La doppia personalità del MoVimento

Bisogna guardare in faccia la realtà: piaccia o meno bisogna diventare grandi. [Paolo Bartolini]

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27 Febbraio 2014 - 15.08


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di Paolo Bartolini

Il Movimento 5 Stelle ha dei meriti e sarebbe disonesto non riconoscerlo. Intercettare il malcontento di milioni di elettori e tradurlo in una dignitosa e agguerrita opposizione in Parlamento, non è assolutamente poco. Anche sui territori è frequente una partecipazione appassionata da parte dei cinquestelle.

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Ora la vera questione, alla luce dell’ennesima indecente espulsione messa in opera da una maggioranza di iscritti influenzata da Grillo e Casaleggio (proprietari, fra l’altro, del brand e del blog su cui dovrebbe prendere forma la “democrazia” diretta dei cinquestelle), è quella di riconoscere anche i difetti sostanziali di una forza che sta puntellando, senza accorgersene, le mura dei bastioni del potere.

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Come il Dr. Jekyll e Mr. Hyde, quando i pentastellati si tramutano in grillini si può star certi che la novità rappresentata dal M5S sfoci nel populismo controproducente di chi trascura i principi basilari della comunicazione politica.

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Formazione dei militanti, comunicazione/dialogo con gli avversari politici e democrazia interna sono tre punti deboli di una forza che, dipendendo clamorosamente dal carisma del suo leader e non sapendo mettere in discussione il forzato autoriferimento a cui egli la sta costringendo, rischia di inibire il progetto trasformativo della società italiana.

Si parla in queste ore di scissione del MoVimento e già Grillo gongola affermando, con una parafrasi, che è “meglio pochi ma buoni”. La rigida coesione del M5S, e il suo attrarre voti secondo logiche che appartengono più al marketing che al buon senso, parlano di un ciclo ormai esaurito.

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Vuol dire questo che sia la fine di una speranza? Non necessariamente. Ma gli amici cinquestelle hanno bisogno di guardare anche al di fuori del loro recinto. Da soli non andranno da nessuna parte, e noi senza di loro saremo più deboli e ininfluenti.

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È tempo che si guardi la realtà in faccia. L’Italia e l’Europa hanno bisogno di un progetto di riforma radicale dell’esistente. Un progetto che non screditi le Istituzioni, ma le rifondi armonizzando la rappresentanza politica con forme dirette e partecipate di democrazia dal basso.

La dittatura soft di Grillo e Casaleggio punta, forse inconsciamente, a rendere impossibile questa rinascita collettiva. Piaccia o meno bisogna diventare grandi. Altrimenti non ci sarà argine democratico per frenare la follia di questo capitalismo globale centrato sulla competizione di tutti contro tutti.

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(27 febbraio 2014)

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