno partecipato anche alcuni partiti politici – Izquierda Unida, Equo».

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Quest”ultimo dato è importante, perché il 15-M sembrava fino a quel momento rifiutare qualsiasi contatto con i partiti politici, anche quelli più vicini alle sue posizioni. La questione del rapporto con la politica si è fatta molto spinosa all”avvicinarsi delle elezioni legislative del 20 novembre 2011, che hanno visto la vittoria del Partito popolare (Pp) di Mariano Rajoy (conservatore).

Che posizione dovrebbe adottare un movimento sociale che si vuole non di parte, di fronte a una scadenza elettorale così importante? Creare un partito, per «farla finita con il bipartitismo», come era stato proposto nel giugno 2011? Idea presto respinta. Astenersi? «Non abbiamo mai suggerito l”astensione, insiste Paredes. Abbiamo invitato a votare per partiti minoritari, essendo noi contro il bipartitismo del Pp e del Psoe [Partito socialista operaio spagnolo].» Si trattava unicamente di identificare – grazie a sapienti calcoli – il partito minoritario che, in ciascuna circoscrizione, aveva più possibilità di battere il candidato di uno dei due grandi partiti. Ciò non ha impedito alla destra di vincere, ma ha permesso di evidenziare le falle del sistema democratico spagnolo. È per trasformarlo, che Paredes e i suoi compagni studiano oggi un progetto di «democrazia 4.0», grazie al quale i cittadini possano votare su Internet i progetti di legge proposti in Parlamento.

Ma il vero successo del movimento, al di là della grande inventiva, è il peso che ha acquistato nel dibattito politico. Come negli Stati uniti e nel Regno unito, gli «indignati» spagnoli affermano che le loro proposte sono ormai sulla scena pubblica. E soprattutto, sottolinea Paredes, sono «riusciti a internazionalizzare il movimento. Occupy Wall Street [Ows] e i movimenti israeliani (7) in certo qual modo derivano da 15-M». Come ha potuto un piccolo accampamento di manifestanti nel sud di Manhattan trasformarsi, nell”autunno 2011, in un «sollevamento globale (8)» in un paese in cui le mobilitazioni popolari sembravano appartenere alla storia?

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L”avvocato Alexander C. Penley, impegnato con i campeggiatori di New York, sottolinea l”importanza dei movimenti precedenti, come il movimento sindacale dell”inizio del 2011 nello stato del Wisconsin, e ritiene che la primavera araba sia servita da esempio. «Se una cosa del genere fosse avvenuta in Francia, non avrebbe avuto lo stesso impatto, perché vede, gli americani ritengono che manifestazioni di questo tipo in Francia o in Europa siano normali. Ma in Medioriente è diverso… quei paesi erano noti per essere chiusi, bloccati. Se funziona laggiù, qualcosa può succedere anche qui.» A Nashville, l”accampamento ha ricreato i legami che un”urbanizzazione disumana aveva distrutto È forse la ragione per la quale l”appello a occupare Wall Street, lanciato su Internet dal settimanale canadese Adbusters, conosciuto per la sua critica radicale della pubblicità, ha avuto un impatto così forte.

Il 17 settembre, alcune centinaia di persone, venute a manifestare nel quartiere finanziario di New York, si sono alla fine ritrovate, quasi per caso, a Zuccotti Park, una piazza incastrata tra i grattacieli, a due passi da Wall Street e da Ground Zero. «Qualcuno ha lanciato l”idea di fare un”assemblea generale, come in Grecia o in Spagna», ricorda David Graeber, antropologo, ex docente a Yale e militante anarchico, che si è occupato della pianificazione dell”occupazione. Quel giorno, la gente, cosa molto rara negli Stati uniti, ha cominciato a parlare di politica, per strada, nei luoghi pubblici. E sono emerse diverse rivendicazioni, serie o stravaganti.

