Grexit o non Grexit, questo è il problema

'La posizione economica e finanziaria della Grecia è solo una parte del problema. In ballo c''è molto di più, sul piano geostrategico.'

Grexit o non Grexit, questo è il problema
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28 Marzo 2015 - 22.46


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La
posizione economica e finanziaria della Grecia è solo una parte del
problema. In ballo c”è molto di più, sul piano geostrategico, e
questo di più è l”unica ragione per cui tra “istituzioni”
dell”Unione Europea e governo Tsipras non è ancora finita a
diplomatiche sediate. Ma più passa il tempo e meno appare possibile
conciliare la resistenza di Atene agli ordini di Bruxelles (in
realtà, come tutti sanno, di Berlino) e sua permanenza nella moneta
unica e nell”Unione.

La
lista della “riforme strutturali” che Tsipras e Varoufakis
hanno fatto pervenire ai loro creditori (gli stati dell”eurozona,
fondamentalmente) è in queste ore all”esame dei “giudici”.
Ma dal poco che è trapelato, la lista sembra lontana dalle
“raccomandazioni ultimative” che da due mesi i vari Merkel,
Dijsselbloem, Draghi, Schaeuble, Juncker elencano quasi come
pre-condizioni per erogare finanziamenti ogni giorno più urgenti.
Misure per ridurre la burocrazia e l”evasione fiscale, modifiche
tributarie e lotta alla corruzione, alcune privatizzazioni (ma
bisognerà vedere di cosa). Niente tagli a salari e pensioni, come da
Bruxelles vorrebbero vedere. L”avanzo primario è fissato, come
obiettivo,all”1,5% del Pil (per la Ue avrebbe dovuto essere del 3%,
ed era già uno sconto rispetto al 4,5 fissato in precedenza). Nella
speranza di incrementare le entrate di tre miliardi e realizzare una
crescita dell”1,4% per l”anno in corso.

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Il
tutto mentre i rapporti con la Troika vengono investiti di continuo
da una doccia scozzese (tra segnali di disponibilità a trattare e
proposte considerate “indecenti” dai vertici europei),
secondo una tattica ammessa dallo stesso viceministro delle finanze
ellenico, Euclid Tsakalotos, «Stiamo creando ambiguità con i
creditori in modo intenzionale, perché devono sapere che siamo
pronti a una spaccatura, altrimenti non si può negoziare». Quindi,
ad Atene, una sorta di “piano B” comincia a essere presa in
seria considerazione.

Se
il ragionamento da fare fosse solo economico, per Atene si
spalancherebbero immediatamente le porte della cacciata
dall”eurozona. Ma la necessità di tenere la Grecia dentro è
avvertita anche dai “creditori”. E non solo per l”effetto
terremoto che avrebbe sulla moneta unica e la stessa credibilità
dell”Unione Europea. L”analisi di Adriana Cerretelli, sul
confindustriale IlSole24Ore – che al termine riportiamo – coglie
benissimo la catena infernale di conseguenze geostrategiche di una
eventuale uscita di Atene. Ma anche l”insostenibilità di una
situazione che – se il governo Syriza non viene rapidamente ridotto
all”obbedienza – potrebbe scatenare tentazioni emulative in altri
paesi in forte difficoltà nel rispettare le condizioni capestro
imposte dai trattati, o addirittura causare la caduta di governi fin
qui inchinatissimi alla Troika, come quello della destra spagnola,
che dovrà affrontare un difficilissima prova elettorale a fine anno.

Sottolineiamo,
comunque, come il “problema della drastica riduzione della spesa
sociale” comincia ad essere apertamente posto, e non più
nascosto (“
Lo
stesso cancelliere del resto è convinto che, con solo il 7% della
popolazione mondiale, il 25% del Pil ma il 50% della spesa sociale
globale, l”Europa che invecchia non può mantenersi né salvaguardare
il proprio welfare vivendo al di sopra dei propri mezzi indebitandosi
ma deve ritrovare competitività
“).

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E
quindi un “piano B” prende corpo anche dal lato dell”Unione
Europea…

*****

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Resta
aperta una «soft Grexit»


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di
Adriana Cerretelli
– Il Sole 24 Ore.


La
Grecia va salvata per salvare l”integrità dell”euro e dell”Europa,
ripete la narrativa ufficiale. E per molti questo resta ancora lo
scenario preferito e preferibile. Di fatto, però, dietro le quinte
Grexit sta diventando un”ipotesi sempre più corposa: il piano B su
cui ripiegare qualora si esaurissero pazienza e più ragionevoli
alternative a un accordo con il governo di Atene. Che ha finalmente
presentato a Bruxelles il suo programma di riforme, anche se troppi
temono una nuova falsa partenza.

