L'«atomica» portoghese. Solo l'Alta Corte frena il massacro sociale

I princìpi che l’Alta Corte ha visto violati in quattro dei nove punti sottoposti al suo vaglio sono: eguaglianza e proporzionalità nella distribuzione dei sacrifici

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8 Aprile 2013 - 23.21


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di Marcello Sacco – Megachip.

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Un paio di mesi fa, l’ex segretario di Stato della Cultura portoghese, Francisco José Viegas, dimessosi l’autunno scorso per non precisate ragioni di salute, aveva rotto il suo lungo silenzio ed era passato all’attacco contro il governo di cui, fino a poco tempo prima, era stato membro. Il motivo del dissenso era un certo inasprimento, forse solo di facciata, del controllo sull’evasione fiscale; piaga che al Portogallo, nel 2012, secondo uno studio commissionato dal gruppo socialista del Parlamento europeo, è costata oltre 12 miliardi di euro, cioè il triplo della spesa pubblica che questo governo ora intende tagliare. Viegas, dal suo blog, aveva annunciato che se un agente o ispettore del Ministero delle Finanze gli avesse chiesto uno scontrino lui l’avrebbe mandato (e qui il virgolettato si fa d’obbligo) a «prenderlo nel culo».   È un episodio sicuramente marginale della travagliata politica portoghese di questi tempi, ma è forse la spia più interessante.


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Che un giornalista culturale noto nell’ambiente televisivo e della carta stampata, romanziere con discreto successo internazionale (in Italia è pubblicato da La Nuova Frontiera), insomma che un intellettuale (parola sempre ricca di connotazioni gramsciane) perda l’aplomb su una richiesta di scontrino fiscale rende forse l’idea di quella cultura di governo che la settimana scorsa, per la seconda volta in due anni, si è vista bocciare dalla Corte Costituzionale parte della legge di bilancio per il 2013.

I princìpi che l’Alta Corte ha visto violati in quattro dei nove punti sottoposti al suo vaglio sono proprio quelli dell’eguaglianza e della proporzionalità nella distribuzione dei sacrifici con cui il Portogallo conta di pagare il proprio debito e tornare a contenere il deficit nei parametri comunitari. Dunque “no” alla sospensione di una mensilità per dipendenti pubblici, pensionati e titolari di contratti di docenza e ricerca, e “no” alla tassa sulle indennità di disoccupazione e malattia. Quattro dinieghi attesi da tempo, su misure simili già bocciate l’anno scorso, che adesso obbligano il governo a cercarsi altrove circa un miliardo e 300 milioni di euro su una manovra che ne valeva cinque.

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Domenica pomeriggio, dopo concitate riunioni in consiglio dei ministri e con il presidente della Repubblica, il premier Pedro Passos Coelho ha tenuto un durissimo discorso a reti unificate, trattando l’organo di sovranità, a cui manifestava comunque rispetto formale, come un partito d’opposizione che mette irresponsabilmente a repentaglio la politica economica e la sopravvivenza stessa del Paese. Discorso forse illogico, se si tiene conto che la bocciatura ha avuto l’avallo di quei giudici eletti da due terzi del Parlamento, quindi anche dai partiti di governo.

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A pensarci bene, proprio l’estate scorsa, in occasione di un’impasse per l’elezione di tre giudici della Corte, figure di primo piano del partito del premier, come il capogruppo parlamentare dei socialdemocratici, avevano ventilato l’ipotesi di estinguere la Corte Costituzionale e ridurla a una sezione della Cassazione. E in queste ore giuristi ed esperti a vario titolo sono tornati a parlare, se non di una sospensione, almeno di un suo “adeguamento ai segni del tempo”, come propone il costituzionalista Rui Medeiros, docente all’Università Cattolica di Lisbona, per evitare dei “limiti forti e oppressivi” alla libertà del legislatore democratico.

In realtà il legislatore quei limiti li conosceva bene, ci si era imbattuto giusto un anno fa, e a pensar male si commette peccato, ma spesso ci s’indovina (come diceva uno che se ne intendeva). Si potrebbe infatti sospettare che il governo abbia voluto giocare d’azzardo. Nel discorso di domenica, Passos Coelho è stato chiaro: non ci sono margini per un ulteriore aumento delle tasse, bisognerà accelerare la riforma dello Stato, quella suggerita dal rapporto della troika reso noto a gennaio, ma che è stata sempre la hidden agenda di tutto questo processo di risanamento dei conti pubblici portoghesi. Una riforma che non si accontenta di misure temporanee, ma prevede lo smantellamento di interi pezzi dello Stato.

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Questa finanziaria in carta carbone forse cercava proprio una bocciatura a cui attribuire le colpe del lavoro sporco prossimo venturo; le lacrime, sudore e sangue di cui né i socialisti all’oposizione, né il Partito Popolare (minoritario nella coalizione di governo) volevano macchiarsi. Passos Coelho l’aveva scritto sul Wall Street Journal nel 2011 (“Il nostro piano per raddrizzare il Portogallo), già in campagna elettorale: «Abbiamo votato contro le ultime misure di austerità (dei socialisti ndr), non perché osavano troppo, ma perché non osavano abbastanza».

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Insomma, una specie di manovra di guerra coreana ai confini della legalità costituzionale, per giustificare l’uso imminente delle bombe atomiche.


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