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Le elezioni europee e le elezione brasiliane

Un test per l'Italia e un test per il movimento che non c'è: quello socialista. [Piotr]

Le elezioni europee e le elezione brasiliane
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16 Ottobre 2018 - 12.05


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di Piotr 

 

– 1 –

Pepe Escobar, giornalista in forza ad Asia Times, una rivista online con base ad Hong Kong (e che invito tutti a sfogliare di tanto in tanto, se non altro per uscire dal nostro notorio provincialismo e ombelico-guardismo italico) è uno degli osservatori più competenti degli scenari internazionali.
Ho avuto la fortuna di discutere con lui durante una cena a Roma e attraverso successivi scambi epistolari (elettronici, ovviamente), e leggo sempre con molta attenzione quel che scrive perché, come si dice, “la sa lunga”.
Commentando il primo round delle elezioni presidenziali del suo paese d’origine, il Brasile, ragionava su alcuni paragoni correnti: il candidato di estrema destra Jair Bolsonaro, ahimè largamente in testa dopo il primo turno, è veramente paragonabile a Donald Trump? È veramente paragonabile a Matteo Salvini? E il suo contendente di sinistra, Fernando Haddad, è veramente paragonabile ad Emmanuel Macron?
In altri termini, in Brasile si sta replicando uno scontro tra “populisti” e “democratici liberali”?
La sua risposta è: No.

Concordo con Pepe sul fatto che Haddad non sia paragonabile a Macron, essendo il primo espressione popolare del Brasile dei lavoratori e dei democratici e il secondo espressione dei Rothschild, cioè di un’aristocrazia.
Concordo sul fatto che Bolsonaro non sia Trump, avendo il secondo il programma nazionalista di rendere di nuovo grande l’America, mentre il primo ha come programma quello di subordinare totalmente il Brasile agli Stati Uniti. Tanto per capirci, Bolsonaro in un ristorante brasiliano in Florida di fronte alla bandiera a stelle e strisce ha scandito estasiato “USA! USA!”.

Infine, per lo stesso motivo, Pepe Escobar non paragona Bolsonaro a Salvini, essendo quest’ultimo un “sovranista”, cioè un difensore della sovranità italiana e Bolsonaro un agente dell’asservimento agli USA.

Io penso tuttavia che quest’ultima affermazione debba essere riconsiderata.

Ovviamente Salvini non è effettivamente Bolsonaro per diversi motivi, visto ad esempio che il candidato brasiliano è notoriamente un fan dei golpe militari e Salvini no (al contrario, vedi Asor Rosa, è la sinistra neoliberista a invocare di tanto in tanto l’intervento dell’Esercito nella politica). Salvini poi non si è mai espresso a favore della tortura, mentre Bolsonaro sì.
Per farla breve, Bolsonaro è intrinsecamente, consapevolmente e programmaticamente fascista, mentre Salvini è una cosa diversa. Può non piacere – e a me non piace – ma Matteo Salvini è qualcosa di nuovo, di non assimilabile al fascismo.
Bene, su queste cose sono dunque d’accordo con Pepe. Ma avrei qualcosa da ridire sul “sovranismo” del leader della Lega. Perché il sovranismo di Matteo Salvini passa attraverso gli USA. Nella rinnovata tenzone tra anglosassoni e Germania (“America first”, dazi, Brexit), Salvini è come Badoglio, come re Sciaboletta, non certo il comandante di una Brigata Garibaldi (idea che, mi immagino, gli farebbe pure senso). Salvini è contro l’Euro ma a maggior gloria del Dollaro.
Non faccio fatica ad immaginarmi un Matteo Salvini che in un ristorante italiano in Florida intona “Trump! Trump!”.

Ho diversi amici però che pensano che l’Euro sia il nemico principale e il Dollaro quello secondario. Non sono d’accordo. Intanto gli USA sono l’Impero, e la UE è subordinata all’Impero. In secondo luogo, la subordinazione diretta al Dollaro vorrebbe dire, con un Trump che deve risollevare a tutti i costi le sorti americane, avere un vampiro alla gola pronto ad imporre un TTIP (trattato transatlantico di libero scambio) senza nemmeno un trattato, ma solo con minacce e ricatti. Cioè un disastro paragonabile a quello dell’Euro a direzione tedesca.

– 2 –

La situazione è molto ingarbugliata, perché in un caos sistemico come quello che oggi la Storia sta (ri)sperimentando, le cose non possono essere che ingarbugliate. Vediamo alcuni esempi, parziali ma importanti, di questo intrico.
A) Una UE irriformabile. Ed è irriformabile perché la UE è di fatto l’estensione del trattato di pace tra Francia e Germania. La Francia e, specialmente, la Germania stanno nella UE solo fin tanto che questa serve a loro, solo fin tanto che possono vampirizzare gli altri stati membri. A volte con una violenza inaudita, come nel caso della Grecia.
La Germania è sempre stata potentissima, ma non è mai stata in grado, al contrario della Gran Bretagna e degli USA, di diventare una potenza egemone (e ne avrebbe avuti i numeri). Per una serie di motivi basati sulla sua geografia e la sua storia, la Germania ha sempre voluto dominare laddove le potenze egemoni passano al dominio diretto solo quando l’egemonia entra in crisi cioè, per parafrasare Gramsci, quando non possono più nascondere che l’egemonia era comunque “corazzata di coercizione”.
È questo il motivo, come ha scherzosamente detto Albero Bagnai, per cui la Germania “ha sempre combattuto fino alla sconfitta”.
Per cui, se la Germania non riesce a dominare la UE (perché si vede ad esempio costretta a rinunciare al suo mostruoso surplus commerciale), lei l’Europa la molla, mica la riforma. A meno, ovviamente, che intervengano altri elementi, che però non possono nascere all’interno dell’Europa, per cui le costerebbe di più abbandonarla che non rimanerci. Uno “shock esterno”, come si direbbe in slang. La UE non è riformabile con forze che provengono solo dal suo interno.
Quindi la UE non ci piace.

