di Marcello Foa.
L’incubo è finito e siamo tutti sollevati. Tuttavia non riesco ad 
aggiungere la mia voce al coro di plauso ai servizi di sicurezza 
francese. Un blitz non può essere considerato un successo se si conclude
 con la morte di ben 4 ostaggi. In termini di sicurezza è emersa in 
queste ora una serie di errori e anomalie che per ora resta restano senza 
risposta. Parto dall’ultimo dubbio in ordine cronologico e, a mio 
giudizio, più grave:
Perché i fratelli Kouachi, due terroristi che hanno sterminato i redattori di Charlie Hebdo, sono stati uccisi?
Mi spiego: mentre l’assalto al negozio Kocher era impegnativo e 
rischioso a causa della presenza di ostaggi e pertanto rendeva quasi 
inevitabile l’uccisione di Amedy Coulibaly, il blitz contro i fratelli 
Kouachi è avvenuto in condizioni ben diverse, quasi ideali per catturali
 vivi. Ora lo sappiamo con certezza: erano asserragliati nella 
tipografia senza ostaggi. C’era un solo dipendente quando hanno
 fatto irruzione, il quale ha avuto la prontezza di riflessi di 
nascondersi in uno scatolone e i fratelli Kouachi non si sono mai 
accorti della sua presenza, che è stata provvidenziale per le forze di 
sicurezza. Via sms costui ha inviato alle forze dell’ordine importanti 
indicazioni sulle mosse dei due terroristi.
Le condizioni erano ottimali per catturarli vivi. E invece sono stati
 entrambi uccisi. Secondo le ricostruzioni di stampa i due sarebbero 
usciti dalla tipografia, nella quale si erano asserragliati, sparando 
all’impazzata contro le forze di polizia dopo che queste – probabilmente
 – avevano iniziato a lanciare lacrimogeni nel locale. Un contesto 
difficile e confuso ma di certo non insolito per delle teste di cuoio 
altamente preparate a questo tipo di eventi e addestrate sia ad uccidere
 sia a neutralizzare tenendo in vita.
Ed è evidente che la cattura è altamente preferibile 
all’eliminazione, tanto più in assenza di ostaggi. Vivi, i due sarebbero
 stati interrogati, si sarebbe potuto scoprire la loro rete di contatti,
  i loro mandanti, approfondire la storia del reclutamento nello 
jhadismo, E invece sono stati uccisi entrambi. Era davvero 
indispensabile?
A queste domande se ne aggiungono altre, sempre riguardanti la 
sicurezza e in parte già segnalate da alcuni nei giorni scorsi. Queste:
– Fino a poche settimane fa la redazione di Charlie Hebdo era 
sorvegliata da una camionetta 24 ore su 24, poi la misura è stata 
revocata e a proteggere è rimasto un poliziotto. Nonostante proprio 
prima di Natale le autorità fossero in allarme per possibili attentati, 
la protezione di uno dei siti più ovvi, sensibili e prevedibili di 
Francia non è stata aumentata, con una leggerezza inspiegabile e 
imperdonabile. E’ il più grande regalo che si potesse fare a dei 
terroristi jihadisti. Chi risponde di questa scelta? Quali le 
motivazioni?
– Com’è possibile che due terroristi altamente addestrati, in grado 
di compiere con straordinaria freddezza e professionalità una strage 
come quella del Charlie Hebdo, si rechino sul luogo dell’attentato con 
la carta di identità e per di più la dimentichino nell’auto usata per la
 fuga? Nella mia vita ne ho viste tante, ma una doppia leggerezza così 
sciocca da parte di guerriglieri che da settimane preparavano 
l’attentato è davvero molto insolita.
– Che fine ha fatto il terzo complice? Perché le forze dell’ordine 
hanno additato, sin dalle prime ore, un giovane che in realtà è 
risultato completamente innocente (al momento del blitz si trovava a 
scuola)? C’era o no? E se sì chi era? E’ ancora in fuga?
– Dalle immagini dell’assalto a Charlie Hebdo si nota che l’auto, una
 Citroën, era ferma in mezzo alla strada. Com’è possibile che sia stata 
lasciata lì durante il blitz, col rischio di bloccare il traffico e di 
attirare l’attenzione? O era parcheggiata altrove?
– Cos’è successo quando, subito dopo la strage, l’auto dei terroristi
 è stata bloccata da un’auto della polizia nella via di Charlie Hebdo?
E infine:
– I fratelli Kouachi erano noti da tempo ai servizi di sicurezza 
francesi, a quelli americani, persino a quelli italiani. Com’è possibile
 che il loro ritorno in Francia sia passato inosservato? Qualcuno 
monitorava le loro mosse? Li controllava? Se no, perché? Se sì, perché 
non sono stati fermati in tempo?
Io non ho risposte a queste domande, che restano fondamentali per 
capire fino in fondo i tragici attentati di Parigi. Mi limito a 
formularle.
Certo, invece, è il giudizio sui servizi di sicurezza francesi: sono stati disastrosi sia prima, sia durante, sia alla fine.
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