'La Scozia e la ''Dittatura Beige'''

'Lo scrittore di fantascienza Charles Stross parte dall''indipendenza della sua Scozia per andare al cuore della crisi di tutti gli Stati. [Massimo Spiga]'

'La Scozia e la ''Dittatura Beige'''
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11 Settembre 2014 - 08.38


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di Massimo Spiga.
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Vi propongo la lettura di un articolo assai originale in merito all”imminente referendum sull”indipendenza della Scozia. Lo ha scritto Charles Stross, uno dei maggiori autori di fantascienza in attività. Naturalmente lo scrittore va oltre la questione dell”indipendenza scozzese, per sollevare invece il tema globale della profonda trasformazione dei vecchi Stati-nazione, del sovranismo e della crisi dell”equilibrio retto dal vecchio Trattato di Westfalia. Stross propone alcune idee per il futuro. 

Seguirà, in coda all”articolo, una mia nota critica. 

Intanto, buona lettura.

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La questione del referendum

di Charles Stross.

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«La Scozia dovrebbe essere una nazione indipendente?»

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Ho votato per posta. Ho già espresso il mio “sì”.

Il motivo di questa scelta, però, potrebbe risultare inusuale ai più…

Lasciamo perdere
tutte le argomentazioni a breve termine avanzate da entrambe le fazioni:
quale valuta userà la Scozia? Quali saranno i vantaggi e gli svantaggi?
Quale sarà la politica di difesa scozzese dopo l’indipendenza?
Monarchia o repubblica? Quale passaporto useremo? …e via dicendo. Tutto
ciò si risolverà in tempi ridotti, al massimo nel giro di una
generazione.

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Dico sul serio: il
95% della discussione politica sul referendum, sia a livello mediatico
che popolare, si è focalizzata su problemi a breve termine, faccende
risolvibili in un modo o nell’altro nei successivi giorni o mesi (o,
talvolta, mesi o anni). Nell’aria, aleggia una grandiosa dose di PID:
Paura, Incertezza, Dubbi. Molti sembrano convinti che, se il 18
settembre la Scozia scegliesse l’indipendenza, il 19 sarà loro strappata
la cittadinanza britannica, spunteranno milizie armate sulle autostrade
di confine e la Regina sarà rimossa dal trono a calci entro la fine del
mese. Inutile specificare che non accadrà nulla del genere.

Nella mia scelta per il referendum, ho ragionato soprattutto a lungo termine.

In questa ampia
prospettiva, preferirei un’Europa – anzi, un mondo – composto da stati
molto più piccoli di quelli attuali. Non soltanto preferirei un Regno
Unito ridotto, ma anche degli Stati Uniti, India e Cina accorciati.
Facciamo a pezzetti il
sistema westfaliano.
Viviamo in un mondo dominato da due tipi di entità collettive; gli
stati nazionali (con confini pattuiti ed obblighi dovuti ai trattati
stipulati dopo la guerra dei trent’anni) e le entità corporative
transnazionali (le quali ingrassano in una cornice di libero scambio
offerto dai succitati trattati, tessuto connettivo degli stati
westfaliani).

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Credo che lo stato
nazionale westfaliano non solo abbia dimostrato la sua obsolescenza: sta
cadendo a pezzi, è sull’orlo di un collasso catastrofico. Il mondo di
oggi è molto più piccolo di quello del 1648; l’intero pianeta, in
termini di viaggio, si è ridotto a proporzioni analoghe a quelle dei
paesi del Regno Unito. Nel 1648, viaggiare dal sud della Scozia (da, per
esempio, Berwick-Upon-Tweed) fino al remoto nord-est avrebbe richiesto,
come minimo, un paio di settimane per mare; percorrere la stessa
distanza per terra avrebbe implicato un difficile viaggio per migliaia
di miglia tra montagne, paludi e boschi, sia a piedi che in groppa ad un
cavallo. Oggi, si può percorrere la stessa tratta in un paio di
rumorose ore su un aereo di linea. La distanza è implosa tutt’intorno a
noi.

In molti sensi, la
definizione di uno stato westfaliano (ovvero uno stato capace di
controllare il territorio entro i suoi confini) era un effetto
collaterale della distanza: un esercito straniero non avrebbe potuto
attraversare i suoi territori senza temere rappresaglie.

Oggi le nostre
nazioni non soltanto hanno subito una strana implosione geografica, a
partire dal diciassettesimo secolo, ma la loro popolazione è esplosa. I
cittadini delle colonie americane nel 1790
sono stimati in circa 2,7 milioni; oggi gli Stati Uniti ne contano più
di 300 milioni. Nel 1780, l’Inghilterra ed il Galles avevano circa 7,5
milioni di abitanti; ora siamo a 57 milioni. Quindi, abbiamo delle
popolazioni incrementate di uno o due ordini di grandezza, unite ad un
decremento nei tempi di viaggio di due o tre ordini di grandezza… e
forse un decremento dai tre ai cinque ordini di grandezza nella latenza
delle comunicazioni.