Durante la prima assemblea generale di Ows, si è così discusso dell”annullamento da parte della Corte suprema del decreto «Citizens united», che, nel gennaio 2010, ha rafforzato la capacità delle imprese di pesare sul potere politico (9); ma anche del ripristino della legge Glass-Steagall, la cui abrogazione da parte di William Clinton, nel 1999, ha permesso alla finanza di espandersi al di fuori di ogni controllo. E, in modo forse più fantasioso, c”è stato chi ha proposto di rimuovere la statua del toro, a Broadway, vero emblema dei sogni di potenza di Wall Street. Nei giorni successivi, i manifestanti si fanno più numerosi, compaiono le prime tende: Zuccotti Park prende vita. Si continuano a fare assemblee generali, ci si organizza in gruppi di lavoro, si adotta la «dichiarazione di occupazione di New York».

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La piazza aggrega la gente più diversa. Oltre a giovani bianchi diplomati, arrivano anche i senza tetto, minoranze varie e altre «voci marginalizzate», la cui inclusione sul lungo periodo è una sfida – non necessariamente vinta. Alcuni si dichiarano comunisti o socialisti, o vedono nel capitalismo la causa del problema. Altri vogliono, al contrario, conservare questo sistema e l”economia di mercato, e ne chiedono solo la regolazione. Molti sono i delusi di Barack Obama: «Ho votato per lui, ma non ha fatto niente, e allora occupo.» Come William P. York, giovane avvocato incontrato nell”accampamento di Occupy Nashville, nel Tennessee: «Nel 2008, mi sono impegnato nella sua campagna a Cleveland, nell”Ohio, racconta. Era uno stato importante per la battaglia elettorale. Sono diventato molto attivo politicamente, ho lavorato tanto per la sua vittoria. Ma quando è arrivato al potere, ho capito subito che non era poi così diverso dagli altri candidati. I due partiti sono, fondamentalmente, lo stesso partito. Entrambi sono controllati da società in grado di dare tutti i soldi che vogliono ai candidati. Di fatto, i partiti sono comprati dalle società, dalle grandi compagnie multinazionali.»

La critica al potere delle grandi imprese costituisce un denominatore comune del movimento Ows. L”occupazione degli spazi pubblici è stato il mezzo per fare ascoltare questa critica, la quale, per alcuni, trova giustificazione in se stessa, e rappresenta la realizzazione concreta della società che desiderano veder nascere: si tratterebbe di un atto politico sufficiente a se stesso. Ma, come ci dirà Shane Patrick, un organizzatore con il movimento Ows, come tiene a definirsi, «nessuno vuole vivere in una società egualitaria al centro di New York, a gennaio».

L”espulsione violenta dei campeggiatori di Zuccotti Park da parte della polizia di New York, nella notte del 15 novembre, ha quindi avuto, per molti, un effetto positivo. Ex freelance per Newsweek o The Los Angeles Times, diventato caporedattore di The Occupied Wall Street Journal, Michael Levitin afferma: «Non avevamo più bisogno di Zuccotti Park. Era il momento migliore per fermarsi. E il modo in cui il sindaco ci ha espulsi è stato perfetto: ha usato la violenza, gente percossa, arrestata, libri buttati per terra, il tutto col divieto di accesso per i giornalisti».

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Come per il 15-M a Madrid o Barcellona, la violenza della polizia ha permesso a Ows di guadagnare la simpatia dell”opinione pubblica, e l”espulsione ha obbligato gli occupanti a pensare altre forme di azione, per iniziare una nuova fase del movimento. Si sono così creati dei legami tra Ows e alcune organizzazioni comunitarie presenti nei quartieri popolari di New York e altrove.

Il 6 dicembre, la piattaforma Occupy our homes («Occupare le nostre case») organizza un”azione in tutti gli Stati uniti per recuperare abitazioni vuote di proprietà delle banche. Il quartiere povero di East New York costituisce l”obiettivo della giornata. All”inizio, nel centro di Brooklyn, i partecipanti sono in maggioranza bianchi e diplomati. Ma, nel corso della marcia, sulla banchina della metro, e poi nelle carrozze, i manifestanti distribuiscono volantini; informano i passeggeri sul tasso di sfratti a East New York, il più alto della città. Alcuni si uniscono al corteo e riprendono lo slogan di Ows: «We are the 99%» («Siamo il 99%», con riferimento all”«1% dei più ricchi»).

