Greenpeace, Zara e l'illusione del cambiamento

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26 Gennaio 2013 - 16.43


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di Valerio TripodoDailyStorm

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Zara annuncia il rinnovamento degli impianti industriali per eliminare le sostanze cancerogene dai suoi prodotti. Greenpeace canta vittoria, ma quanto ci vorrà prima che i vestiti siano messi a norma? I danni indiretti causati da Indetex: tante belle parole ma nessuno pagherà. Una provocazione rivolta alle battaglie di Greenpeace: siamo sicuri che siano così attuali? (V.T.)

IL DIAVOLO VESTE ZARA – Tempo fa vi avevamo parlato della pericolosità dei prodotti di Zara e di altri noti marchi d”abbigliamento. L”allarme era stato lanciato, tramite la diffusione dei rapporti “Dirty Laundry” e “Dirty Laundry 2“, da Greenpeace, con annessa campagna di boicottaggio di tutte le aziende citate.

Per riassumervi la situazione in breve, durante tutto il processo industriale necessario al completamento di un capo d”abbigliamento, vengono utilizzate sostanze chimiche cancerogene ed interferenti con il sistema ormonale umano: nonifenoli etossilati e ammine pericolose. Molte di queste sostanze vengono rilasciate direttamente nell”ambiente limitrofo ai luoghi di produzione (presenti per lo più in Cina e “paesi del terzo mondo”) con conseguenze devastanti. State tranquilli, ce n”è ance per noi: quelle sostanze nocive, se pur in piccola quantità, vengono trattenute dai vestiti che potete comprare direttamente al vostro negozio preferito: il cancro-vestito era una moda che ci mancava.

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Subito dopo lo scandalo, tutte le aziende coinvolte (per citarne altre: H&M, Benetton, Diesel, Levi”s) hanno risposto che si impegneranno a rinnovare il sistema industriale in modo da risolvere il problema. Alla fine anche Zara, dopo un”inspiegabile attesa, ha dovuto cedere alla campagna di Greenpeace e dichiarare che sistemeranno le cose. Ma possiamo davvero dormire tranquilli?

IL PIU” RICCO D”EUROPA – Vi presentiamo l”uomo più ricco d”Europa: Amancio Ortega. Per chi non lo sapesse, Amancio Ortega è il fondatore e presidente del gruppo Indetex (Industrias de Diseño TextilSociedad Anónima), una delle più ngrandi società del mondo. Il gruppo Indetex possiede più di 100 aziende, e sono suoi numerosi marchi, fra cui Zara, Pull and Bear, Bershka, Oysho, Stradivarius.

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Quale sarà l”impegno di Amancio Ortega? Chiedere a 20 fornitori di rivelare i valori delle emissioni delle sostanze chimiche pericolose a partire da marzo (e ad almeno 100 fornitori entro la fine del 2013), garantendo a coloro che vivono vicino alle fabbriche tessili il diritto a ricevere informazioni corrette sugli scarichi di sostanze pericolose nell”ambiente, tra cui quelle di coloranti azoici che liberano ammine cancerogene. Bella garanzia, viene da dire. E fa ancor più ridere l”urlo di vittoria di Greenpeace: «Ce l”abbiamo fatta!», gridano sul loro sito, ma nessuno ha chiesto dei rimborsi per i danni alle popolazioni che vivono intorno a quelle industrie, nessuno ha parlato di bonifica del territorio, nessuno ha parlato dei morti causati dalle industrie. che forniscono i tessuti a Zara e a tutti gli altri colossi dell”abbigliamento.

OCCHIO NON VEDE. – Mentre i fornitori Indetex si preparano a mandare dei volantini ai contadini e operai cinesi con scritto “gente, è da una vita che devastiamo la vostra terra e che vi facciamo mangiare, tramite il bioaccumulo dei vostri ortaggi, roba che era meglio lasciar stare, però tranquilli, dateci qualche anno e mettiamo dei filtri ai nostri scarichi”, qui in Europa si sono tutti tranquillizzati, ed hanno sfruttato il periodo di saldi per depredare gli scaffali dei centri commerciali.

E” positivo che le aziende prese di mira da Greenpeace abbiano deciso di modificare il sistema di produzione, ma un piccolo dubbio rimane: che ne è di tutti quei vestiti realizzati con processi a rischio tossicologico? Ovviamente non è stato ritirato dal mercato neanche un calzino e, probabilmente, tutto ciò che avete comprato ultimamente presenta tracce di quelle sostanze citate prima.

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E” molto probabile, inoltre, che la situazione rimarrà immutata per i prossimi mesi – se non anni – dato che le multinazionali non sono solite fermare da un giorno all”altro le loro industrie “solo” perché potrebbero sfornare qualcosa di cancerogeno. Certo, l”alternativa di bruciare questi capi non sembra, a prima vista, la strategia ottimale, però almeno un avviso con scritto “stai comprando dei jeans che hanno una probabilità non nulla di interferire con i tuoi ormoni o di contribuire allo sviluppo di un tumore” farebbe piacere.

CONTRO I MULINI A VENTO – C”è poco da aggiungere: Greenpeace va stimata per le battaglie per cui combatte, ma non offre soluzioni accettabili per il futuro. Si cerca di convertire le multinazionali al così detto “green”, quando lo stesso concetto di multinazionale non potrà mai comprendere il rispetto per la natura. Una frase, pubblicata sul sito di Greenpeace, fa capire quanto siano fuori strada: “se la più grande azienda della moda può realizzare vestiti senza sostanze tossiche, non ci sono scuse per gli altri marchi che devono ripulire la loro catena di fornitura”. In realtà, è proprio questo essere “grandi”, questo essere “multinazionali”, che impedisce di arginare, anzi incentiva, la tossicità. Il motivo? Sembremà banale, ma è sempre lo stesso: minimzzare le spese per massimizzare i profitti e crescere, ovunque e comunque.

Soprattutto, ciò che viene ignorato è che questa “tossicità” non è soltanto chimica, con impati sulla nostra salute e in parte sull”ambiente, ma anche sociale: ci sembra insensato preoccuparsi delle componenti cancerogene dei vestiti, ma non delle condizioni di lavoro a cui sono costretti gli operai che hanno prodotto quei vestiti. Non parliamo solo di inquinamento sul luogo di produzione: regolamento dell”orario, minimo salariale, giorno di riposo e giorno di malattia sono concetti troppo spesso del tutto sconosciuti a quei lavoratori a cui dobbiamo i nostri vestiti preferiti. Promuovere i piccoli produttori, chi utilizza le risorse del territorio per le persone di quel territorio, chi vuole tornare alla qualità a discapito della quantità, ecco che cosa c”è da fare. Ovviamente sta a voi la scelta: tornate pure da Zara, se proprio vi piace, anche perché avete vinto la battaglia e –  per dirla alla Greenpeace – “ce l”avete fatta”.

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Fonte: http://dailystorm.it/2013/01/26/greenpeace-zara-e-lillusione-della-vittoria/


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