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Paradossalmente
a remare contro i tira-molla negoziali di Alexis Tsipras è il nuovo
ottimismo sulle prospettive di crescita dell”eurozona insieme ai
benefici effetti promessi dal quantative easing della Bce di Mario
Draghi. La speranza è che l”uscita dalla crisi e il ritorno della
ripresa anche questa volta, come sempre in passato, si dimostrino il
toccasana per una partnership stanca e sfiduciata, malata di
euroscetticismo, nazionalismi crescenti, consensi popolari calanti.
Purché non finisca per rallentare, come in passato, il passo delle
riforme strutturali, si spera anche che il nuovo corso possa
ricompattare gradualmente l”eurozona, provata dalle troppe
divaricazioni Nord-Sud, centro-periferia indotte dal lungo settennato
di sviluppo smorto o recessivo.

Questo
scenario di lenta ma crescente ricostruzione di coesione e fiducia
tra i partner della moneta unica varrebbe però per tutti, tranne che
per la Grecia. Due mesi di dialogo infuocato ma improduttivo con la
coalizione guidata da Tsipras non solo hanno ridotto, soprattutto in
Germania, le attese circa il rispetto dei patti e un serio programma
di rigore e riforme ma hanno diffuso un profondo scetticismo sulla
effettiva capacità della Grecia, qualunque sia il suo governo (il
precedente non ha rispettato il 60% degli impegni presi), di
integrarsi nell”eurozona e di onorare i suoi debiti.

A
frenare Grexit finora era anche una sorta di trappola istituzionale:
l”adesione alla moneta unica è giuridicamente irreversibile, per
questo l”eventuale abbandono dell”euro non potrebbe avvenire senza il
contestuale abbandono dell”Unione, che invece è contemplato dai
Trattati Ue. Nessuno però lo auspica per ragioni culturali,
politiche e strategiche. L”Ue si ritroverebbe infatti con un “buco”
sul fianco orientale in tempi decisamente tellurici, dal Medio
Oriente al Nordafrica al Mediterraneo, tra destabilizzazioni a
catena, minacce terroristiche, flussi migratori incontrollati. Per
non parlare dei contraccolpi sul sistema di difesa Nato cui la Grecia
appartiene, della contrarietà americana alla diserzione di un Paese
che potrebbe diventare per Russia e Cina il mezzo da sbarco nella
regione.

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Per
evitare contraccolpi geo-politici, Francia e Germania stanno
studiando una reinterpretazione dei Trattati Ue che consenta, se
necessario, di scaricare la Grecia dall”euro senza costringerla a
uscire dall”Unione. L”operazione richiederebbe una decisione unanime
dei 28. Persino un bastian contrario come la Gran Bretagna potrebbe
in questo caso essere d”accordo per non creare un precedente che
limitasse i suoi spazi negoziali nella ridefinizione dei propri
termini di integrazione nel sistema-Europa.

In
sordina, dunque, il piano B prende sempre più forma, non si capisce
se anche nel tentativo di convincere Tsipras a imboccare la retta via
o più semplicemente per non ritrovarsi impreparati di fronte a una
lacerazione ritenuta inevitabile.
Angela Merkel resta riluttante
al divorzio. Ma i suoi margini di manovra per scongiurarlo sono
stretti tra il rigorismo della Cdu, il suo partito, la costante
ascesa dell”AfD, la nuova formazione anti-euro, e la maggioranza dei
tedeschi che per la prima volta risulta nei sondaggi a favore di
Grexit . Lo stesso cancelliere del resto è convinto che, con solo il
7% della popolazione mondiale, il 25% del Pil ma il 50% della spesa
sociale globale, l”Europa che invecchia non può mantenersi né
salvaguardare il proprio welfare vivendo al di sopra dei propri mezzi
indebitandosi ma deve ritrovare competitività.

La
Merkel può mostrare, dunque, una flessibilità negoziale molto
ridotta. Nemmeno Tsipras però può rimangiarsi il 100% degli impegni
elettorali in un Paese stremato, alla disperata ricerca di una pausa
nel rigore. Davvero sono inconciliabili i contrapposti interessi
interni di Grecia, Germania ed Eurogruppo? Con le lenti nazionali di
certo, con quella europea molto meno. Cӏ chi sostiene che con
l”uscita di un”economia piccola e diversa, il contagio oggi sarebbe
limitato e l”eurozona si razionalizzerebbe diventando più
governabile e migliore. I dubbi sono leciti. Il rischio è che invece
la finestra aperta sulla secessione spalanchi nuovi orizzonti
psicologici, la marcia incontrollata dei pionieri dell”ignoto.

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