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di Giovanna Tinè – DailyStorm
Cosa rispondereste a qualcuno che vi proponesse di compensare le infedeltà nei confronti del vostro partner semplicemente pagando qualcun altro per “neutralizzare” i tradimenti comportandosi da compagno fedele al posto vostro? È la provocazione che due ragazzi britannici hanno lanciato attraverso il loro sito cheatneutral.com per denunciare l”assurdità dei meccanismi di compensazione delle emissioni di CO2 che, dal 2005 in poi, nulla hanno prodotto in termini di lotta ai cambiamenti climatici ma che molti soldi hanno portato nelle tasche di speculatori ed aziende inquinatrici.
I cosiddetti “meccanismi flessibili”, che altro non sono se non pseudo-soluzioni di mercato alla crisi climatica, sono stati introdotti per la prima volta nel protocollo di Kyoto e ruotano intorno allo schema che viene definito cap & trade. Questo schema prevede che i governi dei Paesi soggetti all”obbligo di riduzione delle emissioni distribuiscano alle proprie aziende che fanno ampio utilizzo di combustibili fossili un certo numero di “indulgenze“, ovvero di permessi di emissione, tali da mantenere la quantità totale nazionale sotto un limite stabilito (cap, ovvero “tappo”). Dopodiché le aziende possono comprare e vendere questi permessi in quello che viene definito il mercato delle emissioni (trade, “commercio”).
Per riprendere la metafora di cheatneutral, aziende non virtuose possono acquistare da altre virtuose i permessi ed avere la coscienza pulita – si fa per dire -. Ciò dovrebbe servire a disincentivare l”uso di combustibili fossili e spingere le imprese ad adottare soluzioni “verdi”.
Peccato che tutto ciò presenti criticità macroscopiche. Innanzitutto, sia nell”Unione Europea – apripista di questo sistema – che successivamente negli USA, questi certificati sono stati inizialmente dati con larghissima profusione e a titolo gratuito. Dunque, aziende con un”enorme responsabilità di inquinamento hanno prima ricevuto doni invece di sanzioni, e poi ci hanno anche lucrato sopra vendendo permessi ricevuti gratuitamente.
In secondo luogo, alcuni dei settori maggiormente produttori di CO2 non sono stati inclusi in alcuna regolamentazione (ad esempio le compagnie aeree, inserite nel regolamento UE sulle emissioni solo dal 1 gennaio 2012). A tutto ciò si aggiunge la possibilità che le aziende dei Paesi industrializzati hanno di ottenere permessi di inquinamento a casa propria qualora realizzino progetti che, almeno sulla carta, favoriscano la riduzione delle emissioni nei paesi del Sud del mondo (CDM, Clean Development Mechanism, ovvero meccanismo di sviluppo pulito).
Una possibilità analoga, sempre nel Sud del mondo, di privatizzare intere foreste con il nobile proposito di salvarle dalla deforestazione, ottenendo in cambio anche in questo caso permessi di emissione nei Paesi industrializzati – da utilizzare o, meglio ancora, da rivendere – ed intanto privando del loro territorio d”origine intere comunità indigene (meccanismo REDD+). Neocolonialismo, in poche parole. Due esempi su tutti: il progetto “Program for Belize” e gli scempi compiuti in Indonesia dalla Sinar Mas, multinazionale della carta e dell”olio di palma. Proprio a quest”ultima accenna l”attivista statunitense Annie Leonard in un ottimo video, in cui peraltro illustra in termini molto chiari proprio la bufala del mercato delle emissioni.
Infine, il fatto che il tetto di emissioni, o “tappo”, posto nell”UE dal meccanismo del cap & trade era già da principio molto alto e assolutamente inadeguato rispetto dell”obiettivo minimo necessario di riduzione delle emissioni. Tanto è vero che, a detta degli stessi originari sostenitori del sistema, esso non ha prodotto nella sua prima fase (2005-2007) alcuna riduzione. Né lo sta facendo nella seconda (2008-2012). E al momento sembra che il “collasso” del mercato del carbonio preoccupi molto. Sicuramente preoccupa coloro che finora lo hanno sostenuto e ne hanno tratto benefici, come ha recentemente documentato il quotidiano britannico Guardian.
Una delle assurdità di base di questo sistema è ben espressa nell”apertura del filmato della Leonard ed è un punto che questa rubrica ritiene fondamentale: «non possiamo risolvere un problema usando la stessa mentalità con cui lo abbiamo creato».Un”economia di tipo capitalistico, ancor più nella sua versione neoliberista, è impossibilitata per definizione a dare reali soluzioni per la crisi ambientale (la avevamo paragonata nel nostro primo articolo a quel “criceto impossibile” che vuole crescere all”infinito in un pianeta dalle risorse finite).
L”altra assurdità di fondo è quella, anch”essa tipica del mercato, di voler dare un valore di scambio anche a beni comuni non monetizzabili quali le risorse naturali di base: l”aria, l”acqua, le foreste, secondo la favola ormai contraddetta dai fatti che la privatizzazione dei beni equivale alla salvaguardia degli stessi.
Gli unici che traggono profitto da questi meccanismi, che insieme alla Leonard non esitiamo a definire tra le «armi di distrazione di massa» dei nostri tempi, sono le imprese che inquinano e guadagnano dagli scambi dei certificati-carta straccia e coloro che conducono queste transazioni finanziarie. Non a caso sono in molti a prevedere proprio in questo campo lo scoppio della prossima bolla finanziaria.
Fonte: http://dailystorm.it/2012/10/16/mobilitiamoci-per-il-clima-ii-il-mercato-dellaria-sporca/
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