La rabbia dell'«homo videns» e l'11 settembre

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10 Maggio 2010 - 19.12


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di Paolo Bartolini.

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La società dello spettacolo si configura, essenzialmente, come una società di immagini. E” al registro del visibile, infatti, che la merce affida il compito di rappresentarla universalmente, imponendola allo sguardo dell”ignaro spettatore. Film e informazione non fanno certo eccezione, e non a caso hanno un loro mercato dove competono per conquistare la massima “visibilità“.

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E” risaputo, d”altronde, che gli esseri umani abitano più le rappresentazioni della realtà che la realtà stessa, essendo impossibile astrarre quest”ultima dai contesti socio-culturali nei quali viene sperimentata e condivisa.
In fondo questa non è una novità, lo è invece l”attuale dominio planetario di un”unica visione del mondo, che si è affermato con la globalizzazione economica riducendo all”insignificanza altri modelli di interpretazione del reale. Oggi, insomma, la televisione si propone in quasi tutto il globo come unica testimone attendibile degli accadimenti della nostra esistenza, al punto tale che gli eventi sussistono, per l”opinione pubblica, solo se ne ha parlato la televisione.
Per comprendere come ciò sia possibile dobbiamo riferirci tanto alla pervasività del mezzo (la tv si trova ovunque e moltiplica i suoi effetti condizionando gli stili di vita) quanto alla sua capacità di sfruttare i funzionamenti più antichi del nostro sistema nervoso centrale. Lamberto Maffei, neurobiologo italiano, analizzando il potere della televisione ha ben spiegato che “il ricevente del messaggio visivo, se non opportunamente messo in guardia, è un interlocutore ingenuo che prende il messaggio ricevuto per vero e importante, e, data la natura biologica della visione, è del tutto fisiologico che faccia così, seguendo semplicemente le sue reazioni” (Maffei, 2009). Questo perché il nostro cervello è “programmato” per credere a ciò che vediamo e predisporre, in tempi rapidi, delle risposte adattive all”ambiente. L”evoluzione naturale ha selezionato questa tendenza che permette all”essere umano di produrre reazioni veloci, utili per la sopravvivenza, senza perdersi ogni volta nei meandri del ragionamento logico e discorsivo. Si consideri inoltre che gli stimoli visivi – come e più di altri stimoli sensoriali – coinvolgono in prima istanza le strutture cerebrali adibite alla risposta emozionale, e solo dopo (e nemmeno sempre) le funzioni cognitive della neocorteccia, indispensabili per esaminare criticamente i diversi aspetti dell”informazione in entrata.
Non guasterà allora ricordare che le immagini che riceviamo ogni giorno dai mezzi di comunicazione di massa, non sono affatto spontanee e naturali.
Al contrario, il linguaggio del sistema mediatico, ed in particolare quello pubblicitario, è complesso e si avvale di tecniche raffinate, come ad esempio quella del montaggio.
In altri termini: il flusso di immagini proposto dalla società dello spettacolo, ambisce ad essere percepito come immediato ed autoevidente, ma è pur sempre progettato a tavolino, a partire dalle intenzioni e dagli interessi di chi emette il messaggio.
Per questo Maffei può aggiungere che “l”immagine è un messaggio compiuto, che si impone violentemente alla mente; è senza storia, le fasi della sua costruzione sono misteriose, si può accettare o rifiutare, ma non ha in sé gli elementi che portano ad una sua valutazione critica” (Maffei, 2009).
Tale premessa è opportuna per dare ragione di un fenomeno sociale che, senza di essa, sembrerebbe del tutto incomprensibile. Stiamo parlando dell”odio viscerale che alcune persone nutrono nei confronti di chiunque osi mettere in discussione la spiegazione ufficiale dell”attentato terroristico che, nel 2001, sconvolse gli Stati Uniti e il mondo intero.
Particolare astio riesce a suscitare su questo tema Giulietto Chiesa begin_of_the_skype_highlig

