Regista e Rom: la sfida di Laura | Megachip
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Regista e Rom: la sfida di Laura

Regista e Rom: la sfida di Laura
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19 Maggio 2010 - 07.49


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lhalilovicdi Davide Pelanda – Megachip.

Intervista a Laura Halilovic – Segue: Il caso Milano.

È uno scricciolo di ragazza Laura Halilovic, ma molto determinata. Da sempre sognava di fare la regista e ce la sta facendo. Nonostante sia molto giovane, solo 20 anni. Nonostante abbia solo la terza media. E nonostante sia di etnia rom, benché sia nata a tutti gli effetti a Torino.

laura-halilovicMa la sua determinazione, che traspare anche dai suoi occhioni neri che ti scrutano mentre la si intervista, l”ha portata a “sfondare” nel cinema dapprima con la partecipazione e la vincita al festival torinese Sotto-18 (edizione 2007 con il cortometraggio “Illusione”, ospite anche del programma “Screensaver” di Rai3), poi con il film “Io, la Mia Famiglia Rom e Woody Allen”, un documentario sulla storia della sua famiglia d”origine, immersa totalmente nella cultura rom a confronto con quella italiana. Dal film, e durante le varie presentazioni in giro per l”Italia, Laura Halilovic da voce ai contrasti ed alle incomprensioni che fin da piccola la accompagnano nelle relazioni con i suoi genitori ed i Gagè, cioè gli altri che non sono rom.

 

Laura perché questo film con un titolo su Woody Allen?

«E” dall”età di 9 anni che guardo i suoi film, li ho guardati tutti ed è un po” il mio “maestro”. Ho cominciato a guardarli da “Manhattan”, è stata la mia scuola e io l”adoro!»

 

E i tuoi come l”hanno presa l”idea che tu diventassi una regista di film?

«All”inizio non tanto bene, anche perché secondo loro avrei dovuto sposarmi, visto che ho già 20 anni e per la nostra cultura sarei già vecchia per il matrimonio. Io non l”ho fatto e sono stati un po” “scossi” dalla mia decisione. Perché la ragazza rom non può né studiare né tantomeno lavorare: insomma, io disonoro la famiglia, così dicono».

 

E comӏ la tua storia? Hai vissuto in un campo?

«Sono nata a Torino e fino all”età di 8 anni ho vissuto in un campo, quello vicino all”aeroporto a Torino e poi mi sono trasferita in un alloggio di una casa popolare. Siamo 5 fratelli, madre e padre, due cognati nella stessa casa.

Ho studiato fino alla terza media e poi c”era bisogno di lavorare. E il cinema è la mia passione. È un ambiente difficile, quello dello spettacolo. Ho conosciuto due registi torinesi, Davide Tosco e Niccolò Rondolino, e con loro sono riuscita ad entrare in questo mondo. Ritengo comunque che ci sia tanta gente falsa. Vengo vista come “diversa” sia dal mio popolo che dagli italiani. Sono tra due fuochi e tutto ciò lo vivo con molta difficoltà, sto cercando di mettere pace anche in me stessa. Ma è molto difficile».

 

E” dura mettersi contro tutti?

«Durissima!»

 

E sei appoggiata da qualcuno?

«Da me stessa. E” difficile, se non si combatte per degli obiettivi.»

 

Come stai vivendo oggi la situazione di rom, anche per via delle nuove normative sugli stranieri che possono sembrare un po” razziste?

«Credo che non si voglia conoscere il diverso, si ha paura di conoscere il Rom, questo perché il Rom non è stato mai visto come una persona. Molto spesso attraverso la tv e i mass media ci presentano cose non vere dei Rom, ci viene fatto una sorta di lavaggio del cervello».

 

Ti riferisci alle dicerie che i rom rubano e sono delinquenti?

«Esatto. I delinquenti e chi ruba li troviamo un po” dappertutto, anche tra gli italiani ci sono quelli buoni e quelli cattivi. Non si può solo additare noi Rom, perché non è così, non si può generalizzare. Certo che se non ci si da la possibilità di lavorare alla gente, per guadagnarsi il pane ovviamente si va a rubare o a fare l”elemosina».

 

La tua famiglia come vive?

«Siamo una casa popolare, mio padre lavora il rame e lo vende, mia madre sta a casa e io vivo con i miei familiari».

 

Come hai fatto ad arrivare a vivere nella casa popolare con la tua famiglia?

«Quando vivi al campo ti vengono assegnati dei punti da quando sei residente al campo. Quando raggiungi un certo punteggio hai automaticamente diritto alla casa».

 

E” una tradizione quella della lavorazione del rame?

«Diciamo che ha una origine nelle nostre tradizioni, poi però mio padre ha trovato solo quello come lavoro da fare per mantenerci. I miei genitori erano profughi provenienti dalla Bosnia e sono arrivati in Italia nel 1982».

 

Come vedresti l”integrazione tra rom e italiani?

