'Shock globalizzazione: sindrome della ''gallina con la zampa alzata'''

La scelta di 30 anni fa fu delegittimare ogni altro pensiero che non fosse legato al neoliberismo. Oggi: decisori che non sanno dove andare [Aldo Giannuli]

'Shock globalizzazione: sindrome della ''gallina con la zampa alzata'''
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31 Marzo 2015 - 22.52


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di
Aldo Giannuli
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Come
l’osservazione insegna, le galline, sono fortemente indecise sulla
direzione da prendere o sul da farsi, restano immobili, come in
ipnosi, con una zampa alzata. E in questa posizione possono restare
anche per molti minuti.

A volte questa
situazione è prodotta da improvvisi lampi che stordiscono l’animale
inducendolo a una sorta di stato di trance, tanto più prolungato,
quanto più i lampi si ripetono.

Forse questo esempio ci
fa capire che sta succedendo ai piani alti del sistema occidentale.

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I decisori (statisti,
finanzieri, militari ecc..) sono entrati nella globalizzazione a
bandiere spiegate e a passo di carica, convinti che avrebbero
facilmente travolto ogni ostacolo e tali sono rimati sino al
2007-2008, quando è iniziata la nuova “grande crisi”.

Il 2008 è stato l’anno
di svolta, quando la crisi è stata conclamata in contemporanea alle
Olimpiadi di Pechino e alla crisi georgiana. Le prime annunciarono al
mondo che la Cina era venti anni più avanti sulle previsioni e si
avviava a diventare in brevissimo tempo la seconda grande potenza
mondiale; la crisi georgiana con il mancato intervento americano ed
europeo, su cui Saakasvili contava, ha segnalato un ritorno tacito di
zone d’influenza nelle quali gli Usa non entrano. Le tre cose
insieme, segnalarono il tramonto dell’ordine mondiale monopolare
che, con la caduta dell’Urss, si era immaginato dovesse imporsi per
un’intera epoca storica.

In questo contesto
Obama era eletto come primo presidente dell’epoca post monopolare.
Da quel momento i “decisori” occidentali (tanto in sede politica
quanto in sede finanziaria) hanno iniziato a essere via via meno
sicuri. Prima hanno cercato di negare la crisi, dopo l’hanno data
per destinata a risolversi in breve, dopo hanno cercato di trattare i
diversi casi finanziari e politici come se si trattasse di fenomeni
separati e non interdipendenti.

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Gli sviluppi successivi
(seconda caduta della crisi nel 2011-12; primavere arabe, guerra di
Libia, ritiro americano da Afghanistan e Iraq, ondata “populista”
in Europa, crisi del Califfato ecc.) sono stati altri lampi che hanno
ulteriormente “accecato” i decisori, riducendone molto
l’effettiva operatività: di fatto, di fronte alla crisi
finanziaria, l’unica decisione che sono stati capaci di assumere
sono state le continue iniezioni di liquidità, mentre nessuno dei
tentativi di riforma del settore è andato a buon fine.

In questa paralisi
dell’azione dei decisori pesa grandemente l’incapacità degli
intellettuali di reagire sviluppando una critica adeguata al sistema.

Ma pesano anche altri
fattori, come l’autoinganno ideologico del pensiero neo liberista.
La scelta fatta trenta anni fa è stata quella di delegittimare ogni
altro pensiero economico, che non fosse quello neo classico, ed ogni
pensiero politico, che non fosse quello liberal-conservatore. Nel
tritacarne sono finiti non solo i marxisti ma anche i keynesiani, i
cattolico sociali, i socialdemocratici e persino i liberali di
sinistra o, comunque, non conservatori. La manovra è a lungo
riuscita ma oggi la cultura politica ed economica dell’occidente si
è enormemente impoverita e non c’è una classe politica di
ricambio (come abbiamo detto in un pezzo precedente), come sempre
accade quando tace il dibattito politico e culturale.

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Oggi ne paghiamo tutti
il prezzo con una classe di decisori politici e finanziari che non
sanno dove andare e restano a guardare immobili con la zampa alzata.

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