Alla fine, il corteo che sfila per il quartiere sarà composto da circa duemila le persone – tra le quali militanti storici di gruppi minoritari, come Charles Barron, ex membro dei Black Panthers, oggi consigliere municipale di New York. Un altro consigliere municipale, Ydanis Rodriguez, richiama l”attenzione della folla sul fatto che questa giornata è particolarmente importante perché dimostra che Ows diventa «più colorato». Un modo per dire che è aumentato il numero dei neri, degli ispanici, delle minoranze. Alla fine, al 702 di Vermont Street, viene occupata una casa vuota, come in altre quaranta città degli Stati uniti. Vi entra la famiglia di Alfredo Carrasquillo. Alcuni giorni dopo, una dozzina di occupanti sono ancora sul posto, per proteggere la famiglia in caso si tentasse l”espulsione.

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Max Berger ha lasciato il lavoro in un”organizzazione non governativa per partecipare al movimento. «Occupiamo questa casa in nome di una famiglia. Ho sempre desiderato impegnarmi in azioni tese a modificare i rapporti di potere e lottare in nome dei più marginalizzati nella società. E il problema della casa è perfetto: è il naturale proseguimento del movimento Ows. La gente si sente coinvolta in prima persona. Dozzine di famiglie prendono contatto con noi per chiederci di aiutarle a trovare una casa o proteggerle da uno sfratto.» E aggiunge: «Ows ha la capacità di creare un larghissimo movimento di massa, che cambierà la politica in questo paese.» «Nel XX secolo la sinistra ha fallito. Dobbiamo imparare dai suoi errori». In effetti, il movimento non resta chiuso a New York e in poche altre grandi città (10).

A Nashville, nel cuore dell”America cristiana e conservatrice, davanti al Congresso dello stato è nato un accampamento. Nel dicembre 2011, c”erano ancora decine di tende, che avevano ottenuto il diritto di restare per alcuni mesi grazie a una vittoria giudiziaria davanti a un tribunale di stato. L”accampamento è stato alla fine smantellato dalle forze dell”ordine nel marzo 2012, il che fa dell”occupazione a Nashville, a sentire i suoi partecipanti, una delle più lunghe degli Stati uniti. Qui, l”idea di riappropriarsi di un luogo pubblico riveste un”importanza ancora più profonda che a New York. Insieme di autostrade, grattacieli, immense chiese e concessionari di auto, questa città riserva lo spazio pubblico ai veicoli. Qui, camminare è un nonsenso. In quanto a campeggiare. L”accampamento, raccontano gli occupanti, ha ricreato i legami che questa urbanizzazione disumana aveva distrutto. Nashville si trova al centro della «Bible Belt», regione del Sud degli Stati uniti zeppa di edifici religiosi simili a centri commerciali.

Jim Palmer è un pastore. Un tempo officiava in uno di questi grandi complessi, che ha lasciato per una pratica più spirituale del cristianesimo. «Invece di occuparsi del 10% dei più poveri, le chiese sono prese in una dinamica che le spinge a costruire edifici sempre più grandi, a proporre più programmi, per battere i concorrenti, spiega. Dalla metà degli anni ”70, il modello d”impresa si è imposto ai pastori. Le chiese vengono gestite come fossero delle imprese. Il pastore è come un Pdg [presidente-direttore generale], che presiede un consiglio di amministrazione, e i parrocchiani non hanno voce in capitolo.» All”espansione del modello corrisponde la diffusione della sua critica, adattata alle situazioni locali. E Palmer, che ha lanciato il gruppo interconfessionale Occupy religion («Occupare la religione»), ricorda che «Gesù faceva parte del 99%».

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A qualche mese dal lancio, Ows appare polimorfo ed eterogeneo. Aggrega attorno a sé le iniziative più variegate, propone manifestazioni e iniziative su tutti gli argomenti: alloggio, potere delle multinazionali, vendita internazionale di armi da parte di industriali che «esportano la morte in nome della difesa», o ancora il debito degli studenti e la lotta per un”istruzione gratuita. Altri ancora pensano a occupare aziende agricole.

