Merkel, Trump e i trattati che cambiano

I trattati, gli accordi, i patti tra nazioni vengono stracciati da una o più parti quando le circostanze storiche nelle quali sono maturati mutano. Così anche ora

Merkel, Trump e i trattati che cambiano
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18 Marzo 2017 - 19.19


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di Giuseppe Masala.

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Leggevo che i tedeschi minacciano di ricorrere alla World Trade Organisation (WTO) qualora Donald Trump imponga dazi sull”importazione di automobili tedesche negli USA. 

Ho provato una certa sensazione di spaesamento, uguale a quando – un paio di mesi fa – ascoltai il presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, mentre dichiarava al Parlamento Europeo che “l”Euro è irreversibile perché lo prevedono così i trattati”

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Questa sensazione è dovuta al fatto che con queste dichiarazioni la dirigenza europea sembra imprigionata in una bolla temporanea, in un eterno presente immutabile. 

In altri termini, queste dichiarazioni chiariscono che la dirigenza europea è priva di una pur minima prospettiva storica: da che mondo e mondo i trattati, gli accordi, i patti tra nazioni vengono stracciati da una o più parti quando le circostanze storiche nelle quali i trattati sono maturati mutano e sono necessari nuovi accordi (a volte questi nascono dopo che le parti misurano le proprie forze attraverso uno scontro diplomatico, economico e a volte anche militare). 

Se era sconcertante la dichiarazione di Draghi (comunque accettabile perché siamo di fronte ad un economista, dunque per definizione una persona mediamente ottusa) quella tedesca assume venature grottesche: e di grazia cosa faranno i tedeschi agli americani se questi ultimi mettono i dazi? Denunciano al WTO? E se gli americani escono dal WTO (cosa peraltro già dichiarata da Trump)? Gli dichiarano guerra? Cioè un nano militare (peraltro pieno di basi militari del paese nemico) va alla guerra con una superpotenza di cui è difficile anche misurare l”enorme capacità militare in tutti i campi? 

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Semplicemente i tedeschi non hanno strumenti per contrastare la decisione americana né militari, né diplomatici. 

Possono al massimo controbattere con dei contro-dazi che agli americani farebbero comunque il solletico visto che non hanno nulla da perdere, avendo una bilancia commerciale in forte passivo dall”ormai lontano 1971 (e non è una data a caso). Semmai sono i tedeschi ad avere tutto da perdere da una guerra commerciale considerato che il 50% del PIL tedesco è destinato all”esportazione.


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Ecco, qui sta il punto ineludibile: la globalizzazione e l”apertura dei mercati ha arricchito qualcuno sfacciatamente e ha impoverito altri. Sfortunatamente tra gli impoveriti ci sono quelli che hanno il potere militare. Gli USA si ritrovano con 43 milioni di persone che mangiano con i buoni governativi perché in stato di grave deprivazione materiale, oltre 100 milioni di persone di persone inattive, ovvero che non risultano disoccupati perché le statistiche sono congegnate in modo che pure essere disoccupato è un traguardo. Non solo, hanno le infrastrutture civili che cadono a pezzi peggio che in Italia, dunque una situazione che non può continuare.


Trump ha vinto per questo: riportare il lavoro in patria a qualunque costo prima che esploda una guerra civile e ha l”appoggio di quel capitalismo old style che va dall”edilizia fino all”energia e che prospera solo se il popolo sta prosperando. L”apertura dei mercati invece conviene alla finanza che sposta capitali da una parte all”altra del mondo in una frazione di secondo e a quel capitalismo della new economy che non crea posti di lavoro ma semmai li distrugge. 

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Sfortunatamente per i tedeschi il candidato di questo new capitalism (Hillary Clinton) ha perso. E assieme a loro hanno perso i tedeschi. Ecco, la cancelliera Angela Merkel, per capire cosa sta succedendo, dovrebbe aprire qualche libro di storia e provare a imparare la lezione che quando cambiano le condizioni materiali cambiano anche gli accordi esistenti; con le buone o con le cattive.



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