Speranza e pregiudizio

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3 Dicembre 2012 - 14.41


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di PixelMegachip

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All”appello “Cambiare si può” hanno risposto qualche migliaia di persone. Persone disperse tra le rovine di una sinistra orfana di identità, di una teoria generale, di un contenitore politico omogeneo.

Queste persone sperano ancora, sperano che verrà il giorno in cui si potranno sentire a casa in un progetto organico di cui essere orgogliosi e con cui tornare a fare politica, dopo batoste, tradimenti, false promesse, ambiguità e personalismi. Alcuni interventi hanno sottolineato come questo “Quarto stato” di lotte, critiche, soggettività, aspirazioni, ribellioni, idee esistenti in potenza, esiste nella realtà concreta di una Italia dilaniata da una interminabile transizione tra l”ordine uscito quasi settanta anni fa dalla II Guerra Mondiale e il chissà cosa.

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Le potenzialità di un progetto emancipatore e anche liberatore dal concorso di fallimentari o delinquenziali “pensieri unici” di vario tipo (economici, finanziari, ecologici, politici, culturali) sono enormi. Per passare dal “in potenza” al “in atto” si è proposto un progetto di nuova unità, di nuova politica, di nuovo metodo, un nuovo sforzo per superare il rosario tradizionale dei NO snocciolati per darsi una identità che però in passato è rimasta sempre identità negativa. Fatalmente, quando dai NO si è poi cercato di passare ai SI la pluralità è sfociata in entropia.

La trama del progetto Cambiare si può è un doppio tessuto. Il dritto mostra operai, donne, studenti e professori, migranti, operatori pubblici, intellettuali, pensionati, ecologisti, cittadini, giornalisti, assessori, persino un poliziotto. Sono i famosi “soggetti”, composti dagli organizzatori come una perfetta riproduzione del Pelizza da Volpedo by 2012. Il rovescio è meno damascato e più essenziale. Rifondazione Comunista è la struttura portante del progetto per evidenti ragioni di peso e organizzazione, ma la struttura è stata drappeggiata da un velo di ALBA che con i suoi Bagni, Lucarelli, Mattei, De Marzo, Ginsborg, Torelli, Revelli ed altri, ha tessuto il dove andare, il cosa dire, il come dirlo e infine il cosa fare dopo.

Intendiamoci, questo non è l”inizio del famigerato “sospetto”. Qualcuno doveva pur prendere l”iniziativa, qualcuno doveva pur scrollarsi dall”inerzia pessimista e provare a buttar giù qualcosa che fosse un inizio. Intorno a questo nucleo, una lista civica nazionale, Libera ed altri soggetti che partecipano a cavallo tra la propria individualità e l”organizzazione politica di appartenenza.

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Debbo dire che, dopo esserci diligentemente seguiti più di 40 interventi senza pausa pranzo che pennellavano l”immagine plastica della causa comune, il finale mi ha lasciato di stucco. Ma come? Nuova politica, nuovo metodo, nuove facce (?), nuovi programmi, nuova democrazia, ripetuti come un mantra mi avevano mosso, ero pronto, eravamo pronti ad alzarci come un sol uomo a dire “Eccoci, ci siamo anche noi, diamoci da fare, da dove si inizia?” ed invece.

Invece è arrivato lo stimabilissimo Marco Revelli a dire che boh, chissà se questa cosa si fa, bisogna verificare, bisogna vederci nei territori e bisogna votare un piccola mozione di sei righe sei in cui si conviene di fare assemblee territoriali che convergano ad un nuovo appuntamento (quando?) dando mandato agli organizzatori di continuare il processo, appena fondato.

Assemblee territoriali indette da chi? Con quali criteri? Con quali modalità? Con quale ordine del giorno? Finalizzate a votare qualche altra mozione di sei righe sei ? Ora, va bene che qualcuno si sia preso la briga di organizzare il 1° Dicembre, va bene dire su un sito – che è quanto di più reticente e smorto -, solo il giorno prima di segnarsi per un intervento del tutto improbabile visto che qualcuno per altri canali si era già segnato da un pezzo occupando tutto il tempo, va bene non ricevere neanche una risposta, va bene per questa volta sentirsi pure dire che si è scelto di non far parlare volti conosciuti, prediligendo donne e soggettività dal basso, criterio “spiegato” solo a seguito dell”unica interpellanza dal pubblico (tra l”altro di una donna) che interrompeva l”inizio dell”intervento di Vittorio Agnoletto che non mi risulta volto nuovo, non mi risulta donna, non mi risulta soggettività dal basso, non mi risulta non-esponente-di-partito, non mi risulta non-deputato, va bene tutto insomma, ma. .

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E nessuno che dica: ma se si vota il ventilato 10 Marzo, mancano 55 giorni (Natale e Capodanno inclusi) alla consegna delle liste, delle firme e dei programmi, qui non c”è neanche l”ombra di un programma, di un calendario, di un processo pubblico di autoformazione organizzativa, ma come si fa? E tutti quelli che non hanno fatto parte dell”autocostituito Comitato Promotore che debbono fare? e tutti quelli che potrebbero essere qui e non ci sono, chi li contatta? Insomma chi fa cosa, quando, come ed in quali tappe stanti i tempi al limite del possibile?

Come sempre verso le 12.30, c”è stato l”intervento di Luigi De Magistris, come sempre perché altre volte ho partecipato ad assemblee in cui Luigi si presenta al culmine dell”attenzione e prima che calino gli zuccheri. Ma De Magistris non ha dichiarato urbi et orbi che il 12 dicembre presenterà la “sua” lista arancione?

Un momento: quante liste arancioni ci sono? E che cosa avrà voluto dire con quel suo “Voglio andare al parlamento per governare” quando si sa che a governare sarà con tutta probabilità il centrosinistra di osservanza montiana? Il giorno dopo, guarda un po”, si apprende da Antonio di Pietro”s blog che “guarda con grande favore questo progetto che..”, poi si legge che Ferrero vuole invitare i Verdi, Mattei nuotando controcorrente ha detto e non detto (ma più detto) riguardo i rapporti con SEL, ahò ma non è che anche stavolta. ?

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Insomma, per ora il progetto parte dall”alto, è eterodiretto, ha le sue reticenze (che si fa con l”Europa? che si fa nella politica internazionale? che si fa come nuovo modello di sviluppo? e che si fa se questo mitico “sviluppo” non fosse più possibile?). La cucina non è aperta al pubblico e l”intera faccenda, al momento, sembra un percorso per topolini di Pavlov a cui verrà dato il pezzettino di formaggio quando avranno percorso tutto il labirinto. Non è che una disordinata pagina Feisbuc in fondo al sito dell”iniziativa risolva i problemi d”interazione, partecipazione, coinvolgimento. Nemmeno si sa a chi scrivere per chiedere “ohi ragazzi, vi serve una mano?”, “si può fare una domanda?”, “con chi si parla qua dentro”. Mi dispiace per l”ottimo Ginsborg, ma il Cambiare si può al momento, sembra un Castello di Kafka impenetrabile, non dialogico, non trasparente, l”esatto contrario dell”agorà ateniese.

Imperizia? Confusione? Paura di volare? Diciamo una cosa tanto poi ne facciamo un”altra? Speriamo che i 70 non pensino di riunirsi in conclave per poi partorire la propria nuova versione della Bibbia. Speriamo che a tante belle parole, seguano ordinate e corrispondenti cose perché così, ancora una volta, sembra quell”usurato e tedioso documentario che si proiettava ad ogni manifestazione degli anni ”70, quel documentario dal profetico titolo che recitava “Fino a quando compagni?”.

 

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