di Leni Remedios.
LONDRA (Regno Unito) – Mi vengono segnalate le dichiarazioni del leader di Liberi E Uguali, Pietro Grasso, che nel corso della campagna elettorale avrebbe ripreso dai laburisti britannici lo slogan ‘Per i molti, non per i pochi’ (for the many, not the few) nonché la proposta di cancellare le tasse universitarie. Ora, da residente nel Regno Unito e da giornalista che ha seguito l’ascesa dei Labour di Jeremy Corbyn sin dagli albori, mi sono incuriosita.
Sorvolo su molte questioni su cui polemizzare è sin troppo facile. Basti menzionare a mo’ di esempio le posizioni storicamente differenti – per non dire agli antipodi – in fatto di politica estera e guerre, dove soprattutto alcuni membri della formazione italiana sono più vicini semmai ai New Labour di Tony Blair che a Jeremy Corbyn. O le proposte di Laura Boldrini in merito al controllo su Internet, molto più vicine semmai alla stretta sulle libertà individuali perpetrata dai conservatori di Theresa May.
Vorrei invece focalizzarmi sulla proposta riguardante le tasse universitarie, perché mi permette di uscire dalla polemica circoscritta ad un’evidente boutade elettorale per esprimere invece una critica precisa, magari foriera di dibattito costruttivo
L’idea in sé e per sé non è negativa. Certo, porterebbe molte famiglie ed individui a respirare per un periodo discretamente lungo. Ma bisogna contestualizzarla e capirne i vantaggi a lungo termine, perché altrimenti si conferma una toppa elettorale e la visione che ci sta dietro. Allora, visto che Possibile (una delle gambe di Liberi E Uguali) tira in ballo il partito laburista di Jeremy Corbyn, citandolo qua e là anche nel Manifesto, è giusto fare un confronto fino in fondo sia con la società britannica che con i rispettivi programmi e visioni politiche.
La proposta del Labour arriva in una società che – fra contraddizioni varie e oscillazioni – è di base meritocratica e per di più fortemente ‘business oriented’ (di converso, forse anche troppo), dove sussiste già un fortissimo legame fra mondo accademico e mondo del lavoro. Tant’è vero che le università vengono quotate in base alla percentuale di impiego dei propri laureati (quanti trovano lavoro ed in quanto tempo dall’ottenimento della laurea), di contro ai nostri infiniti praticantati, che sono fra l’altro – assieme alla mancanza quasi totale di meritocrazia -fra i motivi principali delle fughe dei nostri cervelli all’estero.
Se si vuole sostenere che la cancellazione delle tasse universitarie da sola possa rimettere in moto l’economia, senza rinsaldare contestualmente il legame fra formazione e capacità occupazionale, si commette un grave errore d’ingenuità. O semplicemente una promessa elettorale che lascia il tempo che trova. Lo strappo fra formazione e occupazione nella società italiana non si ricuce in un mandato elettorale. E’ uno dei tarli che da anni divora dall’interno le vite di diverse generazioni. Richiede tempo, energia, sforzo. Bisogna essere sufficientemente realisti per ammetterlo.
Andiamo ora al programma; e qui vorrei aprire una parentesi quasi filosofico-antropologica. Il capitolo dedicato a Scuola e formazione nel programma di LeU ha come titolo Basta rendite, per l’uguaglianza: premiare chi studia, lavora e innova. Sia nel manifesto esteso che nelle schede riassuntive balza all’occhio un elemento, sin dal titolo: la subalternità dell’istruzione all’economia. Nelle schede riassuntive non ce n’è neppure una dedicata interamente ed esclusivamente a scuola, università e ricerca, bensì si trovano elementi sparsi nelle sezioni dedicate all’economia industriale o alla formazione dei docenti. Il linguaggio usato è imperniato su soggetti come ‘Stato’, ‘enti pubblici’, etc.
I Labour di Corbyn danno al capitolo sull’istruzione il seguente titolo: Towards a National Education Service, Education is what empowers us all to realise our full potential. Ovvero Verso un Servizio di Istruzione Nazionale. L’istruzione è ciò che dà la forza a noi tutti di realizzare il nostro potenziale.
Diviso in 4 sezioni, la parte introduttiva generale esordisce così:
When it fails, it isn’t just the individual that is held back, but all of us. When we invest in people to develop their skills and capabilities, we all benefit from a stronger economy and society.
Trad.: Quando (il sistema d’istruzione) fallisce, non è solo l’individuo a soffrirne, ma tutti noi. Quando investiamo nelle persone al fine di svilupparne le capacità, traiamo tutti beneficio da un’economia e da una società più forti.
In generale il testo è poi condito da diverse espressioni come ‘every child and adult matters’ o ‘giving people confidence’. Insomma, l’investimento nell’individuo in prima battuta.
In realtà si tratta di una questione che riguarda l’inconscio e la visione di un’intera classe politica, non solo quella italiana, anche quella britannica extra Labour e globale.
Qual’è il ‘non detto’ di tutta questa storia?
Da una parte la visione per cui c’è il sistema economia e poi ci sei tu individuo all’interno, che lo devi mandare avanti a qualsiasi costo.
Dall’altra la visione per cui al centro c’è lo sviluppo individuale delle persone e l’economia aiuta la sua progressione. L’individuo strumentale alla perpetrazione di un sistema economico versus un sistema economico strumentale allo sviluppo dell’individuo.
La questione del linguaggio usato, inoltre, non è affatto secondaria. Invito sinceramente a fare uno sforzo di riflessione su questo. Ad interrogarci noi prima di tutto e a interrogare poi la classe politica su quali siano le vere priorità.
La progettualità portata avanti dal Manifesto dei laburisti di oggi rispecchia la visione di un leader e di una grossa fetta di militanti che calcano su queste questioni da più di trent’anni, non dai mesi precedenti le ultime elezioni.
Ecco, se vogliamo copiare i programmi, almeno copiamoli bene, fino in fondo. E capiamo da quale visione arrivano. Altrimenti, al di là e al di fuori della polemica, certe proposte sono destinate necessariamente a rimanere toppe elettoralistiche con risultati a breve termine.
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