di Aldo Giannuli.
Giulio Tremonti ha presentato un disegno di legge costituzionale
 che prevede la modifica degli articoli 97, 117 e 119 della carta 
Costituzionale riferiti alla questione del vincolo di pareggio. Subito 
sono comparsi articoli con titoli allarmati del tipo: “Tremonti vuole 
cancellare l’Europa dalla Costituzioneâ€, che fanno pensare all’ennesima 
mutilazione del testo costituzionale.
Le cose non stanno affatto così e 
mi spiego.
Il testo originario della Costituzione non contiene alcun 
riferimento all’Europa e, tantomeno, alla Ue. L’attuale formulazione è 
assai recente ed è un’ eredità del governo Monti di infelice memoria.
 Esso fu la conseguenza dell’accordo intergovernativo del 2012 meglio 
noto come accordo del “Fiscal Compactâ€, che determinava l’introduzione 
del pareggio di bilancio obbligatorio e l’obbligo di chiedere 
l’autorizzazione delle Camere in caso di deviazione dall’obiettivo.
La 
prima modifica riguardò l’art. 97  nel quale venne introdotto un 
brevissimo comma iniziale:
“Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico”.
Il
 che, in buona sostanza, significa che le decisioni delle pubbliche 
amministrazioni, ed ovviamente in particolare in materia fiscale,  sono 
subordinate ai dettami Ue e, qualora il responsabile di una di esse (di 
qualsiasi livello) dovesse decidere in modo difforme, potrebbe anche 
vedersi chiamato dalla Corte dei Conti a rispondere di “danno erarialeâ€.
 Il richiamo alla Ue è poi ribadito da un inciso nell’art 117 ed un 
altro nel 119. Da questo poì scaturì la legge applicativa 24 dicembre 
2012 n. 243 che rende esecutive le norme fissate a partire dal 2014.
trasformazione dell’art. 81 deciso sempre con legge di revisione
costituzionale dell’aprile 2012.
limitava a prevedere, nell’ultimo comma, l’obbligo di copertura di ogni
ulteriore legge di spesa oltre il bilancio annuale. Peraltro, questo
obbligo nei fatti non fu mai osservato troppo scrupolosamente.
“Lo Stato assicura l’equilibrio
tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi
avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.
Il ricorso all’indebitamento è
consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico
e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta
dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.
Ogni legge che importi nuovi o maggiori
oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. Le Camere ogni anno approvano
con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.
L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per
legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Il
contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri
volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e
la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche
amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza
assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei princìpi
definiti con legge costituzionale.”
norme che legano il pareggio di bilancio – e i limiti di oscillazione
possibili – con le direttive Ue.
Di fatto, quella modifica 
costituzionale diventa, in questo modo, il “catenaccio†che garantisce 
l’accordo intergovernativo del fiscal compact e rende non aggirabili i 
limiti al disavanzo, neppure nelle fasi economicamente sfavorevoli come 
questa.
Detto in soldoni: se il Governo volesse 
“sforare†i limiti fissati, non potrebbe farlo contro le indicazioni Ue,
 perché basterebbe un intervento della Corte dei Conti a bloccare tutto.
Ma se anche la Ue ( o la Merkel, per essa), in un accesso di 
benevolenza, autorizzasse l’Italia a discostarsi dai limiti concordati, 
così come Renzi ha chiesto vanamente nella sua visita berlinese, 
ugualmente il  Governo non potrebbero far nulla, perché a legargli le 
mani resterebbero le procedure costituzionali.
Di fatto si tratta di un combinato di 
norme assolutamente micidiale che vincola la politica economica del 
nostro paese alle decisioni Ue e il punto più pesante (di cui in questa
 campagna elettorale proprio non si sta parlando nemmeno per cenni) è 
quello che riguarda il rientro del debito. Gli accordi da cui è nato 
l’Euro, prevedono che ogni paese non possa avere un debito superiore al 
60% del suo Pil, mentre il nostro debito era al 120% prima del governo 
Monti e, dopo i sacrifici, è salito al 130%. La Ue ci ha imposto il 
rientro della quota eccedente entro 20 anni. Questo significa un onere 
di circa 40-60 miliardi l’anno (la cifra è solo stimabile perché 
variando il Pil occorre calcolare anno per anno la cifra in assoluto da 
reperire) che si aggiunge agli interessi.
oltre ogni tollerabilità ed inasprendo la tassazione ordinaria, è
materialmente impossibile fare fronte all’impegno.
E le strade che 
restano non possono essere che due: l’alienazione di beni pubblici (le 
privatizzazioni ovviamente in termini di svendita) ed un prelievo 
forzoso.
Insomma: gli italiani entrino nell’ordine di idee che ci 
aspetta un prelievo forzoso sui risparmi in banca e, con ogni 
probabilità, una patrimoniale sulla casa.  E neppure è detto che questo 
basti.
E dire che gli accordi iniziali che 
hanno preceduto il fiscal compact – prima che Monti svendesse il nostro 
paese – prevedevano clausole ben più favorevoli per l’Italia, a 
cominciare dal criterio di calcolo sul debito.
Da un punto di vista 
giuridico, peraltro, è vero che l’Italia consente  limitazioni della 
propria sovranità, ma in condizioni di parità (art 11 Costit.), mentre 
qui siamo gli unici ad aver messo mano alla Costituzione.
Ed allora, concludendo, qui si fa sul 
serio:
Vogliamo il superamento dell’attuale ordine monetario come 
sostiene il M5S?
Vogliamo una “Europa diversa†che rifiuti l’austerità 
del fiscal compact come vuole la Lista Tsipras?
Vogliamo anche solo una 
politica di bilancio più elastica, come predica Renzi?
Per fare tutto 
questo il passaggio obbligato è eliminare quelle modifiche 
costituzionali volute da un governo al servizio dei poteri forti 
stranieri.
Ristabilire la sovranità nazionale è il passo preliminare e 
qui si vede chi fa sul serio e chi no: Hic Rhodus, hic salta.
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