Angeli del fango

'Li chiamano ''angeli del fango'': centinaia di volontari quasi tutti della ''Generazione Y'' posta nel tritacarne della precarietà sistemica [Alternativa Nord-Ovest]'

Angeli del fango
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13 Ottobre 2014 - 12.21


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di Alternativa Nord-Ovest

Secondo una vecchia massima cinese, presa poi in prestito dai rivoluzionari maoisti di metà ‘900, quando è grande la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente.

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Ciò significa che nei momenti di turbamento della quiete, del “tran tran” quotidiano, si liberano energie capaci di apportare uno shock positivo a situazioni stagnanti, se incanalate nella giusta direzione. Ciò che, a margine dell’ennesima alluvione che ha colpito il Genovesato, colpisce in positivo dell’intera vicenda, tra un rimpallo di responsabilità e l’altro e la legittima frustrazione dei cittadini, è la nuova mobilitazione dei giovani, rimessisi in moto a distanza di tre anni dalla tragica alluvione del 2011.

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Li chiamano “angeli del fango”, si tratta di centinaia di volontari appartenenti in larga misura a quella Generazione Y posta nel tritacarne della precarietà sistemica da uno status quo politico-economico incapace di affrontare la crisi che lo attanaglia, senza distruggere interamente il suo stesso corpo sociale. Giovani condannati a lunghi e costosi studi universitari che in tanti, troppi casi, non li porteranno da nessuna parte, se non a “lavoretti” saltuari e provvisori, che cronicizzano il senso di precarizzazione dell’esistenza e impediscono, di fatto, la piena realizzazione individuale. A tutto vantaggio delle solite élite.

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Una generazione costretta peraltro a vivere in una “trappola per topi”, una città trasformata dall’industrializzazione – quando Genova era il fondamentale vertice “marittimo” del triangolo industriale del Nord-Ovest italiano – in un colabrodo per torrenti costretti a tragitti improbabili da opere idrauliche altrettanto improbabili, dettate dalle esigenze urbanistiche del tempo, e da altri “regali” della cementificazione del territorio.

Ciononostante, quello che trasmettono questi ragazzi – accusati a destra e a manca di apatia sociale, di inconcludenza, di alienazione dal mondo circostante – è una dannata voglia di partecipazione alla difesa del bene comune, inteso in questo senso come la stessa città, le sue vie, le sue piazze, i suoi mille torrenti e rigagnoli, i suoi negozi. Non c’è, dietro di loro, la mossa di qualche “volpone” della politica, né un riferimento ideologico chiaro e univoco.

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C’è la volontà di prendersi cura del luogo dove vivono, il luogo dove subiscono quotidianamente l’oltraggio di un sistema economico feroce, e dal quale sono spesso costretti alla fuga per mere ragioni di sopravvivenza, e non di scelta. Una città che spesso umilia i loro progetti, i loro sogni.
Ma è la loro città; è la loro “agorà”. E’ dove nascono i loro amori, dove si consolidano i loro rapporti interpersonali, dove si sviluppano i loro talenti.

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Decenni di distruzione sistematica del senso di comunità, operata scientemente dai media asserviti all’ideologia neoliberista, non hanno ancora tagliato del tutto le loro radici.

Finché la Generazione Y mostrerà questo impulso vitale, istintivo, anche disordinato, alla difesa del vivere insieme, potremo riporre una speranza di cambiamento reale; è anzi su questo desiderio di riscossa che chi ha abbracciato la battaglia fondamentale della difesa del bene comune, sa che è doveroso riporre fiducia e impegno. Sarebbe bello, al di fuori di ogni retorica, che fosse da Genova e dal Nord-Ovest, dove l’avventura risorgimentale ha avuto il suo inizio, che questa Nazione così avvilita e vituperata riuscisse a dare il segnale forte della volontà di riprendersi in mano il proprio destino.

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E’ compito di chi lotta perché ciò avvenga, far sì che le energie sprigionatesi in questi giorni non vadano perdute in mille rivoli, caotici e perfino pericolosi come i torrenti che attraversano Genova.

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(13 ottobre 2014)

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