Di cosa hanno paura i politici e i giornalisti francesi?

La campagna in nome della libertà di espressione, contro chi ha dubbi sugli attentati di Parigi, si è via via estesa a tutti i paesi NATO. Lo spirito critico sarà reato?

Di cosa hanno paura i politici e i giornalisti francesi?
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1 Febbraio 2015 - 22.00


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da
Rete Voltaire
.

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L’incredibile
campagna mediatica condotta in Francia in nome della libertà di
espressione, contro tutti coloro che si sono posti dubbi sugli
attentati di gennaio a Parigi, si è progressivamente estesa a tutti
i paesi della NATO. Ormai lo spirito critico rischia di diventare un
reato che spedisce in galera.

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Rete
Voltaire Internazionale | Ginevra (Svizzera) | 25 gennaio 2015

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A
margine della manifestazione “Je suis Charlie” dell’11 gennaio
2015, 56 capi di Stato e di governo si sono riuniti in una strada
adiacente al corteo e hanno posato per qualche minuto davanti alle
telecamere prima di tornarsene a casa. Sulla base di queste immagini,
sono stati presentati come leader di una manifestazione a cui non
hanno mai partecipato.

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Gli
attentati del gennaio 2015 in Francia hanno dato luogo a
un’impressionante manifestazione («Je suis Charlie») e,
istantaneamente, a una campagna di denuncia degli autori che
mettevano in dubbio il significato di quegli attacchi. Quasi tutti i
principali mezzi d’informazione hanno dedicato argomenti o articoli
non a discutere i fatti ma a demonizzare coloro che li discutevano.

La
linea di questa campagna è stata spiegata dalla direttrice politica
della redazione di France2,
Nathalie Saint-Cricq, venuta a illustrarla al tg del 12 gennaio: «È
necessario individuare proprio coloro che non sono “Charlie”,
quelli che in alcune scuole hanno rifiutato il minuto di silenzio,
quelli che sui social network “oscillano” e quelli che non vedono
come questa lotta possa essere la loro. Ebbene sono loro che dobbiamo
individuare, curare, integrare o reintegrare nella comunità
nazionale.»

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L’appello
maccartista di Nathalie Saint-Cricq

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Nathalie
Saint-Cricq è la compagna di Patrice Duhamel, che è stato
l’amministratore delegato responsabile delle emittenti di France
Télévisions, cioè il capo censore del servizio televisivo
pubblico. Quest”ultimo è il fratello dell’editorialista Alain
Duhamel. Questi tre giornalisti esprimono da molti anni l’opinione
prevalente della classe dirigente francese.

Qual
è l’origine della preoccupazione che sta vivendo la stampa
francese?

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Dopo
la pubblicazione del libro di Thierry Meissan L’incredibile
menzogna

[2002] e il dibattito che ha suscitato a livello globale, una parte
crescente della popolazione − non solo in Francia ma in tutti gli
Stati membri della NATO, e solo tra loro − non ha più fiducia nei
principali mezzi d’informazione. Nel 2002 e negli anni successivi
la credibilità della carta stampata e della radio è scesa al 44%,
quella della televisione al 53%; col tempo è risalita al 50% per la
carta stampata, al 55% per la radio e al 58% per la televisione. [1]

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Si
noti che, per la classe dirigente, la credibilità dei media si
misura dalla tipologia del sostegno e non dal suo contenuto, il che
indica una quasi totale mancanza di pluralismo di idee.

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La
pubblicazione di un articolo di Thierry Meyssan [2] nelle ore che
seguirono l”attacco contro Charlie
Hebdo
ha
improvvisamente riaperto il dibattito sulla fiducia nei media. Dal
suo esilio siriano, il giornalista ha evidenziato che il modus
operandi dei terroristi non aveva alcun rapporto con quello tipico
degli jihadisti, ma piuttosto era paragonabile a quello di commando
militari. Pertanto, secondo lui, non era tanto importante sapere se i
terroristi fossero musulmani e se avessero avuto contatti con veri
jihadisti, ma sapere chi li aveva incaricati di realizzare il loro
crimine. In Francia questo articolo è stato ampiamente ripreso da
molti siti web, inoltrato da mailing list e consultato più di
ottocentomila volte in tre giorni nella versione francese del sito di
Réseau Voltaire. [3].

