'Opzioni per un''alternativa nella crisi. Qui ed ora'

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4 Dicembre 2012 - 16.34


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di Sergio Cararo*

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Se il capitalismo appare in un vicolo cieco, uscirne con istanze emancipatrici diventa necessario e più credibile di quanto lo fosse ieri. Un programma di fuoriuscita è all”ordine del giorno.

In diverse città italiane è in corso una campagna di discussione e confronto che prende spunto dalla presentazione del volume “Il vicolo cieco del capitale”, una pubblicazione che raccoglie le relazioni al forum promosso dalla Rete dei Comunisti tenutosi a Napoli nel luglio scorso. Le risposte alla domanda posta nel forum – A che punto è la crisi sistemica? – hanno visto diverse articolazioni così come differenti erano le soggettività chiamate a confrontarsi.

Il nodo della crisi dei capitalismi, richiamata anche nella splendida introduzione di uno studioso marxista come Alessandro Mazzone – recentemente scomparso e nostro insostituibile compagno di strada – sta rivelando non solo agli addetti ai lavori ma a strati sempre più ampi di società il carattere regressivo dei modelli capitalistici fino ad oggi dominanti. Più di qualcuno, Hobsbawn tra questi, si interroga su cosa sono e cosa possano diventare i paesi emergenti – i Brics – che si vanno imponendo nelle relazioni internazionali.

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Da questa regressione non si sottrae il capitalismo europeo, un modello che per decenni è stato portato come esempio di “capitalismo dal volto umano” rispetto a quello più cinico e brutale del modello liberista anglosassone o del dispotismo asiatico. Ma dentro la crisi, anche il modello sociale europeo è stato dichiarato insopportabile per le classi dominanti in Europa (Draghi docet!). La costruzione del mercato unico prima, della moneta unica poi e dell”Eurozona oggi, configura piuttosto nettamente la spinta ad una nuova struttura sovrastatale che riempia anche il deficit “politico” a tutto campo.

Negli anni scorsi avevamo definito questa tendenza come mirata alla costruzione di un polo imperialista europeo, sufficientemente integrato al suo interno per potere affrontare e reggere la sfida della competizione globale.

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Sta in questo, ad esempio, la differenza di quando parliamo di Europa e quando parliamo di Unione Europea. La prima è un naturale spazio geografico, politico, storico, comune a noi tutti, la seconda è l”apparato che è stato costruito da classi dominanti europee sempre più simili ad oligarchie.
In questa nascente borghesia europea – centrata, ma non esclusivamente, sul nucleo duro franco-tedesco – si vanno integrando i settori più aggressivi delle varie borghesie “nazionali”, quella italiana compresa. E” un processo di centralizzazione, concentrazione, verticalizzazione strategica, economica, politica e tendenzialmente anche militare, che include ed esclude con brutalità.

Il governo Monti sta cercando di agganciare il “sistema Italia” – o almeno parte di esso – nel nucleo duro. Esso esprime la stessa classe dominante che questa operazione aveva cominciato a farla già nel 1992 intorno al Trattato di Maastricht e ai suoi parametri e con le terapie d”urto dei governi Amato, Ciampi, Prodi e le indicazioni di Draghi e Monti. Si sono trovati in mezzo alle gambe la variabile impazzita di Berlusconi che gli ha ritardato di quasi vent”anni l”operazione.
Berlusconi ha rappresentato con una certa efficacia quel pezzo di borghesia italiana che temeva e teme la marginalizzazione dall”integrazione e verticalizzazione nell”Unione Europea. Per usare una metafora possiamo dire che “Monti vuole l”Italia ultima ma tra i primi” e Berlusconi voleva “l”Italia prima ma tra gli ultimi”, cioè i Pigs. Oggi lo scontro si è risolto a favore della strategia di Monti e del “montismo”, intendendo con esso la convergenza di interessi, ideologia e ambizioni che arruolano ad esempio il Pd, inclusa e non esclusa buona parte della sua base sociale ed elettorale, dentro questo progetto strategico.

Dentro questo contesto, il forum della Rete dei Comunisti a Napoli e il volume “Il vicolo cieco del capitale” che viene presentato e discusso in questi giorni in diverse città, contiene una proposta, o meglio, una opzione per il cambiamento di rotta in totale controtendenza.
Ci riferiamo alla proposta di un programma di transizione fondato inevitabilmente sulla rottura dei parametri e delle regole del gioco oggi dominanti. Il ripudio del pagamento pubblico innanzitutto, la nazionalizzazione delle banche e delle imprese strategiche per il paese, la fuoriuscita dall”Eurozona, la costruzione di una nuova e diversa area economica e monetaria composta dai Pigs, dai paesi del Mediterraneo Sud e, perché no, da alcuni paesi dell”Europa dell”est ai margini o alla porta dell”Unione Europea.

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Come al solito è la realtà a fare giustizia delle pigrizie mentali e delle inerzie politiche. Le nazionalizzazioni, ad esempio, diventano non più uno slogan testimoniale ma una soluzione credibile di fronte a vicende industriali come Ilva o Alcoa o alla evidenza della funzione regressiva delle banche private, o meglio, privatizzate visto che fino al 1992 erano BIN (Banche di Interesse Nazionale). Lo stesso si può dire del non pagamento del debito pubblico. I 100 miliardi di euro sottratti ogni anno per il pagamento degli interessi sul debito, impongono i tagli alla sanità ai servizi, ai redditi che entrano nella carne e nel sangue della gente, rendendo così evidente – e non ideologico – il fatto che un debito pubblico di duemila miliardi di euro. non può essere pagato se non provocando una sorta di genocidio sociale. Infine, una fuoriuscita dal sistema Eurozona non solo a dimensione nazionale ma euromediterranea, scaccia i fantasmi dello sciovinismo animato dalla destra e dai neofascisti, e consegna a questo progetto un segno internazionalista e progressista.

E” una proposta che sta suscitando interesse, discussione, traduzioni soprattutto in spagnolo, greco e portoghese (quasi ovviamente). E” una proposta più politica che economica, anche se l”economia gioca una parte rilevante nell”impianto, ma soprattutto è una proposta che rimette al centro – qui ed ora – l”opzione della prospettiva del cambiamento possibile come cornice generale del conflitto e delle resistenze sociali in corso in Italia, Grecia, Portogallo, Spagna.
Una opzione che quindi riapre l”idea della trasformazione contro quella della conservazione o della compatibilità/riformabilità dell”Unione Europea (oggi resa inservibile dai diktat della troika), una opzione che la sinistra alternativa, le forze sindacali, i movimenti sociali hanno via via perso di vista per estenuarsi, anno dopo anno, sulla tattica, su impossibili riforme di un apparato imperialista e sulla illusione che dentro questo apparato ci sia ancora un interstizio per gli interessi popolari e una loro incisiva rappresentanza.

La Rete dei Comunisti intende portare questa proposta al confronto con tutti coloro che non hanno abdicato alla lotta e all”idea stessa della trasformazione sociale, la porteremo al confronto in tutte le istanze nel quale siamo impegnati sul piano sindacale, sociale, politico, culturale. Essendo perfettibile, è ovviamente una proposta a disposizione delle osservazioni di chi agisce nel movimento reale nelle cose presenti. Vogliamo augurarci che dopo un ventennio di egemonia dell”ultra-politicismo, la realtà della crisi costringa finalmente ad una discussione di merito, sui contenuti e su un possibile programma di transizione. Viene proprio da chiedersi: cari compagni, se non ora, quando?

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(30 novembre 2012)

* Rete dei Comunisti.

 

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