Elezioni 2018, un primo esame: ora la palla a Mattarella

È evidente una cosa: questa è la fine della seconda repubblica. [Aldo Giannuli]

Elezioni 2018, un primo esame: ora la palla a Mattarella
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6 Marzo 2018 - 11.35


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di Aldo Giannuli

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Come di consueto, un primo velocissimo esame di un risultato che, questa volta, è chiarissimo nelle sue linee generali: stravince il M5s, vince la Lega, escono stra battuti Pd, Forza Italia e Leu e, come si sa, in claris non fit interpretatio.

È evidente una cosa: questa è la fine della seconda repubblica (iniziata il 4 dicembre 2016, come dicemmo a suo tempo) che punisce con durezza i suoi due pilastri principali: Pd e Forza Italia. E questo ha consentito la vittoria della strategia di Di Maio che puntava ad uno sfondamento al centro, saccheggiando fasce elettorali del Pd. Ammetto di essermi sbagliato non prevedendo un risultato così netto e radicale tanto sul fianco del M5s quanto su quello della Lega, anche se percepivo una qualche “sorpresa” in arrivo dato l’elevatissimo numero di elettori incerti ancora pochi giorni prima del voto.

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Questo cambiamento era nell’aria da un anno, ora c’è la convalida ufficiale. I partiti di governo hanno cercato di bloccare la domanda di una nuova offerta politica con una legge elettorale basata sull’innesto dei collegi uninominali, senza voto disgiunto, con clausola di sbarramento e aumento ostruzionistico delle firme. Hanno messo il tappo sulla bottiglia che ribolliva e la bottiglia gli è esplosa in faccia. L’elettorato, ha dato un voto “utile” puntando sul partito che aveva la massa sufficiente per cacciare i vecchi protagonisti della politica. Ed anche a destra ha preferito la Lega a Forza Italia, perché comunque percepita come più disponibile al nuovo. E non deve sfuggire neppure quel 7% di voti alle liste minori, altro segnale di ricerca di nuovi soggetti di rappresentanza.

Man mano che avremo i dati disaggregati a livello territoriale, faremo l’analisi dei flussi elettorali. Ora registriamo le tendenze di fondo. Cosa succederà ora? Per quanto attiene alle presidenze dei due rami del parlamento direi che non c’è storia: una andrà al M5s e l’altra alla Lega (salvo diversi accordi interni al centrodestra) essendo del tutto impensabile un accordo che escluda i due vincitori magari per mettere uno dei perdenti. A mio avviso, stanti i precedenti, direi il Senato al M5 come partito più votato ( il presidente del Senato è la seconda carica dello Stato) e la Camera alla Lega.

Più complicato è stabilire come andrà la partita del governo. Togliamo di mezzo due ipotesi: nuovo Nazareno, bocciatissimo dagli elettori che gli hanno negato i numeri, e il governo M5s-Lega al quale non ha alcun interesse la Lega . Salvini ha conquistato la leadership del centro destra e proprio ora dovrebbe rompere con Fi e mettere in pericolo le giunte di Lombardia e Veneto, per andare a fare il numero due di Di Maio che è un concorrente che zappa sullo stesso terreno elettorale suo. Non vedo che convenienza avrebbe. Peraltro M5s non accetterebbe di dare i suoi voti ad un governo non presieduto da Di Maio.

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Di conseguenza escluderei anche un governo di centro destra presieduto da Salvini perché non si vede chi potrebbe dargli i voti che gli mancano: del M5s si è detto, resta il Pd che facendo una cosa del genere rischierebbe il suicidio. Vi immaginate che il Pd, dopo quel che ha detto sul pericolo di consegnare l’Italia a Salvini, va ad offrire i suoi voti per fare un Nazareno a trazione leghista? Difficile e, comunque, non resterebbe unito.

A questo punto le alternative sono solo due ed a decidere è il Pd: o elezioni anticipate o appoggio esterno al governo Di Maio. Due alternative una peggiore dell’altra, si capisce, ma fra le due quella delle elezioni sarebbe quella più pericolosa: un partito appena uscito sconfitto dal voto, senza un segretario nella pienezza dei suoi poteri, avviato per forza verso un congresso anticipato dovrebbe sottoporsi ad una nuova prova elettorale. Come dire che non prenderebbe neppure il 15%.

Un governo del Presidente, in queste condizioni, non appare fattibile perché le soluzioni di maggioranza sarebbero le stesse che abbiamo esaminato e scartato.

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Resta la sola soluzione di un “governo di tregua” datato ad un anno (a maggio si vota per il parlamento europeo) durante il quale il Pd potrebbe cercare di riorganizzarsi. Personalmente non credo che questo salverebbe il Pd dal precipizio in cui sta cadendo, ma, mettendoci nei panni dei “democratici” è ovvio che debbano cercare come rialzarsi e questa è l’unica strada che gli consentirebbe di farlo.

A questo punto non è importante a chi darà per primo l’incarico Mattarella, perché, anche come secondo, Di Maio resta il favorito.

(5 marzo 2018)

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