htingend_of_the_skype_highlighting, giornalista e uomo politico che ha fatto della lotta per la verità sull”11 settembre uno dei suoi cavalli di battaglia. Le televisioni e i principali giornali italiani hanno condannato le sue posizioni, evitando accuratamente di coinvolgerlo in un serio dibattito pubblico sul tema.
La scelta, palesemente bipartisan, è stata quella di rimuovere il suddetto giornalista dalla percezione collettiva, cancellandolo letteralmente dai principali mass media.
Recentemente Chiesa ha inviato a Il Fatto e a il Manifesto una lettera aperta inerente all”attuale crisi dell”informazione democratica nel nostro paese.
Il Fatto, dopo qualche esitazione, ha pubblicato l”articolo sul quotidiano cartaceo e successivamente all”interno del suo blog su internet.
I commenti dei lettori, numerosi e positivi, non si sono fatti aspettare; quello che ci ha colpito (ma non stupito) è che una piccola parte di essi, invece di soffermarsi sui contenuti dell”articolo, era volta sistematicamente a contestare la credibilità umana e professionale del suo autore, accusando Chiesa di essere un volgare complottista che nega la realtà dell”11 settembre e la responsabilità di Osama Bin Laden nell”organizzazione degli attentati.
La cosa interessante è che queste reazioni così forti – che non disdegnano l”insulto e l”attacco personale – provengono da lettori che dovrebbero avere un discreto livello culturale e una visione progressista della società e della politica.
Allora ci chiediamo: perché Chiesa suscita regolarmente, da nove anni a questa parte, reazioni così scomposte? Cosa gli ha fatto meritare quell”ostracismo che implacabilmente lo allontana da tutte le televisioni nazionali e locali? La risposta, in fondo, crediamo di conoscerla; ma prima di fornirla vogliamo evidenziare la peculiarità dell”evento “11 settembre”. L”attacco alle torri gemelle ha avuto da subito un effetto spettacolare di immensa portata. L”impressione, insomma, è stata quella di assistere ad un avvertimento planetario, immediatamente recepibile da un vasto pubblico televisivo.
Le stesse caratteristiche formali dell”attentato hanno imposto l”evento all”attenzione di miliardi di spettatori già “educati” alla percezione di immagini simili (che difatti abbondano nella cinematografia hollywoodiana).
Non si dimentichi ora che, in assenza di un”alternativa al sistema capitalistico (nel 1989 era definitivamente fallito l”esperimento comunista), la società occidentale, con il suo modello consumistico, ha iniziato a considerarsi l”unica realtà possibile, una specie di Realtà totale che coinciderebbe con la fine della storia.
Non stupisce allora che, tra le emozioni suscitate dai tragici eventi dell”11 settembre, la paura abbia avuto un ruolo predominante. L”attacco terroristico, infatti, è stato deflagrante anche sul piano simbolico, infliggendo una ferita terribile al cuore stesso del sistema.
Tuttavia la paura dei cittadini americani e di chiunque si riconosce nei valori dell”occidente capitalistico, è stata subito placata da zelanti uomini di stato che hanno utilizzato tutti i canali televisivi a disposizione per dare la “loro” spiegazione dell”accaduto. L”individuazione di un nuovo nemico, il terrorismo islamico, ha così attutito l”inquietudine crescente della popolazione, offrendo un”analisi lineare dell”evento che cancellasse qualunque dubbio sulle cause dell”orrore e riducesse al minimo le incertezze.
Mettere in discussione la versione ufficiale dell”11 settembre, come fa Giulietto Chiesa, significa allora minare alle fondamenta gli stessi meccanismi di percezione di milioni di persone. Non dimentichiamo, infatti, che un episodio così intenso e drammatico, proiettato per la prima volta in tempo reale in tutto il mondo, è stato accolto da moltissimi individui come una verità incontrovertibile, a cui ciascuno di essi ha potuto assistere “in diretta” con i propri occhi.
Il lavoro di Chiesa, secondo i suoi avversari, insidierebbe quindi la tenuta stessa dell”immaginario sociale condiviso.
In un recente scritto Mauro Bonaiuti descrive l”immaginario sociale come “la modalità specifica con cui una società riproduce la rappresentazione di se stessa e fonda la sua identità. L”immaginario sociale si struttura dunque come un campo di significati che consente a una società di riconoscersi nell”immagine del mondo che essa stessa ha elaborato [.] come se non avesse un”origine e fosse una costellazione di simboli senza tempo” (Bonaiuti, 2010).
Sempre lo stesso autore, dissertando sul passaggio epocale dalle società tradizionali all”attuale economia di mercato, afferma con nettezza che “nella società dei legami deboli, l”immaginario consumista resta il solo collante condiviso” (Bonaiuti, 2010).
Solo in quest”ottica multidimensionale, è possibile comprendere perché la rabbia dell”homo videns si diriga più facilmente contro Chiesa e i pochi intellettuali come lui, piuttosto che nei confronti degli uomini di potere che hanno mentito all”opinione pubblica.
Riaprire un”inchiesta sull”11 settembre vorrebbe dire, infatti, mettere in discussione le basi stesse della realtà mediatica, suggerendo al cittadino/spettatore che il “visibile” non è poi così “credibile”.
La frustrazione psicologica causata dall”ipotesi di un possibile collasso del sistema delle immagini, sconvolge in definitiva il cuore, le viscere e la mente di chi ha creduto ciecamente (eccoci al punto zero del visibile: la cecità) nel racconto globale messo in scena dalla società dello spettacolo.
Per tutti questi “credenti” Giulietto Chiesa rappresenta una vera e propria perversione percettiva, un nemico pericoloso che, mettendo in discussione il mito originario dell”11 settembre, rischia di inceppare i dispositivi del mainstream.
Sbaglierebbe, però, chi credesse che la sua instancabile ricerca della verità abbia solo questo scopo. Essa va ben oltre e si ripropone di portare al centro del dibattito democratico l”esigenza di una politica di svolta nel settore delle telecomunicazioni.
Questo è il punto del contendere, e la posta in gioco non è stata mai così alta.

Note bibliografiche
M. Bonaiuti, Senza relazione non cӏ verita, www.decrescita.it; www.megachip.info, 2010
L. Maffei, Nostra Signora Televisione, in COMetA n.2, citazioni da pagg.135 e 136, L”Aurora edizioni, 2009

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