di Andrea Fabozzi
 Â«Il populismo è una spiegazione troppo semplice. I partiti 
tradizionali non riescono più da tempo a leggere la società. Non è 
populismo, è crisi della rappresentanza».
L’intervista con Stefano 
Rodotà comincia dal giudizio sui risultati elettorali in Francia e 
Spagna.
«In entrambi i casi il bipolarismo va in crisi. Ma in Francia il
 fenomeno assume tinte regressive. Lì il Front National coltivava da 
tempo il disegno di sostituirsi ai due grandi partiti in crisi, ed è 
stato facilitato dalla rincorsa a destra di Sarkozy e Hollande, che 
hanno finito per legittimare Le Pen. In Spagna Podemos ha interpretato 
un movimento reale, quello degli Indignados, e ha predisposto uno 
strumento di tipo partitico per raccogliere il fenomeno. Il risultato 
pare essere un’uscita in avanti dal bipolarismo».
 Renzi benedice la 
nuova legge elettorale italiana e sostiene che da noi non potrà 
succedere.
Non coglie il senso di quello che sta succedendo e con la sua risposta 
non fa che aumentare la distanza tra il partito e la società. 
Sostanzialmente dice: «A me della rappresentanza non importa nulla, a me
 interessa la stabilità». Ma con un governo che rappresenta appena un 
terzo degli elettori ci sono enormi problemi di legittimazione, di 
coesione sociale e al limite anche di tenuta democratica.
In Spagna e Francia si è votato con sistemi elettorali non 
proporzionali. Di più, lo «spagnolo» è stato a lungo un modello per i 
tifosi del maggioritario spinto. I risultati dimostrano però che 
l’ingegneria elettorale da sola non basta a salvare il bipolarismo. Può 
fallire anche l’Italicum?
L’ingegneria elettorale è un modo per sfuggire alle questioni 
importanti. In questi anni non solo è stato invocato il modello 
spagnolo, ma anche quello neozelandese e quello israeliano. Sembrava di 
stare al supermarket delle leggi elettorali. Tutto andava bene per 
mortificare la rappresentanza, sulla base dell’idea che ciò che sfugge 
agli schemi è populismo. Invece è una legittima richiesta dei cittadini 
di partecipare ed essere rappresentati. Il nuovo sistema italiano, 
l’abbiamo spiegato tante volte, presenta il rischio di distorsioni 
spaventose. Può aprire la strada a soluzioni pericolose, ma anche ad 
alternative interessanti. Penso per esempio alla stagione referendaria 
che abbiamo davanti: dal referendum costituzionale, a quelli possibili 
su Jobs act, scuola e Italicum.
Il primo referendum, quello sulle trivellazioni, il governo ha deciso di evitarlo. Renzi è meno tranquillo di quanto dice?
È possibile, del resto le previsioni sul referendum costituzionale sono 
difficili, ancora non sappiamo esattamente come si schiereranno le forze
 politiche. Di certo la partita non è chiusa. E vorrei ricordare che nel
 1974 una situazione elettorale che sembrava chiusa fu sbloccata proprio
 da un referendum, quello sul divorzio. I cittadini furono messi in 
condizione di votare senza vincoli di appartenenza politica e l’anno 
dopo si produsse il grande risultato alle amministrative del partito 
comunista.
In questo caso il presidente del Consiglio sta politicizzando al massimo
 il referendum, anzi lo sta personalizzando: sarà un voto su di lui 
ancora più che sul governo.
Il fatto che abbia deciso di giocarsi tutto sul referendum 
costituzionale apre una serie di problemi, il primo è la questione 
dell’informazione. C’è già un forte allineamento di giornali e tv con il
 governo, la riforma della Rai non potrà che peggiorare le cose. Renzi 
ha già impropriamente politicizzato tutto il percorso della riforma, il 
dibattito parlamentare è stato gestito in modo autoritario. In teoria 
quando si scrivono le regole del gioco il cittadini dovrebbero poter 
votare slegati da considerazioni sul governo, in pratica non sarà così. 