«Spero che dalla parte italiana capiscano che siamo delle persone e non degli animali, mentre dalla parte rom anche lì occorre adeguarsi. Ma molti che cercano di adeguarsi si chiedono il perché debbono farlo se comunque non vengono mai accettati per come sono e sempre esclusi. Quando mi si dice da parte di uno della Lega Nord ” Vai a casa tua” io mi domando “dov”è casa mia se sono una nomade che gira? Che non ha una sua patria ed è libera? Casa mia è il mondo!”. Ma loro non riescono a capirlo!».

 

Attualmente le condizioni di vita del campo nomadi da cui tu provieni sono migliorate o peggiorate?

«Peggiorate, perché il rom è diverso ed è giusto che se ne stia da parte. Come struttura vivono malissimo, non c”è sanità, non c”è igiene, i bambini la vivono malissimo, ci sono dei toponi non dei topi. Vengono messi in mezzo alle discariche o ai canili come è in via Germagnano a Torino. C”è anche gente malata, ma non interessa a nessuno!»

 

Ma il film ci parla anche dei problemi dell”integrazione a scuola, della paura e dell”ansia per i numerosi sgombri che i rom debbono subire senza poter far valere le proprie ragioni, in quanto si sentono sempre inferiori e non accettati e ben voluti dalla stragrande maggioranza degli italiani (significativa la battuta della nonna di Laura che dice: «metti su l”acqua per la pasta in questo campo per l”ora del pranzo, la pasta si cuoce mentre ci sgomberano, per poi mangiarla chissà in quale altro posto»).

 

Certo per questa famiglia, così come per le altre tante famiglie rom, combattere il pregiudizio e gli sgomberi può essere veramente drammatico. Nel film si parla, ad esempio, dello zio di Laura che stava in un campo nella periferia di Milano dove aveva comperato un terreno. Ebbene, lì non avrebbe potuto costruire nessuna casa, perché non gli davano il permesso in quanto rom: è lui stesso a spiegare che sarebbe stato denunciato per abusivismo, mentre quando lo sgomberano dalla sua proprietà non può farci nulla: ha 24 ore per andarsene e basta. Come è possibile tutto ciò?

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IL CASO MILANO

Una politica di integrazione rom e sinti a Milano fatta di sgomberi

Proprio di recente il gruppo consiliare di “Uniti con Dario Fo per Milano”, assieme ai “Verdi”, al “Gruppo Misto” ed al “Gruppo Laici Socialisti Libertari Radicali” ha elaborato una mozione con carattere di urgenza che ha per oggetto la politica efficace di integrazione delle minoranze etniche dei rom e dei sinti, dove si denuncia il fatto che «gli sgomberi forzati compiuti nel Comune di Milano non hanno sinora rispettato le disposizioni delle Nazioni Unite e quelle del Comitato dei Ministri del Consiglio d”Europa in materia» che tra l”altro «stabiliscono – ricordano al sindaco Moratti – le garanzie minime di rispetto dei diritti umani, vietando inutili accanimenti sulle persone sgomberate (in occasione di ogni sgombero i servizi sociali del Comune offrono soluzioni che impediscono alle famiglie di stare unite e ai bimbi rom di età inferiore ai 7 anni di continuare a stare insieme a entrambi i genitori e ai bimbi rom di età superiore ai 7 anni di stare con la propria madre), e la preventiva predisposizione di adeguate alternative abitative per i nuclei familiari».

Nella mozione si dice anche dell”enorme dispendio di soldi per gli sgombri avvenuti («Da notizie giornalistiche – si legge testualmente – uno sgombero costa mediamente 20.000 euro e può raggiungere anche una spesa di 30.000 euro e quindi ad oggi il Comune di Milano ha speso circa 9 milioni di euro»), descritta come la “fatica di Sisifo” quando si “spostano” a tutti gli effetti le persone rom da un campo di una zona periferica ad un”altra zona periferica e ciò non rappresenta una soluzione serie e concreta. Mentre invece viene ricordato nella stessa mozione che il «compito delle istituzioni pubbliche dovrebbe essere la presa in carico complessiva delle persone, con la garanzia di un orientamento individualizzato e di un progetto calibrato sul nucleo familiare. I due elementi qualificanti e imprescindibili di questa strategia complessiva sono l”abitazione e il lavoro per i quali risultano necessari un”attività di accompagnamento nell”inserimento lavorativo, una presenza duratura di mediazione e facilitazione dei rapporti (anche di vicinato) nell”inserimento abitativo, un supporto e una consulenza nella gestione del bilancio domestico e del rapporto con il credito, la garanzia dell”accesso al servizio sanitario pubblico». Dunque i consiglieri di minoranza di Milano chiedono che l”assessore alla famiglia, scuola e politiche sociali si attivi per adottare «politiche più efficaci e meno dispendiose, come quelle avviate da altre amministrazioni comunali italiane (sia di destra che di sinistra) quali Mantova, Vicenza, Venezia, Treviso, Padova, Bergamo, Trento, Bologna, Settimo Torinese, Modena, Pisa, Buccinasco, che si sono assunte la responsabilità di offrire percorsi di integrazione e di accompagnamento lavorativo e abitativo e garanzie reputazionali, con l”impegno di un orientamento individualizzato e di un progetto calibrato sul nucleo familiare»

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