Miseria del bipartitismo, #Italicum e i suoi fratelli

Una panacea dei problemi legati alla governabilità? O una truffa politica di cui si nascondono gli enormi difetti? Ecco cosa porterà il peggior frutto del renzismo.

Miseria del bipartitismo, #Italicum e i suoi fratelli
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4 Maggio 2015 - 20.07


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di Turi Comito.

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Uno degli elementi (falso) sul quale si basa la retorica del renzismo –
circa la riforma costituzionale e l”adozione dell”italicum – è dato
dall”argomento del bipartitismo.

Il bipartitismo (che si differenzia dal bipolarismo in quanto dominanti
nel sistema politico sono due partiti e non due coalizioni di partiti) è
considerato una specie di panacea per tutti i problemi legati alla
governabilità delle democrazie moderne e, segnatamente, per la
democrazia italiana.


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La retorica del bipartitismo offre, a sostegno di sé stessa, le seguenti motivazioni:

  • il bipartitismo offre chiarezza di posizioni. Da una parte c”è un
    partito che la pensa in un modo su un determinato tema (o meglio su un
    insieme di temi) e dall”altra parte un partito che la pensa in maniera
    alternativa;
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  • il bipartitismo evita la frantumazione politica e con essa
    l”ingovernabilità di un sistema. Questo poiché la riduzione dei partiti
    porta con sé, evidentemente, la riduzione delle posizioni politiche
    eliminando il conflitto tra i partiti al governo o le lungaggini nel
    processo decisionale parlamentare dovuto, ad esempio, all”ostruzionismo
    dei piccoli partiti;
  • il bipartitismo garantisce la pluralità nell”unità poiché i due
    partiti alternativi assommano in sé una pluralità di posizioni che però
    sono, alla fine, riassunte in posizioni unitarie decise a maggioranza
    all”interno dei partiti stessi.


In realtà, l”Italicum non è detto che assicuri il bipartitismo. Ma non
voglio entrare nel merito di questa questione: altri (molti altri) ne
hanno già parlato e qui segnalo soltanto un articolo breve ma esaustivo
di Raimondo Catanzaro.
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Quello di cui voglio occuparmi è invece un altro aspetto, di fondo, e
cioè contestare la “bontà” del bipartitismo come sistema di
rappresentanza e di governo che assicura stabilità, rappresentatività e
chiarezza di posizioni.




Bipartitismo o monopartitismo?


Il primo punto da tenere a mente è questo. Nelle democrazie europee e in
quella statunitense non esiste, nei fatti, il bipartitismo. Non perché
non vi siano due partiti dominanti ed esclusivi nella corsa al governo,
ma perché le posizioni politiche, nei temi essenziali, tra i due partiti
sono pressocché indistinguibili da almeno un trentennio. Il che crea un
monopartitismo di fatto. Per cui potrebbe anche essere vero che le posizioni siano chiare, ma non sono due. E” una.

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Il caso tedesco, quello inglese, quello americano, quello francese (
pure quello italiano, con le dovute differenze) testimoniano in tal
senso.


In politica estera esiste la continuità delle posizioni – sempre e
comunque – tra repubblicani e democratici (Usa), tra socialisti e
gollisti (Francia), tra socialdemocratici e democristiani (Germania),
tra laburisti e conservatori (Gran Bretagna).


Per quanto riguarda le politiche economiche e industriali, idem.
L”inizio degli anni ”80 rappresenta l”inizio dell”era liberista e della
conversione al liberismo di ogni partito che prima era (più o meno)
alternativo ad esso. Il mercato e le presunte regole di efficienza del
mercato sono alla base di tutte le politiche economiche – di “destra” e
di “sinistra” – di deregulation e di privatizzazione che si sono verificate negli ultimi decenni (dall”abrogazione della legge Glass-Steagall e
delle sue clonazioni europee, alla quasi totale deregolamentazione dei
mercati finanziari, al ridimensionamento del potere contrattuale dei
sindacati, ecc.). Sono diventati liberisti i laburisti di Blair, i
socialdemocratici di Schroeder, i Socialisti francesi (dai tempi di
Mitterand) e, ovviamente, i democratici americani (è di Clinton, per
capirci, la firma che abroga la legge Glass-Steagall).

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Lo stesso dicasi per quanto riguarda le politiche sociali (stato
sociale, pari opportunità, diritti individuali legati alla questione
sessuale come ad esempio i matrimoni gay, scuola e università). Anche su
questi temi le posizioni generali dei due partiti maggiori sono
pressocché identiche e differiscono, quando e se differiscono, sulla
maggiore o minore incisività delle misure proposte (es.: magari un
partito di “destra” sarà per le unioni civili tra persone dello stesso
sesso e un partito di “sinistra” sarà per i matrimoni tout court, ma, nella sostanza, le misure proposte sono equivalenti).


