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L’effetto Macronda sul post-elezioni

Né Di Maio né Salvini saranno premier in questa legislatura. Questo perché le elezioni non ci hanno fornito numeri e condizioni politiche affinché ciò possa avvenire. E ora chi si affaccia?

L’effetto Macronda sul post-elezioni
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7 Marzo 2018 - 22.46


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di Simone Santini.

 

Faccio una previsione: né Luigi Di Maio né Matteo Salvini saranno premier in questa legislatura.

La previsione mi pare evidente perché le elezioni non ci hanno fornito numeri e condizioni politiche affinché ciò possa avvenire.

 

Esaminiamo le possibili ipotesi.

Alla Camera, dove la situazione numerica è più complicata, alla coalizione di centrodestra mancano oltre cinquanta seggi. Al M5S oltre novanta. Il PD è l’unica forza in campo che potrebbe fornire tali numeri.

Nel primo caso, cinquanta deputati significa la metà del gruppo parlamentare del PD (anche ammettendo il soccorso di qualche fuoriuscito cinquestelle) ovvero non si tratterebbe di qualche gruppetto di “responsabili” che tenta un’avventura personale, ma di una vera e propria scissione necessariamente guidata da qualche big del partito. Questa componente sarebbe votata al suicidio politico poiché non avrebbe alcun futuro. Taglierebbe i ponti con la sinistra (e con il suo elettorato) e non sarebbe mai accettata dall’elettorato di destra. Un governo poi estremamente fragile che non potrebbe durare che pochissimo tempo prima che cominciassero a scoppiare le contraddizioni interne. Insomma, da esponenti della sinistra ne abbiamo viste di ogni, ma questa mi parrebbe davvero troppo anche per loro.

Si potrebbe pensare a un appoggio più organico da parte di tutto il PD, ma sarebbe comunque quasi impossibile, data la posizione subito assunta da Matteo Renzi che, in ogni caso, ha un controllo ferreo su almeno una parte cospicua del gruppo parlamentare (le candidature sono state formate da lui personalmente). Se andasse in porto, si vedrebbe sacrificata la premiership di Salvini a vantaggio di una personalità più digeribile e spendibile per l’elettorato di sinistra (si può pensare ad un Tajani o un Maroni).

Ma a questo punto immaginiamo che sarebbe Salvini a rovesciare il tavolo: è politico troppo intelligente da non capire che se accettasse una situazione del genere si farebbe solo logorare (anche se fosse messo in un ministero prestigioso come gli Interni) e non avrebbe alcun reale controllo sull’attuazione del programma, che verrebbe molto annacquato. Inoltre, un tale governo dovrebbe durare cinque anni (ipotesi ai confini della realtà) e fare benissimo, altrimenti aprirebbe un’autostrada al M5S che alle prossime elezioni avrebbe il cammino spianato verso la maggioranza godendosi, esclusivamente, una rendita di posizione-opposizione.

L’altra ipotesi, appoggio del PD al M5S appare allo stesso modo irrealistica. Qui, oltre tutto, dovrebbe essere tutto il partito, stante i numeri, ad appoggiare la manovra. Nemmeno un PD totalmente “de-renzizzato” (comunque impossibile per i motivi sopra esposti) appoggerebbe nella sua totalità tale ipotesi. Vedete voi realistico che i vari Gentiloni, Franceschini, Delrio, ecc. si possano buttare tra le braccia di Di Maio, perdendo ogni rendita di potere senza avere nulla in cambio se non il “bene del Paese”? Si condannerebbero, definitivamente, all’irrilevanza politica.

Alla fine nel PD rimarrà solo un pugno di personalità (guidate da Michele Emiliano) a prospettare tale soluzione, ma senza seguito.

Esiste solo un’altra possibilità, un accordo tra M5S e Lega. I numeri ci sarebbero ma mancano le condizioni politiche. Non che i programmi siano così distanti, anzi.

Superamento/cancellazione di Jobs Act, legge Fornero, Buona Scuola; taglio a costi della politica, pensioni d’oro, sprechi; lotta alla corruzione; conflitto di interessi; controllo dell’immigrazione; riforma del sistema bancario ed introduzione di monete “alternative” come mini-bot o crediti fiscali; fronte comune per una Europa dei popoli; fine delle sanzioni alla Russia.

Rimangono certo alcune divisioni sulla visione della società che sono macigni e che si possono esemplificare in due temi: reddito di cittadinanza e flat tax. Però, forse, con calma e gesso si potrebbero affrontare.

Ma ciò che, allo stato, differenzia il M5S e la Lega (oltre che una disputa per l’egemonia politica) è una connotazione che oserei definire di antropologia culturale. Basti guardare la composizione di quelli che saranno i gruppi parlamentari. Non ho dati definitivi ma, a spanne, si può dire che i 2/3 dei parlamentari eletti nel MoVimento vengono dal centro-sud (fino a Lazio e Marche) mentre i 3/4 dei parlamentari della Lega sono del centro-nord (da Toscana ed Emilia in su). È una distanza umana prima ancora che politica.