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In questi anni, gli
effetti collaterali di questo problema sono evidenti in tutti gli
aspetti della vita sociale. Gli stati westfaliani non riescono, in larga
parte, a controllare il proprio territorio, ovvero tenere gli stranieri
(intesi come soldati, e non singoli migranti) fuori dai propri confini;
per dimostrarlo, è sufficiente constatare l’agghiacciante situazione
dell’odierna Ucraina. Gli attori non statali hanno ora un ruolo sempre
più prominente nell’imporci le nostre condizioni economiche. Inoltre,
sono convinto che, oggigiorno, accada qualcosa di orribilmente storto
alle democrazie rappresentative che superano una popolazione di 5-15
milioni di cittadini: la responsabilità diretta dei politici svanisce e
ci troviamo in quella che
ho definito una “dittatura beige” (NdT
un analogo italiano di questo concetto è il passaggio Monti-Letta-Renzi
(oppure il “pilota automatico” di Draghi), mentre uno USA è il famoso
discorso sull’America come un’aquila con due ali, entrambe destre
).  Il beige non è nemmeno il peggior colore: alcuni politici non beige sono
addirittura più allarmanti, come Nigel Farage o Marine LePen. Tuttavia,
il loro successo popolare è sintomo di un fallimento istituzionale, un
deficit nella rappresentanza: molti elettori si sentono così alienati
dei governi beige che preferiscono votare per le camicie brune. 

La mia sensazione è
che degli stati molto più piccoli possano servirci meglio, se operano
all’interno di una struttura di trattati oppure in una confederazione
sufficientemente lasca. Gli stati così ridimensionati potrebbero badare
alle problematiche locali, e, nel contempo, compartimentalizzare le
modalità di fallimento: un potere imperiale che si sbriciola causerà
quasi sempre una catastrofe maggiore della dissoluzione di uno
staterello (compariamo, ad esempio, la disintegrazione dell’URSS con
quella della Cecoslovacchia).

Piuttosto che
enormi stati monolitici, governati da elite distanti dai loro cittadini,
e che, quindi, basano le loro direttive politiche sui desiderata
dei lobbisti piuttosto che quelli degli elettori, preferirei
organizzazioni vincolate da trattati, analoghe alla UE o alla NATO,
emerse da un consenso generale prodotto dal pubblico dibattito di entità
più piccole, i cui rappresentanti sono veramente tenuti a rispondere
delle loro scelte agli elettori (chiamatemi un utopista, se volete).

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Sì, questo tipo di
argomenti sono validi anche per sostenere la scissione del Galles,
dell’Inghilterra settentrionale e della stessa Londra. L’indipendenza
scozzese è soltanto il primo passo.

Un appunto finale:
che dire dell’internazionalismo di sinistra? Dopotutto, il nazionalismo
non era nemico della classe operaia? Ovvero, se partiamo dal presupposto
che chiunque, fuori dallo 0,1% della popolazione, è parte della classe
operaia (nel senso che deve lavorare per vivere), il nemico di tutti
noi?

Ebbene, sì, è
proprio così. Eppure, il genere di nazionalismo che ha scatenato la
Grande Guerra è ormai morto è sepolto (ai fini di quest’analisi,
considereremo la Seconda Guerra Mondiale come un riattizzarsi dello
scontro iniziato nel 1914, dopo che i combattenti ebbero modo di
produrre una nuova generazione di carne da cannone). È morto proprio
come lo sono gli stati westfaliani, nazioni in grado di difendere la
propria integrità territoriale, perché passare dall’una all’altra
avrebbe richiesto giorni o settimane in treno o in vaporetto, ed
invaderne una avrebbe richiesto giorni o settimane di marcia da parte di
intere divisioni di fanteria.

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Ormai, la classe
operaia non è più un’entità chiaramente delineata, i cui componenti
condividono un forte senso di solidarietà: dov’è la solidarietà tra un
avvocato ed uno spazzino, tra un infermiere ed un progettista di robot?
Sì, il capitalismo e la crisi del capitalismo sono ancora tra noi, ma la
perdurante ricomplicazione del mondo rende i tradizionali movimenti di
massa una questione d’importanza opinabile. Abbiamo bisogno di strutture
migliori, è vero, ma non credo che possano emergere da uno stato
monolitico, territorialmente egemonico, convinto che il suo ruolo nel
mondo sia meglio protetto dalla costruzione di portaerei sempre più
grosse.

La capacità
offensiva non accresce la stabilità esterna, come gli ultimi dieci anni
in Iraq hanno dimostrato senza ombra di dubbio. Abbiamo bisogno di
consenso, ed abbiamo bisogno di una più fine granularità nella decisione
politica. Per ottenere questi due risultati, quindi, ci servono degli
stati nazionali più piccoli.



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Ed ecco qualche mio appunto all’articolo di Stross:

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Nessuna granularità per le megacorp westfaliane


Nonostante buona
parte dei problemi discussi da Stross siano importanti (uno tra tutti,
la cosiddetta “dittatura beige”), e la riconfigurazione degli stati non
sia un tabù, credo che uno o due passaggi da lui messi a tema debbano
essere approfonditi. 