Una situazione del genere non dà origine a nessun sistema bipartitico
nel quale si affrontano partiti con posizioni radicalmente o
sostanzialmente differenti. Dà origine invece ad un sistema
monopartitico, di fatto, nel quale si affrontano, più che due partiti,
due uomini più o meno telegenici e più o meno capaci di polemizzare con
l”avversario sulla forma e non sul contenuto delle posizioni
rappresentate.




Il luogo della rappresentanza e della decisione politica: il
trasferimento di sovranità popolare dal Parlamento al Partito che vince
le elezioni

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Nei sistemi bipartitici dove il capo del governo è eletto
contestualmente alla rappresentanza parlamentare (Germania, Francia e
Gran Bretagna) la situazione è, se possibile, ancora più “monopartitica”
poiché non esiste neppure la possibilità che il governo venga in
qualche modo ostacolato nelle sue decisioni da un Parlamento che esprime
una maggioranza di elettori diversa da quella che ha eletto il capo del
governo. Negli Usa questa possibilità esiste (anche a causa delle
diverse date in cui si elegge il Presidente e il Congresso) benché,
proprio in ragione della somiglianza gemellare dei due partiti maggiori,
è davvero difficile trovare, negli ultimi decenni, elementi di
discontinuità seria nell”ambito dei tre fattori decisivi dell”agire di
governo cui si faceva riferimento (politica estera, politica economica,
politica sociale).


Di fatto quello che accade è pertanto assai semplice da riassumere:
la maggioranza parlamentare “sicura” è garantita, per mezzo di leggi ad
hoc, al partito che vince le elezioni. Il partito pertanto assume il
controllo del Parlamento e ne determina la volontà legislativa. In tal
modo avviene un passaggio cruciale: il trasferimento della potestà
legislativa dal Parlamento al partito vincitore.
E” all”interno del
partito che si decidono i temi da affrontare e la loro priorità. Al
Parlamento non resta altro che ratificare le decisioni del partito al
governo.




Il Partito come contenitore

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Nei paesi dove vige il sistema bipartitico i partiti dominanti non sono
più i vecchi partiti di massa, radicati nel territorio, capaci di
selezionare classe dirigente sulla base di un percorso lungo e anche
difficoltoso e con un sostrato culturale ed ideologico chiaro, definito
ed oggettivamente alternativo come potevano essere il partito
socialdemocratico e quello democristiano tedeschi o quello laburista e
quello conservatore britannici del secondo dopoguerra (ma anche del
primo).


Sono invece “contenitori”.


Luoghi politici, cioè, che contengono le più disparate posizioni
politiche e le più disparate (e antinomiche) categorie sociali. Dentro
questi contenitori c”è infatti di tutto: dal banchiere all”operaio, dal
commerciante al presidente di multinazionali, dal disoccupato al
rentier. E cӏ di tutto dal punto di vista delle posizioni politiche: da
chi vorrebbe la chiusura delle frontiere (ad immigrati e merci) a chi
chiede il totale abbattimento delle frontiere stesse (per uomini e
merci), dall”ateo militante al credente bigotto e via dicendo. Per
tenere assieme tutte queste categorie e posizioni l”unica cosa possibile
è affidare ad un lider plenitpotenziario la gestione del partito. Un
lider che sia multiforme, prismatico, pieno di sfaccettature, dove
chiunque possa riconoscere un tratto di sé stesso o degli interessi che
vorrebbe tutelati. Il lider è, pertanto, la sintesi della frammentazione
sociale e la sua rappresentazione vivente. Ed è per questo motivo che i
moderni partiti nei sistemi bipartitici usano la formula delle primarie.
Perché solo l”investitura del “popolo” di partito può garantire la
generale tenuta del partito stesso. E” condizione necessaria e
sufficiente. Se il partito non è più di classe, se non è più di
ispirazione religiosa, se non è più espressione degli interessi di un
gruppo sociale omogeneo e identificato allora solo la “reductio ad unum”
può garantire la sopravvivenza del partito. La sintesi di tutte le
posizioni in un uomo solo.

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La sfida elettorale per il governo non è più, pertanto, tra posizioni
politiche differenziate e alternative ma tra l”incarnazione di una
pluralità di posizioni somigliantissime che si distinguono tra loro solo
perché si distinguono tra loro i lider dei due partiti. 




I rischi del monopartitismo di fatto.


Le società occidentali ad economia avanzata sono, come noto e come magistralmente esposto da Baumann, società “liquide”.
Cioè altamente frammentate socialmente, economicamente e culturalmente.
Le stratificazioni sociali, la distribuzione del reddito, le estreme
varietà di “lavoro” esistente, la velocità con la quale la tecnologia
cambia “usi e costumi”, sono elementi caratterizzanti di queste società
che vivono un equilibrio instabile e precario. Questi caratteri
risaltano ancora di più nei momenti di crisi economica e danno origine,
assai spesso, a movimenti sociali centrifughi. Il primo dei quali è la
disaffezione alla partecipazione politica (astensionismo elettorale) e
il secondo la nascita e l”espandersi di movimenti politici
radicalizzanti (nazionalisti, razzisti, populisti, ecc.). In questo
panorama si affacciano tre elementi di rischio per l”intero sistema
sociale e politico di una certa rilevanza e che sono speculari ai tre
elementi in premessa ricordati che qualificano la difesa del
bipartitismo.