Rimane solo il ritorno alle elezioni, dunque. Non subito, probabilmente, magari la situazione di stallo e i vari tentativi finiranno per portare via un anno. Nel mezzo potrebbe esserci un governo di scopo, istituzionale, per fare una nuova legge elettorale. Ma lo sbocco finale sembra essere segnato.

Ma si andrà alle prossime elezioni nelle stesse condizioni politiche attuali? Personalmente credo proprio di no. Soprattutto immagino che il “sistema” (lo chiamo così per semplificare) incarnato partiticamente da PD e Forza Italia (gli sconfitti di questa tornata) reagirà in maniera risoluta per tornare al comando. Teniamo presente che questi partiti sono stati sconfitti ma non marginalizzati. Se si sommano i risultati di PD, FI e le varie piccole formazioni centriste, si raggiunge un ragguardevole 38%.

Mi ha colpito una notizia, un retroscena, divulgato dalla testata Lettera43 di un incontro a Milano tra Renzi e Berlusconi proprio a ridosso delle elezioni, che sarebbe dovuto restare riservatissimo. Pensate che Renzi e Berlusconi, consapevoli di quelli che sarebbero stati gli imminenti risultati, abbiano parlato del dopo voto o piuttosto del dopo dopo voto?

Invito tutti ad osservare con attenzione le mosse, nei prossimi mesi, di Carlo Calenda, che ha già cominciato a muoversi sullo scenario con gran frastuono, annunciando l’adesione al Pd e sbattendo simultaneamente la porta in faccia al M5S. 

Pino Cabras recentemente ha scritto su di lui questa breve nota:

“Da qualche giorno vedo Carlo Calenda sempre più pompato su tanti canali televisivi. Stanno preparando mediaticamente il Macron italiano? Ossia un prodotto sfornato direttamente dalle officine dell’élite atlantista come un avatar telegenico che deve dare un volto elettoralmente fungibile agli interessi della grande finanza, di cui è espressione immediata. L’unica differenza con Macron è che non si è candidato, nel solco tradizionale italiano delle “riserve della repubblica” e dei “governi tecnici” che non passano per le urne, non sia mai. Il gioco, a occhi smaliziati, appare abbastanza scoperto: Calenda cala la carta della solidità, del realismo, che funziona molto in questa fase. Perché, mi domando, sta facendo il giro delle sette chiese di tutte le tv? Dove appare sempre in trasmissioni con un target piuttosto preciso, Annunziata, Berlinguer, Formigli. Gli cuciono addosso così il vestito del vincente (cioè: ha degli spin doctor che gli fumano). A occhio e croce, memori degli altri governi tecnici, è una disgrazia che faremmo bene a evitarci, dopo il 4 marzo”.

 

Sottolineerei soprattutto l’aspetto del “Macron italiano”.

I parallelismi non mancano.

In Francia, mentre la sinistra (il partito socialista) andava a liquefarsi, ecco che dalle sue pieghe usciva questo ex ministro economico, poco conosciuto alle masse ma che si era fatto notare per piglio decisionista e dinamicità. Preciso riferimento di certa finanza e poteri industriali, la sua discesa in campo andava a sparigliare il campo: la sinistra in grande difficoltà, il centro diviso, i populisti in forte e preoccupante ascesa. Si determinava un “effetto Macron” che portava questa novità, quasi comparsa dal nulla, nel giro di pochi mesi a ricompattare intorno alla sua figura il quadro politico moderato vincendo trionfalmente le presidenziali.

Di Calenda vanno poi evidenziati un paio di aspetti. Suo mentore, dal punto di vista sia professionale che politico, è Luca Cordero Di Montezemolo. Costui non è mai riuscito a fare il salto in politica in prima persona per palese mancanza di carisma, ma le sue entrature e appoggi sono indubbi.

Calenda è altresì figlio della nota regista Cristina Comencini e nipote del molto più celebre Luigi Comencini, uno dei maestri della cinematografia italiana. È in tal senso perfettamente inserito in tutta quella intellighenzia culturale italiana dei salotti buoni (immaginiamo, metaforicamente ma non troppo, in adorazione verso di lui i tanti Virzì, Fabio Fazio, Michele Serra…) e per nulla sprovveduto in materia di uso dei mezzi di comunicazione (tra gli altri incarichi è stato responsabile marketing di Sky).

Sembra l’identikit perfetto per poter incarnare un effetto Macron.

Se ciò non bastasse, tra qualche tempo Mario Draghi finirà in suo mandato alla Banca centrale europea e potrebbe essere pronto per una qualunque necessità.

Offro dunque questa chiave di lettura per leggere in controluce gli avvenimenti che si succederanno nel prossimo futuro e che, in un modo o nell’altro, porteranno alla risoluzione del rebus politico italiano.

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