Votare con disincanto: un freno al neoliberismo e guardiamo oltre!

Il transito verso una società equa, sostenibile e solidale non è qualcosa che si faccia nei tempi brevi delle legislature. [Paolo Bartolini]

Votare con disincanto: un freno al neoliberismo e guardiamo oltre!
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20 Febbraio 2018 - 11.59


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di Paolo Bartolini

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Si avvicinano le elezioni, rito stanco di una democrazia che fatica a credere in se stessa. Eppure non mi pare né giusto, né tattico, né tantomeno strategico andare a ingrassare le fila già nutrite del partito degli astensionisti. In fondo il problema per molti, rispetto alle votazioni nel nostro Paese, è quello di oscillare paurosamente tra gli estremi: da un lato c’è chi considera inutile in quanto tale la democrazia rappresentativa e la presenza di cittadini organizzati nelle istituzioni, dall’altro chi coltiva una grottesca fiducia nel “cambio ai vertici” della politica italiana. Come se la riscossa popolare potesse assumere una forma significativa in mancanza di una profonda e concomitante rivoluzione culturale, di pensiero e spirituale.

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Ecco, in mezzo ai cinici e agli illusi si trovano sovente gli autoproclamati “realisti”, termine quantomeno problematico se non specifichiamo esattamente cosa sia la realtà: sono i dati di fatto o le interpretazioni che ne diamo? E poi, queste interpretazioni, quando hanno la forza di scaldare gli animi e di produrre storia, non diventano a loro volta dei fatti con cui è necessario fare i conti? Ma sorvoliamo su questi aspetti filosofici… I cosiddetti “realisti” sono quasi sempre dei convinti menopeggisti. Questo non stupisce, d’altronde in Italia è lunga e frequentata la tradizione del “votiamo il meno peggio!”.

Dal 1994 in poi, dopo l’entrata in scena di Berlusconi nella “vita” politica, abbiamo dovuto ascoltare centinaia di volte il richiamo dolente e ardimentoso di coloro che, per evitare l’avanzata delle destre, invocavano il voto utile al centro-sinistra. Centro-sinistra che, soprattutto nell’incarnazione recente del PD, può essere considerato – se guardiamo il processo dall’alto e con un po’ di onestà intellettuale – una delle concause dello sfacelo in cui versa la società italiana, ormai ridotta (come altrove, ma persino peggio) a società di mercato attraversata da pulsioni aggressive e disperazione crescente.

Se dunque non vogliamo affondare nel guano di un neoliberismo che flirta sfacciatamente con i neofascismi espliciti e mainstream, dobbiamo avere il coraggio di non cedere a tre tentazioni (tutte forti, per carità): 1) ignorare con aria di superiorità la politica politicata ritenendola per definizione inutile e subalterna al potere tecnocapitalista; 2) esaltare la medesima politica rappresentativa come il luogo nel quale si gettano i semi del futuro e si mettono le basi per avvicinarci all’agognato post-capitalismo; 3) decidere di votare il meno peggio per evitare che salgano al Governo i soliti noti con il loro bagaglio di ignoranza, presunzione e prepotenza. Una via di uscita ci sarebbe. Credo che essa richieda coraggio e ironia, consapevolezza dei rapporti di forza e autocritica severa, insomma tutto quello che a sinistra e negli ambienti critici verso il sistema è a lungo mancato.

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Se comprendiamo profondamente che il transito verso una società equa, sostenibile e solidale non è qualcosa che si faccia nei tempi brevi delle legislature, possiamo allora praticare il voto stesso con un sereno disincanto che non si lasci sedurre dal nichilismo o dall’adesione passiva allo spirito del tempo.

Votiamo pure allora, scegliendo tra le forze piccole e grandi che possono rappresentare una spina nel fianco dei neoliberisti, dei razzisti, degli indifferenti “moderati”, dei poltronari, dei faccendieri, delle mafie. Facciamolo sapendo non solo che non basterà, ma che la sconfitta è l’unico orizzonte nel breve-medio periodo, tuttavia le piccole vittorie in umanità saranno ancora e sempre possibili, soprattutto se saremo capaci di riconoscere che il peggio abita dentro di noi e di quello dobbiamo farci carico.

Sognare la rivoluzione oggi, nelle condizioni date, è patologico e illusorio; sognare che nel frattempo le persone possano rendersi degne della rivoluzione che auspicano è invece tutto ciò a cui possiamo dedicare la nostra vita (come intuì il sociologo Georges Friedmann). E in questa vita, senza esaltazione, senza fede in palingenesi improponibili, possiamo persino votare per sostenere la biodiversità politica in Parlamento, anche solo per frenare il degrado e ottenere minime conquiste.

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Ciò che più importa, infatti, resta la creazione di una soggettività collettiva capace di non replicare gli errori del secolo scorso e di operare – fuori e dentro le istituzioni – per decolonizzare l’immaginario contemporaneo e incarnare qui ed ora l’alternativa che vorremmo vedere nel mondo.

 

Immagine di copertina: © Katie Edwards

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