Il voto tra assoluto e relativo

Democrazia contemporanea: partecipare ad un sondaggio d’opinione una volta ogni quattro anni. Buon voto! [Pierluigi Fagan]

Il voto tra assoluto e relativo
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4 Marzo 2018 - 09.45


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di Pierluigi Fagan

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Pare l’uomo non possa fare a meno di pensare per coppie di concetti. La cosa forse proviene dall’ontologia di base tipo Io – non Io o vita – morte o giorno – notte o maschio – femmina etc.. Come però intendere ciò che produce questo motore mentale, cambia da cultura a cultura. La cultura cinese, ad esempio, origina da una interpretazione relazionale mutevole dei due termini della coppia, lo yin e lo yang non si affermano mai del tutto e la loro potenza espressiva è alternata. Da noi invece la coppia dà vita alla dicotomia (et: divido in due parti) che tende al dualismo, cioè all’opposizione. Ne consegue uno dei significati del concetto di “dialettica”. La partizione Bene – Male originò dallo zoroastrismo antico di tradizione orale e da allora, segna l’origine di questa nostra interpretazione della diade.

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Volevo segnalare solo un fatto. Nella nostra vita reale, non esistono assoluti, né alcuno di noi incontra il totalmente bene o il totalmente male o il bello ed il brutto o il giusto e l’ingiusto assoluti. Nella nostra vita mentale invece, organizziamo le gerarchie con giudizi di valore assoluto e di questi amiamo discutere senza ovviamente andare mai a sintesi visto che non c’è alcun medio logico tra due assoluti. Ne consegue che la vita mentale e quella reale viaggiano su binari sempre paralleli, è un modo infruttuoso di usare il pensiero. La cosa si rileva soprattutto nel dibattito pubblico.

Ad esempio “Io sono per i mercati aperti” o “Io sono per i mercati chiusi” dove se un mercato è del tutto chiuso è praticamente inesistente e contraddice la logica stesso dello scambio di eccedenze e mancanze e dove se un mercato è del tutto aperto non esisterebbero stati poiché i due sistemi avrebbero poteri e confini in conflitto permanente. In Europa, ad esempio, ci sono barriere impenetrabili per l’agricoltura africana, in pratica noi non saremmo in grado di produrre alcunché di competitivo sul piano dei prezzi e dovremmo cedere totalmente la sovranità alimentare primaria ma poiché questo è evidentemente poco saggio, non lo facciamo quasi mai. Però andiamo in giro a predicare la religione morale dell’apertura, perché in altri casi ci conviene.

L’istituto Euler Hermes (gruppo Allianz) ha calcolato che tra il 2014 ed il 2017 sono state poste 3.439 misure protezioniste di diverso tipo, dall’ imposizione di tariffe a controlli sanitari, ambientali e di sicurezza. Di queste, la maggior parte è stata introdotta da Washington, 401: più di 300 delle quali dall’ Amministrazione Obama. Trump ne ha decise 90 nel 2017, l’ India ne ha introdotte 293 misure protezioniste, la Russia 247, la Germania 185. La Cina sembra meno, ma la Cina usa altri modi per proteggersi o rendere molto difficile la penetrazione di merci estere.

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Se questa è la prassi per altro ovvia, perché il dibattito pubblico si svolge per principi stereotipati? Perché discutiamo per concetti a grana grossa quando ogni realtà è fatta di grana fine? Perché nessuno di noi vive in una democrazia, noi viviamo in un sondaggio d’opinione permanente che deve approvare o disapprovare intestinalmente quello che faranno coloro che decidono per noi. La natura complessa della realtà a noi è preclusa perché perderemmo la bussola valoriale a dover decidere caso per caso, noi dobbiamo solo odiare il nemico ed adorare l’amico, amare il Bene e rifuggire dal Male, tendere all’assoluto mentre qualcun altro si sporca le mani nel gestire il relativo.

Democrazia contemporanea: partecipare ad un sondaggio d’opinione una volta ogni quattro anni. Buon voto!

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