di Paolo Bartolini.
Per carattere e professione penso la radicalità non come estremismo, ma letteralmente come “andare alle radici” delle questioni. Un passo alla volta sempre più in profondità. Per questo, politicamente, diffido dei duri-e-puri che si dissociano anche da loro stessi e dei riformisti che pensano, con una smaltata, di rimettere in piedi un sistema dannoso (e dannato), lasciandolo intatto nelle sue logiche di base.
Non amo i conflitti sterili, mi turbano quelli distruttivi, mi interessano quelli generativi.
Mia convinzione è che essere in cammino sia la nostra condizione: una ricerca continua, qualche approdo, numerose ripartenze. L’infantilismo degli antagonismi del 0,5% mi indispone, così come mi insospettisce chi si lancia in proclami che lasciano perennemente fuori dal raggio dell’attenzione l’essenziale. Il “nuovo” corso del PD mi pare rientri decisamente in quest’ultimo contenitore.
Non ho mai votato quel partito, quindi la mia opinione non è quella di un “deluso”, ma di una persona che ha chiara la china discendente che l’Occidente ha imboccato, nonostante i colpi di coda del padrone a stelle e strisce. Ritengo, alla luce delle dichiarazioni strombazzate sui media dal gruppo dirigente in via di costituzione, che la funzione del Partito Democratico sarà, in questi anni di cooperazione e competizione con il M5S, quella di consolidare nell’opinione pubblica la percezione che i problemi più cocenti prodotti dal capitalismo contemporaneo (ecologici, sociali, psicologici, economici: dunque “antropologici” in senso ampio) possano essere gestiti solo dagli attori privati e pubblici che detengono le maggiori responsabilità in merito, purché accettino di fare un restyling che li renda affidabili e cool in questo passaggio storico disastroso. Lasciamoli fare, insomma.
Lo zio d’oltreoceano, e i suoi consulenti, sanno quali sono i margini di movimento.
Bene qualche concessione (a chiacchiere) sui diritti civili, poco si può fare invece per il lavoro (il neoliberismo non si discute), nulla sul piano geopolitico. La Russia e la Cina devono arrendersi, la diplomazia auspicata a parole va di pari passo con l’invio massiccio di armi all’Ucraina, la transizione energetica ed ecologica deve essere centralizzata senza fretta (aspettiamo altri vent’anni di emissioni climalteranti, di disastri ecologici, facciamo un pensierino sul nucleare: l’importante è scongiurare le comunità energetiche, l’autonomia dei cittadini dalle multinazionali, le politiche di tassazione dei grandi inquinatori…).
Ai giovani e maturi ambientalisti spiegheranno che stanno lavorando per loro, alle femministe diranno che le discriminazioni sono prossime a finire (senza capire che una parte notevole dei femminicidi deriva dalla crisi radicale della mascolinità patriarcale su cui si regge ancora il sistema militare/finanziario/ideologico), ai pacifisti suggeriranno che la NATO in casa tutela da pericolose invasioni russe agostane. E per alzare l’umore proporranno qualche idea di mescolanza “innovativa” tra pubblico e privato, soprattutto nella sanità. Delle discriminazioni avvenute in Italia dal 2020 a oggi, delle infinite provocazioni USA in giro per il mondo, del contributo metodico del PD alla distruzione dei diritti del lavoro nel nostro Paese, non parleranno.
Mentre ci governa una masnada di indifferenti, guerrafondai e razzisti in doppiopetto, l’opposizione in Parlamento sta ri-prendendo le sembianze di un campo riformista (SI+M5S+PD), con qualche coloritura progressista, il solito centro-sinistra che ambisce al titolo nobiliare di “Sir. Meno Peggio”. E ci diranno che questa è l’unica via per difendere la Costituzione, loro che ci hanno portato in guerra con il Governo Draghi e a rimorchio di quello odierno, che hanno militarizzato la gestione (fallimentare e spesso autoritaria) della pandemia/sindemia, che hanno partecipato a colpi di Minniti ad aggravare la situazione dei migranti in Libia. Sarebbe questo il “nuovo” che avanza? O sono gli avanzi, di nuovo, di un pasto indigeribile?