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1) Prima di tutto, e
questo tema è stato immediatamente evidenziato nella discussione che è
seguita alla pubblicazione del pezzo, Stross pare sottovalutare il ruolo
dei cosiddetti “attori non statali”. È una mera faccenda di rapporti di
forza: che fare quando la Nestlé, l’FMI o un singolo hedge fund
sarà più ricco e forte di ogni singolo stato europeo (ridimensionato)?
Chi gli impedirà di comprarsi un proprio esercito, ad esempio? Uno
scenario del genere, tra l’altro, è il classico panorama cyberpunk, in
cui i gruppi privati  (le megacorp) detengono un potere smisurato
in confronto a quello degli stati, il quale sostanzialmente svanisce.
Finora, gli stati mantengono un ruolo prominente sui gruppi privati
anche perché, mentre i secondi detengono il potere del denaro, è pur
vero che i primi detengono il potere del
ti-sparo-una-pallottola-in-faccia. E, come dicono i saggi, quando un
uomo con un portafoglio incontra un uomo con un fucile, il primo è un
uomo morto. La questione è, naturalmente, più complessa ed ambigua di
come la sto esponendo, ma mi pare che la schematizzazione sia calzante
per evidenziare gli snodi problematici del discorso.

Credo che, se si
vuole limitare lo strapotere degli “spiriti animali” del capitalismo,
gli stati debbano essere rafforzati e non indeboliti (ovvero, il tanto
vituperato “primato della politica” sull’economia). Per ottenere questo
risultato è necessario il consenso, ma è anche vero che, nella nostra
monocultura, il consenso si compra e si vende, per cui gli strumenti che
ci servono sono saldamente nelle mani dei nostri avversari.

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Stross pare
d’accordo sul discorso del primato della politica, ed accenna al
problema posto dagli attori non statali (nell’articolo e nella
discussione successiva): la soluzione proposta è un network di trattati o
una “confederazione lasca” che possa far pesare le sue decisioni per il
bene pubblico sugli interessi privati. Purtroppo, organismi del genere
già esistono (la UE, ad esempio) e sono il caso più feroce di “dittatura
beige” presente sul pianeta: non hanno alcun legame con la propria base
elettorale e nessun tipo di accountability. Ovvero, spezzettare
il sistema di Westfalia per sfuggire alla dittatura beige ci potrebbe
far finire in una più grande, e più assoluta (nel senso di “sciolta da
vincoli”), dittatura beige. Perché una linea politica sovranista possa
dirsi sensata, dovrebbe prima di tutto sbrogliare questa matassa, e
farlo in modo pragmatico, valutando i rapporti di forza in atto. Finora,
chi si è occupato della materia l’ha fatto in senso puramente astratto
ed, infine, velleitario (ad esempio, l’attuale posizione della sinistra,
e pare anche di Stross, riguardo a questo tema è: «Banalità! È
sufficiente trasformare la UE in un’entità democratica, illuminata e
meravigliosa, in cui tutti i popoli si abbraccino in un orgasmo
universale!»). Senza una soluzione per questi problemi, il sovranismo
non ha, per me, alcun interesse: è un mero nazionalismo in sedicesimo.
Quindi, riassumendo: se si spezzetta il sistema di Westfalia per
consentire una maggiore granularità politica SENZA implementare una
confederazione, si finisce nello scenario cyberpunk più estremo. Se lo
si fa CON una confederazione, si aggrava il problema della dittatura
beige. La soluzione, come pare ovvio, sarebbe modulare una
confederazione in modo radicalmente diverso da quelle del passato e del
presente, ma per ora non c’è alcun modo realistico per farlo; inoltre,
rimane il dubbio che, date le attuali contingenze storiche, sia
impossibile farlo anche soltanto a livello teorico.


2) Stross dà per scontato due cose che scontate non sono affatto: prima di tutto, che il nazionalismo old-school
sia morto e sepolto; in secondo luogo, che la classe operaia sia
composta da chiunque debba lavorare per vivere (ovvero, estende questo
concetto fino a coprire tutta la popolazione, salvo una manciata di rentier).
Lascio stare questo secondo punto, perché Stross l’ha affrontato in
maniera articolata in altri pezzi e mi porterebbe enormemente off topic.


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Sulla questione del
nazionalismo: la storia non procede baldanzosamente in avanti in un
progresso dalle magnifiche sorti e progressive. Niente muore mai. Un
preciso equilibrio alchemico di fattori sociali raccapriccianti è
sufficiente a resuscitare qualsiasi incubo storico del passato. I
partiti nazisti o fascisti che stanno prendendo piede in questi anni,
come Pravy Sektor in Ucraina o Alba Dorata in Grecia, sono
esempi del nazionalismo old-school che Stross dà per morto. «Non è
morto ciò che in eterno può attendere», diceva un certo tomo nefando.

Tratto da: http://www.massimospiga.com/2014/09/la-questione-del-referendum.html#sthash.j6srPNPY.SuqetBOj.dpuf

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