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  • E” falso parlare di chiarezza di posizioni opposte e differenziate. I
    due partiti maggiori che si affrontano per il governo fanno della
    fumosità la loro forza per la semplice ragione che sono entrambi figli
    della stessa ideologia liberista. Slogan e tweet e, all”opposto, lunghi
    programmi ileggibili pieni di grafici e tecnicismi sono i mezzi usati
    per la propaganda elettorale. I primi e i secondi sono usati a seconda
    delle necessità contingenti e, normalmente, per offrire a tutti l”idea
    che quel partito ha elaborato posizioni meditate riassumibili in
    semplici concetti. Inoltre le parole d”ordine di grande impatto,
    semplici da ricordare e polisemiche sono lo strumento principale per il
    convincimento dell”elettorato (ormai fluido e disposto a cambiare
    partito come si cambia marca di sigarette). Proprio come avviene per una
    qualunque merce pubblicizzata.
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  • E” vero che aumenta la stabilità dei governi, ma a scapito della stabilità sociale. La
    riduzione ad un solo partito (anche se due formalmente) e quindi la
    drastica riduzione della rappresentanza partitica in Parlamento non
    riduce la molteplicità delle opinioni, degli interessi e dei punti di
    vista: non gli dà rappresentanza. Il che è molto diverso.
    Soprattutto
    non dà rappresentanza a quanti sono in vario modo esclusi dalla
    cittadinanza attiva (cioè chi ha un lavoro e un minimo di benessere
    economico) o sono in procinto di esserne esclusi. Non dà rappresentanza a
    frange ideologiche molto caratterizzate (di destra o di sinistra, non
    importa). Non dà rappresentanza a quanti si sentono minacciati da una
    società in rapidissima e continua evoluzione (si pensi solo ai
    cambiamenti apportati dall”immigrazione nel tessuto sociale delle grandi
    città, in ispecie nelle periferie). Non dà rappresentanza a quanti
    vivono marginalmente (sottoproletariato urbano, popolazione anziana al
    limite della sopravvivenza, ecc.). Eppure questi gruppi sociali esistono
    e hanno un loro peso. Evidente che essendo marginalizzati socialmente –
    ed anche politicamente dal bipartitismo – in vario modo diventano
    elementi di instabilità sociale poiché o aderiscono a formazioni
    populistiche/fascistoidi, o a gruppi di contestazione sedicenti
    rivoluzionari oppure, più semplicemente, non partecipano più alla vita
    politica lasciando ad altri ogni sorta di decisione collettiva e
    riducendo drasticamente gli spazi di democrazia.
  • Non è vero che il bipartitismo garantisce la pluralità nell”unità.
    Le decisioni che il partito prende sono decisioni che vengono adottate a
    maggioranza. E non può essere diversamente visto che la velocità è una
    delle caratteristiche principali delle società contemporanee e che le
    discussioni e i compromessi richiedono tempo e rinunce reciproche. In
    questo senso il leader del partito è il dominus che decide tempi e modi
    delle (eventuali) discussioni e ha la parola finale su ogni singolo tema
    affrontato dentro il partito (ormai depositario della potestà
    legislativa).
    Nei casi più controversi, non è il leader cambia idea a
    seguito della discussione nel partito ma il partito che si uniforma
    all”idea del lider a meno di essere sfiduciato cosa difficilissima a
    farsi poiché, come si è visto, ormai il leader del partito è scelto
    attraverso le “primarie”.


Malgrado questo sistema di cose abbia questi, e parecchi altri, punti
deboli, in Italia, è quello che viene presentato come il migliore
possibile per governare le democrazie nelle società avanzate
contemporanee e quindi l”Italia stessa.
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E” chiaro che si tratta di truffa, ma è altrettanto chiaro che, oramai,
questa impostazione gode dell”appoggio di larga parte dell”opinione
pubblica e che non subirà contestazioni di rilievo.

Come è chiaro che parlare di democrazia in queste condizioni è mentire, consapevolmente o meno, a sé stessi e agli altri.

Il bipartitismo verso cui va la riforma costituzionale e la nuova legge
elettorale (Italicum) non darà origine ad una nuova, moderna, più
efficiente forma di democrazia adatta ai tempi.
Darà origine ad una
nuova, ma neppure tanto moderna, benché efficiente, forma di governo
molto prossima ad una autocrazia temperata dal mantenimento di libertà
formali.

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