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Stranamente,
questo problema − che è stato trattato da molti media stranieri,
tra cui BBC e CNN − non è stato ripreso dalla stampa mainstream
francese. Peggio ancora, la campagna contro coloro che s’interrogano
sulla verità ha spesso citato l”articolo di Thierry Meyssan senza
mai rispondere alle sue argomentazioni.

Nello
stesso articolo il giornalista in esilio ha osservato che l”attacco
contro Charlie Hebdo mirava a ridare impulso alla “guerra di
civiltà”, una strategia che non è mai stata rivendicata né dai
Fratelli Musulmani né da Al-Qā”ida né dall’ISIS ma solo dai
neoconservatori statunitensi e dai falchi liberali. Non è più
necessario che lui sia accusato di “antisemitismo”: infatti i
neocon erano originariamente un gruppo di giornalisti trotskisti che
animavano la rivista ebraica sionista Commentary
[4].

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Sebbene
quest’accusa sia assurda, probabilmente aveva lo scopo di far
risaltare che le idee di Thierry Meyssan sono state ampiamente
riprese, discusse e commentate dai membri di Réconciliation
Nationale, il partito politico recentemente fondato da Dieudonné e
Alain Soral. Ebbene, come suggerisce il suo nome, questa formazione
si propone di riunire cittadini di provenienze politiche diverse,
compresi i membri dell”estrema destra antisemita.

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La
stampa francese deve dunque affrontare due sfide simultanee: da una
parte l’opposizione al dominio anglosassone che Thierry Meyssan
porta avanti nel mondo e, dall’altra, l”emergere di un nuovo
movimento politico francese − intorno a Dieudonné e Alain Soral −
che contesta il “tradimento delle élite”.

Intervenendo
in parlamento sugli attentati, il primo ministro Manuel Valls ha
indicato anche il comico Dieudonné come un bersaglio prioritario da
abbattere: «E che terribile coincidenza, che affronto vedere un
recidivo dell’odio tenere il suo spettacolo in una sala affollata
proprio nel momento in cui, sabato sera, a Porte de Vincennes,
l’intero Paese si univa in raccoglimento. Non lasciamo mai passare
questi fatti, e che la giustizia sia implacabile verso questi
predicatori dell’odio! Lo dico con forza, qui, in seno
all”Assemblea Nazionale!» [5]. Il giorno successivo, il comico è
stato arrestato e messo in stato di fermo: è accusato di aver
oltraggiato la campagna “Je suis Charlie” ridicolizzandola con le
parole “Je suis Charlie Coulibaly” (“io sono Charlie
Coulibaly”: uno dei terroristi), che sarebbe un incitamento
all”odio antisemita.

Così,
in Francia, oggi, la difesa della libertà di espressione significa
mettere un comico in carcere.

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Non
tutti i francesi hanno partecipato alla campagna

In
questo contesto, di dissenso dal potere mediatico e politico, sono
stati fatti degli studi per capire quali francesi siano refrattari
alle dichiarazioni ufficiali e quale sia la loro incidenza sul futuro
dei partiti politici.

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In
primo luogo emergerebbe una forte disparità regionale: il tasso di
partecipazione dei cittadini alle manifestazioni “
Je
suis Charlie
”
ha raggiunto il 71% a Grenoble o Rodez, ma precipita al 3% a Le Havre
o a Henin-Beaumont. [6]

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Fonte:
Ifop (Institut Français d”Opinion Publique)

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Secondo
l’Ifop, la linea di frattura corrisponderebbe a quella del voto del
Front National [7], ma potrebbe anche corrispondere a quello del NO
al referendum del 2005 sulla Costituzione europea. [8] Dopo attenta
verifica, l”Istituto respinge l”ipotesi di una correlazione con
l”appartenenza religiosa all”Islam.

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Fonte:
Ifop (Institut Français d”Opinion Publique)

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In
altre parole, il dissenso alla (pretesa) unanimità di “
Je
suis Charlie”

corrisponderebbe alle aspirazioni degli elettori del Front National,
ma è probabilmente destinato a crescere fino a corrispondere al
dissenso degli elettori contrari a una Unione Europea
antirepubblicana e antidemocratica.