In poco tempo, Ows è quindi riuscito a mettere al centro del dibattito pubblico americano alcuni problemi essenziali – le disuguaglianze, la crisi di rappresentatività del sistema politico – diventando il «movimento dei movimenti (11)», capace di attirare l”attenzione su mobilitazioni che non avrebbero avuto lo stesso impatto senza il suo sostegno. Dal canto loro, gli studenti cileni, focalizzati sull”università e la rivendicazione di un”istruzione gratuita, hanno creato un movimento più classico. Benché combattano gli effetti di una politica neoliberista dello stesso tipo – l”università cilena trasformata da Pinochet, fa dell”istruzione un bene di consumo ad alto prezzo -, il loro movimento è però più organizzato, con elezioni e dirigenti rappresentativi e legittimi.

Malgrado le differenze, esistono dei punti di contatto con Ows. Si comincia ad usare uno stesso linguaggio. «Nel corso della nostra campagna, abbiamo ripreso lo slogan di Ows “Siamo il 99%”», dice Gabriel Boric, da poco eletto presidente della Federazione degli studenti dell”Università del Cile (Fech), con il movimento Creando Izquierda («Creare la sinistra»).

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Lo studente di giurisprudenza, che si richiama ad Antonio Gramsci, Toni Negri e Slavoj Zizek, fa un discorso politico chiaro: «Siamo di sinistra, ma diciamo che la sinistra, nel XX secolo, ha fallito. Il mondo che ha immaginato non si è realizzato. Dobbiamo imparare da questi errori.»

Nel dicembre 2011, dopo un anno di mobilitazione, ribadisce: «Il movimento studentesco non è finito. Non abbiamo vinto, ma non siamo stati sconfitti.» Gli studenti hanno poi utilizzato l”estate cilena per elaborare alcune strategie: si apprestano a proporre la nazionalizzazione delle risorse naturali e una riforma fiscale destinata a finanziare le università.

Note
 
(1) Per scrivere questo articolo, l”autore si è recato a Londra, New York, Nashville, Santiago del Cile e Madrid.
(2) L”accampamento di Saint-Paul è stato smantellato il 28 febbraio 2012.
(3) François Cusset, «Quand le peuple se rebelle», Le Monde, 7 novembre 2011.
(4) Leggere Victor de la Fuente, «En finir (vraiment) avec l”ère Pinochet», La valise diplomatique, 24 agosto 2011. www.mondediplomatique.fr
(5) Leggere Raúl Guillén, «Gli alchimisti della Puerta del Sol», Le Monde diplomatique/il manifesto, luglio 2011.
(6) José Luis Moreno Pestaña, «Le mouvement du 15-M: social et “libéral”, générationnel et “assembléiste” – Un témoignage», Savoir-Agir, n° 17, Bellecombe-en-Bauges, settembre 2011.
(7) Leggere Yaël Lerer, «Israele, indignati sì, ma solo per se stessi», Le Monde diplomatique/il manifesto, settembre 2011.
(8) Keith Gessen, Astra Taylor, Eli Schmitt, Nikil Saval, Sarah Resnick, Sarah Leonard, Mark Greif e Carla Blumenkranz (a cura di), Occupy! Scenes from Occupied America, Verso, New York, 2011.
(9) Si legga Robert W. McChesney, John Nichols, «Stati uniti, in tv parla chi paga», Le Monde diplomatique/il manifesto, settembre 2011.
(10) Si legga Olivier Cyran, «Mississippi, le fratture dell”America profonda», Le Monde diplomatique/il manifesto, aprile 2012.
(11) Prachi Patankar e Ahilan Kadirgamar, «Wither Wall Street: The Challenge of the Occupy Movement», 2 gennaio 2012, www.criticallegalthinking.com (Traduzione di G. P.)

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Fonte: http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Maggio-2012/pagina.php?cosa=1205lm14.01.html#1

 

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