B) La denuncia di Trump degli accordi internazionali con l’Iran, il JCPOA, ha portato a un’interessante reazione della UE che è di fatto un’insubordinazione che mette in moto meccanismi (come lo “special purpose vehicle”) che sarebbero il primo serio, seppur limitato e localizzato, esempio di delinking della UE dal Dollaro. E il delinking dal Dollaro è considerato dagli USA una sorta di atto di guerra.
Quindi la UE ci piace.

Bottom line, come si dice all’ammerrecana: dato che in questo caso la UE a noi piace e agli USA no, c’è il serio rischio che da qui a Natale sperimenteremo un crescendo di “allarme terrorismo”, e non possiamo escludere gravi atti di provocazione targati Isis o organizzazioni affini.

C) Quando la coperta si fa troppo corta, tutti tirano dalla propria parte. Non solo sotto Obama gli USA hanno detto “Fuck the UE” (la plenipotenziaria statunitense per l’Europa, Victoria Nuland, al telefono con l’ambasciatore americano a Kiev mentre lei stava preparando il golpe nazista in Ucraina), non solo sotto Trump è iniziata una guerra commerciale, ma all’interno della stessa UE le contraddizioni non possono che esplodere. Una delle più evidenti è che i Francesi vogliono che l’Italia sparisca dal Nord Africa così come vogliono prima indebolire e poi cannibalizzare la nostra rimanente industria – che pure ridotta male com’è continua a far vedere i sorci verdi a quella francese.
Quindi la UE, ci piaccia o non ci piaccia, è un casino.

– 3 –

Su un tavolo così complesso (e quelli precedenti sono solo alcuni tasselli del puzzle) occorre giocare “di fino”.

Ora, Matteo Salvini può anche pensare di stare a giocare di fino mettendosi a disposizione festosa di Donald Trump, ma si dimentica che Donald Trump ha il bastone e lui no. E specialmente non ce l’ha se rompe con la UE in un momento in cui la UE sta prendendo le distanze da Trump.

Il problema più in generale, comunque, è un altro: l’orizzonte di Salvini è tutto interno al sistema capitalistico e al liberismo. Quindi non può che essere subordinato ai giocatori principali del tavolo. I più prossimi sono gli USA e la Germania e lui ha scelto di allearsi ai primi per dar battaglia alla seconda contando così di indurre la UE a più miti consigli. Ma il gioco gli sfuggirà inevitabilmente di mano (a meno di shock esterni che non dipendono da lui) per i motivi che abbiamo visto. E gli sfuggirà di mano anche per un altro motivo. Perché mai Trump ha sguinzagliato Steve Bannon in giro per l’Europa a sostenere i “sovranisti” Modrikamen, Salvini, Meloni, Le Pen e Orbán e adesso lo sguinzaglia in Brasile a sostenere Jair Bolsonaro che tutto è tranne che “sovranista” mentre invece, mio sospetto personale, si mette le mutande a stelle e strisce?
Semplice: perché questo fa comodo alla superpotenza. America first!
Questa gente non fa beneficenza di sovranismo. O pensate che sia mossa da ideali?

– 4 –

Ripeterò ancora, e spero di essere scusato, che per me la “questione Europa” è innanzitutto una questione di democrazia e solo dopo, e conseguentemente a questa priorità, è una questione economica e finanziaria.

E ripeterò ancora, e spero di essere scusato nuovamente, che non c’è sovranismo che tenga se non si ha una prospettiva socialista e, in specifico, se si pensa che si possa tranquillamente ritornare alla Lira e a uno sviluppo (cioè a una fiorente estrazione di plusvalore) keynesiano.

Bisogna invece fin da subito pensare a una prospettiva di programmazione democratica (che è socialista), l’unico mezzo per tenere insieme economia, società, ecologia e pace.

Il tempo stringe. Le prossime elezioni europee vedono le due forze oggi al governo programmaticamente distinte. La fine di maggio potrebbe essere anche la fine di questo governo o comunque l’inizio di un rimescolamento politico.

Possiamo pensare (e sperare) che a quel punto i 5 Stelle si posizionino come punto di riferimento di  un programma di democrazia progressiva (attenzione: non “progressista”) separando i loro destini da quello del neoliberista securitario Matteo Salvini. Forse a riposizionarsi così non saranno tutti i 5 Stelle ma una loro parte. In entrambi i casi la domanda è la seguente: saremo pronti in quel momento per rilanciare una prospettiva socialista?

Possiamo iniziare a parlarne? Possiamo per lo meno tornare ad usare la parola “socialista”?

La usa persino Jeremy Corbyn, la usa persino Bernie Sanders, perché noi dovremmo vergognarci di usare questo concetto?

 

 

 

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