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Il
tasso di penetrazione del pensiero critico, inserito nella categoria
delle «teorie del complotto», è stato stimato dall’Ifop per il
quotidiano di Bordeaux
Sud
Ouest
.
[9]

In
un’intervista con il politologo Emmanuel Taïeb, il giornale spiega
ciò che è importante sapere. Questo sociologo, docente presso la
facoltà di Scienze Politiche di Lione, finora era conosciuto come un
esperto nel dibattito sulla pena di morte. Benché non abbia mai
scritto articoli scientifici sulle «teorie del complotto», è
presentato − dopo l’attentato a
Charlie
Hebdo

− come un eminente specialista ed è intervistato da molti organi
d’informazione.

Con
«teorie del complotto» si deve intendere una «accettazione di
tesi» che contestano versioni ampiamente condivise di fatti
politici. Emmanuel
Taïeb
precisa
che queste “teorie” non sono “dicerie” (espressione usata
durante la campagna del 2002) ma sono elaborate da soggetti
identificati (cita Jean-Marie Le Pen, Thierry Meyssan e Lyndon
LaRouche) che non sarebbero giornalisti (sebbene Thierry Meyssan sia
legalmente in possesso del tesserino di giornalista e sia
editorialista per molte testate della carta stampata in diversi
paesi).
Taïeb
spiega
che, in definitiva, «la maggior parte delle teorie del complotto
sono solo nuove forme di anti-imperialismo o antisionismo».

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Logicamente
il giornale parte dalla questione dell”11 settembre per arrivare a
quella di “
Je
suis Charlie”: il

21% degli intervistati «non è totalmente certo che questi attacchi
[dell’11 settembre 2001] siano stati pianificati e realizzati
esclusivamente dall”organizzazione terroristica di
Al-Qā”ida».
Questa percentuale scende al 16% per gli attentati del gennaio 2015.

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Fonte:
Ifop e
Sud
Ouest

del 25 gennaio 2015.

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Sondaggio
su un campione di 1.051 persone rappresentativo della popolazione
francese superiore ai 18 anni, effettuato dal 21 al 23 gennaio 2015
tramite questionari online autosomministrati. In tutta evidenza la
formulazione delle domande induce parzialmente le risposte. In ogni
caso, il 16% rappresenta già una questione politica rilevante.

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L’Ifop
prosegue lo studio osservando che gli scettici dell”11 settembre sono
suddivisi in tutto lo spettro elettorale con una
sovrarappresentazione del Front National. Ma ecco, sorpresa sorpresa,
a proposito di “
Je
suis Charlie”

gli scettici sono più numerosi nel
Front
de Gauche (FG)

e nell”UMP che nel Partito socialista e nel Front National.

Così
crolla tutta la retorica che riconduce la contestazione a un”origine
di estrema destra o un
fumus
antisemita. I “complottisti” sono in realtà cittadini che si
ribellano contro il sistema in nome dei valori repubblicani e
democratici. Ciò che hanno capito molto bene sia il Front National –
evolvendosi in gran parte, nel corso di un decennio, da un partito di
estrema destra a un partito patriottico − sia il
Front
de Gauche

sia ora Réconciliation Nationale, anche se questi tre partiti non
hanno alcun rapporto fra loro.

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NOTE

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[1]
Baromètre
de la confiance dans les médias
,
TNS-Sofres.

[2]
«
Qui a commandité l’attentat contre Charlie Hebdo?»,
di Thierry Meyssan,
Réseau
Voltaire
,
7 gennaio 2015.

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[3]
Voltairenet.org
è disponibile in dieci lingue principali e sei lingue secondarie.

[4]
«
Les New York Intellectuals et l’invention du néo-conservatisme»,
di Denis Boneau,
Réseau
Voltaire
,
26 novembre 2004.

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[6]
Marche
républicaine «pour Charlie»: des disparités de mobilisation
lourdes de sens
,
Ifop Focus n. 121, gennaio 2015.

[7]
Alle elezioni europee del 25 maggio 2014, il Front National (FN) è
diventato il primo partito francese col 24,86% dei voti.

[8]
Alla domanda “Approvate il disegno di legge che autorizza la
ratifica del trattato che stabilisce una costituzione per l’Europa?”
vince il NO col 54,68% dei voti, il 25 maggio 2005.

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[9]
«Comme l’ombre d’un doute», Sylvain Cottin,
Sud
Ouest
,
25 gennaio 2015.

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Traduzione
per Megachip a cura di Emilio Marco Piano.

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