Il gioco è chiaro: se dovesse andargli male, Renzi punterà alle elezioni
 anticipate con un messaggio del tipo: o partito democratico o morte, o 
me o i populisti.
La strategia è evidentemente questa. Il ballottaggio serve a chiedere 
una scelta tra il Pd e Grillo, al limite Salvini. E se fosse un calcolo 
sbagliato? L’Italia non è la Francia, «spirito Repubblicano» da far 
scattare ne abbiamo poco.
Può essere un calcolo sbagliato. l’Italia non è la Francia per almeno 
due ragioni. Il Movimento 5 Stelle non fa paura come il neofascismo del 
Front National. E la mossa dei candidati socialisti in favore di quelli 
di Sarkozy è stata seguita perché lì la dialettica politica restava 
aperta. Da noi al contrario si rischierebbe l’investitura solitaria, 
rinunciare significherebbe consegnarsi pienamente a Renzi. L’appello al 
voto utile non credo funzionerà anche perché l’Italia non solo non è la 
Francia, ma non è più neanche l’Italia di qualche anno fa. Renzi non può
 chiedere il voto a chi quotidianamente delegittima, negando il diritto 
di cittadinanza alle posizioni critiche. Infatti si comincia a sentire 
che il vero voto utile, quello che può servire a mantenere aperta la 
situazione italiana, può essere quello al Movimento 5 Stelle. Sono 
ragionamenti non assenti dall’attuale dibattito a sinistra, mi pare un 
fatto notevole.
Sulle riforme costituzionali la sinistra spagnola va all’attacco, 
Podemos ha cinque proposte puntuali. Perché in Italia siamo costretti a 
sperare che non cambi nulla?
Proposte ne abbiamo fatte per uscire dal bicameralismo in maniera 
avanzata, per favorire la rappresentanza e la partecipazione, non 
escludendo la stabilità. Sono state scartate, nemmeno discusse. Alcuni 
di noi avevano denunciato il rischio autoritario della riforma 
costituzionale, siamo stati criticati, poi abbiamo cominciato a leggere 
di rischi plebiscitari, «democratura» e via dicendo. Troppo tardi, ormai
 lo stile di governo di Renzi è già un’anticipazione di quello che sarà 
il sistema con le nuove regole costituzionali e la nuova legge 
elettorale. Il parlamento è già stato messo da parte, addomesticato o 
ignorato, com’è accaduto sul Jobs act per le proposte della commissione 
della camera sul controllo a distanza dei lavoratori. Lo stesso sta 
avvenendo sulle intercettazioni.
Dobbiamo considerare un’anticipazione anche il modo in cui è stata gestita l’elezione dei giudici costituzionali?
È stata data un’immagine della Consulta come luogo ormai investito dalla
 lottizzazione, cosa che ha sempre detto Berlusconi. Un altro posto dove
 viene rappresentata la politica partitica, più che un’istituzione di 
garanzia. Lo considero un lascito grave della vicenda. La Corte dovrà 
prendere decisioni fondamentali, mi auguro che le persone che sono state
 scelte si liberino di quest’ombra, hanno le qualità per farlo.
L’altra istituzione di garanzia che finisce nell’ombra di fronte a questo stile di governo è il presidente della Repubblica.
Sulle banche il presidente Mattarella ha giocato un ruolo attivo. Le sue
 mosse possono essere considerate irrituali, ma di fronte al rischio per
 la tenuta del sistema bancario e per il rapporto tra cittadini e 
istituzioni ha fatto bene a intervenire. Stiamo scivolando verso una 
democrazia scarnificata, rinunciamo pezzo a pezzo agli elementi 
sostanziali — la rappresentatività, i diritti sociali e individuali — in
 cambio del mantenimento di quelli formali — il voto, la produzione 
legislativa. La situazione è grave ma le conclusioni un po’ affrettate 
per il momento me le risparmierei. Se questo orientamento proseguirà non
 credo che il presidente della Repubblica distoglierà il suo sguardo.
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Fonte: http://ilmanifesto.info/una-falsa-democrazia-anticipa-il-nuovo-regime/
